Mancano poche ore. Domani, 15 ottobre, entra in vigore l'obbligo generalizzato di "possesso ed esibizione" del Green Pass per andare a lavorare. Una misura di eccezionale complessità, che mette in crisi principi generali e quotidianità operativa. Ci sarebbe voluta una tempestiva preparazione.
Invece ci ritroviamo con un quadro di riferimento, per gli interpreti ed i cittadini, la cui malcerta composizione ha seguito dinamiche antiche, degne delle pagine peggiori della storia repubblicana.
Pagine del tutto incompatibili con l'aura di "draghiana" qualità, che (a prescindere dall'orientamento di ognuno) ha ammantato
in alcuni terreni importantissimi l'attività di questo strano governo di quasi-unità nazionale.
Chiunque, nelle ultime settimane, si sia trovato a dover giocare con questo pericolosissimo gingillo del
Green Pass, si è potuto misurare con una folle lotteria, culminata negli ultimissimi giorni in una serie di passaggi che, a futura memoria, è forse opportuno mettere in
fila.
Dopo le pressioni operate dalle associazioni di categoria dei datori di lavoro, preoccupate della sostanziale ingestibilità di un meccanismo che permetteva solo la mattina stessa al tornello di scoprire chi poteva entrare a lavorare e chi no, venerdì 8 ottobre (a 7 giorni dal D-day), nell'ambito del
cosiddetto "decreto riaperture" (DL 139/21), viene inserita una norma che stravolge completamente lo scenario. Se infatti fino a quel momento ad un datore di lavoro era sostanzialmente impedito di richiedere preventivamente ai propri dipendenti chi fosse in possesso del green pass, a partire invece dall'8 ottobre quello stesso datore è stato legittimato, in presenza di "specifiche esigenze organizzative volte a garantire l'efficace programmazione del lavoro",
a operare quella che i sacerdoti della privacy non stenteranno a definire una terribile schedatura.
Ognuno può pensarla come vuole sulla tenuta di questa norma. Ma quello che è certo, è che a pochissimi giorni dal 15 ottobre ci si è ritrovati con uno strumento che, dal punto di vista organizzativo, ha di fatto buttato a mare il lavoro fatto nelle settimane precedenti (si pensi alle attività che si svolgono su turni: ci si era
lambiccati per trovare soluzioni percorribili compatibili con i vincoli che esistevano prima; quelle soluzioni non serviranno più a
nulla).
Ma questo è niente in confronto a quanto è accaduto nelle ultime ore.
Dopo le solite vocine e le più o meno fondate anticipazioni giornalistiche, iniziamo la settimana, lunedì 11 ottobre (a
quattro giorni dal giorno fatale), con la pubblicazione del famigerato DPCM che avrebbe dovuto contenere delle formidabili novità a proposito di nuovi strumenti, tecnologicamente avanzatissimi, che avrebbero semplificato in modo eccezionale lo svolgimento dei controlli. Si tratta del
DPCM
Brunetta-Speranza, così rubricato: "Linee guida in materia di condotta delle pubbliche amministrazioni per l'applicazione della disciplina in materia di obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid-19 da parte del personale".
E' un documento molto importante, tarato dichiaratamente sulle pubbliche amministrazioni,
concepito per esser affiancato da un altro DPCM dedicato anche al settore privato, e contenente le specifiche tecniche delle nuove soluzioni ipotizzate.
Dov'era quest'altro, fondamentale documento? Mistero!
Nonostante il fatto che, martedì 12 ottobre (a tre giorni dall'apocalisse) sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri venisse annunciato che il Presidente Draghi aveva firmato i due DPCM, nonostante il fatto che il Garante
privacy nella stessa data avesse pubblicato il suo parere sullo schema di decreto (un documento ponderosissimo, di una noia mortale, finalizzato a dimostrare quanto il Garante - spogliato di
alcune prerogative dal decreto riaperture - sia stato sul punto coinvolto preliminarmente), nonostante tutto ciò, del DPCM non vi era traccia.
Un decreto-fantasma.
E la giornata di mercoledì 13 ottobre (48 ore al lancio), è trascorsa tra veline, bozze piene di puntini di sospensione, professionisti che millantavano di aver già letto in anteprima un documento che, invece, ufficialmente non esisteva da nessuna parte.
Solo stamattina, 14 ottobre, quando manca un giorno (UN GIORNO!) alla scadenza,
il fantasma si è materializzato: è stata pubblicata la
versione ufficiale del DPCM, dalla lettura del quale emerge un elemento che non può non aggravare lo sconcerto, ed ha il sapore di una vera e propria beffa: il decreto, infatti, risulta
firmato digitalmente dal Presidente del consiglio, e dagli altri ministri, il 12 ottobre! Firmato digitalmente, come sanno tutti i lettori di
InterLex, significa: un documento informatico immodificabile.
A pensare male, si potrebbe notare che gli allegati (compreso il più importante, l'allegato H) non sono altrettanto corredati della firma digitale. E non so se sia peggio immaginare che, in linea con le peggiori prassi, dopo la firma dei vertici ci si sia tenuti le mani libere per gli ultimi aggiustamenti sugli allegati; oppure se sia più triste pensare ad un perfido gioco, ordito per tenere in un cassetto un documento che un Paese intero aspettava come una manna dal cielo.
Di certezza ce n'è una sola: quando scatterà l'orologio sulla mezzanotte di stasera, nessuna delle soluzioni descritte nel DPCM sarà operativamente pronta all'uso. E così, ovviamente, nei prossimi giorni.
A cosa è servito, allora, impiegare le energie di centinaia di persone (tra ministeri,
uffici del Garante, tecnici eccetera), le cui giornate di lavoro – retribuite con soldi pubblici -– sono state interamente impiegate ad articolare il DPCM? Considerato che, se siamo fortunati, il Green Pass servirà solo per le prossime 10 settimane (e cioè fino al 31 dicembre, fine dello stato di emergenza), che senso ha questo eccezionale pasticcio, in un frangente in cui le tensioni in cui siamo immersi rischiano di portare la pentola a scoppiare sul serio?
Non era, al punto in cui siamo arrivati, più intelligente lasciare che venissero utilizzati gli strumenti che già conoscevamo (la mitica
app VerificaC19), aspettare qualche tempo, e solo se realmente necessario
– speriamo davvero che non lo sia mai più! – mettere in pista queste nuove architetture?
Povera patria! cantava un poeta che non c'è più. E aveva ragione.
* Avvocato in Roma
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