La proposta di regolamento UE sulla vita privata e le comunicazioni elettroniche
avanza a fatica sotto il fuoco ad alzo zero delle lobby. Si allungano i tempi e si rischia che il testo perda le innovazioni più significative ed efficaci. L'articolo 29 della Proposta
di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al rispetto della
vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche
recita:
1. Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo
alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. 2. Esso si
applica a decorrere dal 25 maggio 2018.
La data, 25 maggio 2018, è la stessa dell'applicazione del Regolamento generale,
il GDPR
(General Data Protection Regulation). E non per caso.
I cambiamenti imposti dalla nuova normativa europea sulla protezione dei dati
sono molto impegnativi per i titolari dei trattamenti (e per i Garanti degli
Stati membri). Infatti per il GDPR sono stati previsti ben due anni tra
l'entrata in vigore e la totale applicabilità.
Il testo ora in discussione, relativo alle comunicazioni elettroniche e noto come "Regolamento
ePrivacy" naturalmente rispecchia l'impostazione del regolamento generale. Se i due
regolamenti non saranno applicabili dallo stesso momento, sarà difficile la
convivenza tra
nuove norme generali e vecchie norme speciali .
L'approvazione finale del regolamento era prevista in questi giorni, ma da
Bruxelles si apprende che ci sarà un ritardo. Il problema sono le resistenze
nei confronti di molti aspetti proposta (pubblicata il 15 gennaio scorso), che
pone limiti stringenti alle intrusioni nella vita privata, alla raccolta più o meno occulta dei dati,
alla conservazione per tempi esagerati e soprattutto alla profilazione sistematica
degli utenti.
Tutto questo non piace agli Over The Top, i padroni
dei Big Data, che vorrebbero continuare a fare man bassa delle informazioni
personali, come fanno oggi, anche con trattamenti che appaiono in violazione
delle norme attuali, molto meno restrittive. Le lobby degli OTT insistono per
ottenere modifiche che possono snaturare del tutto la proposta.
Così ottengono che il Comitato parlamentare per il mercato interno e la protezione dei
consumatori (Internal Market and Consumer Protection – IMCO) adotti
una "opinione" che fa piazza pulita di tutti i progressi compiuti
nella protezione dei dati da vent'anni a questa parte.
Sul sito del Comitato fino a ieri non se ne trovava traccia. La notizia viene
dalla European Digital Rights (EDRi),
associazione che si batte per i diritti civili e umani.
Nell'articolo European Parliament Consumer Protection Committee chooses
Google ahead of citizens – again, EDRi riferisce i contenuti del documento
del Comitato: in sostanza, un totale capovolgimento delle impostazioni della
proposta pubblicata il 15 gennaio, assecondando gli interessi dei padroni dei
Big Data.
Cadono le braccia. Un comitato parlamentare, cioè un organismo composto da
persone elette dai cittadini europei, cittadini che dovrebbe proteggere in
quanto consumatori, difende a spada tratta gli interessi di chi pretende di
sfruttare i dati personali degli stessi consumatori come merce a basso costo (ma
ad alto rendimento).
Viene addirittura il sospetto che le notizie pubblicate da EDRi siano fake
news. Ma i precedenti, richiamati dallo stesso articolo, non confermano la
supposizione.
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