Tra hacker e spammer,
tra legge e deontologia
di Andrea Monti*
- 16.11.98
La notizia è pubblicata sul Corriere della Sera
del 14 novembre scorso: un Noto, sacerdote del siracusano, balzato agli onori
della cronaca per le raffiche di denunce dirette a reprimere i siti ospitanti
"contenuti critici", non pago degli scarsi successi riportati dalle
forze dell'ordine, decide di farsi giustizia da sé, precettando un gruppo di
sedicenti "hacker" da utilizzare come braccio secolare per una
crociata contro pervertiti di varia natura.
La notizia è molto grave, non solo per l'inciviltà
giuridica della quale è foriera (nessuno è al di sopra della legge), ma anche
per i riflessi diretti che può avere sulla Rete.
Mi auguro che gli organi competenti non rimangano immobili di fronte ad un
simile inno al vigilantismo (e ai reati che potrebbe configurare), atto le cui
risalenti origini - intelligenti pauca - evidenziano ancora una volta la
percezione distorta della Rete che si cerca a tutti i costi di legittimare. Ciò
a scapito del sempre più consistente numero di operatori (non solo quelli
economici) che intendono trarre dall'internet nuove occasioni di incontro e
attività.
Se siamo d'accordo sul fatto che prese di
posizione come quella appena raccontata arrecano danno all'intero sistema, è
anche vero che il mondo produttivo e quindi le associazioni che lo rappresentano
sembrano ignorare la gravità della questione.
Questi pazzeschi richiami alla violenza sono solo alcuni dei problemi che
agitano la Rete, problemi sempre maggiori e gravi: non è pensabile che il mondo
del business continui a fare orecchie da mercante. Solo con una presa di
posizione forte di chi aspira a rappresentare gli interessi della categoria e la
collaborazione con i gruppi di utenti che da sempre hanno come obiettivo quello
della crescita di una "cultura della Rete" si potrà cercare di
arginare il malcostume dilagante della violazione di principi giuridici
elementari e della netiquette (un vero e proprio codice di "diritto
consuetudinario", che si manifesta nei modi più disparati.
Uno dei più famigerati è sicuramente lo spamming
cioè l'invio, a liste di utenti, di messaggi non sollecitati dai contenuti
più diversi, dalle catene di S. Antonio alla pubblicità. Se dal punto di vista
culturale ci sono buoni motivi per criticare questo comportamento (che tuttavia
non è necessariamente da considerare negativo - vedi La
pressatella e il rullo compressore di
Giancarlo Livraghi) è anche vero che ci sono alcune considerazioni di natura
giuridica che non possono essere taciute.
E' illegale fare spamming?
Di primo acchito la risposta è - nonostante l'entrata in vigore della legge
sui dati personali - paradossalmente negativa. Gli indirizzi che girano su Usenet
o che vengono diffusi su carta intestata, pubblicità e pagine web sono dati
conoscibili da chiunque e quindi sottratti a consenso e notificazione; quando
poi non si può associare univocamente l'indirizzo ad una persona (chi mai
sarà ppp34s3@pippo.com??) forse non siamo nemmeno in presenza di "dati
personali" in senso tecnico, ad ennesima dimostrazione di quanto la 675/96
tutto protegga tranne la privacy
Il fatto è che l'algidità della legge scritta (la law in the book,
come la chiamano i cultori del diritto pubblico) posto comunque che se ne possa
parlare in relazione al caso di specie, mal si concilia con l'applicabilità
pratica. Molto spesso gli spammer scrivono da un indirizzo che cessa di
funzionare poco tempo dopo, oppure utilizzano mail server di terze
parti sfruttandone dei difetti di programmazione non corretti per tempo...
insomma, non è detto che il colpevole sia così facile da trovare, con buona
pace della migliore delle leggi possibili (e la 675/96 sicuramente non
appartiene alla categoria).
Al furor che anima la privacy advocacy
si oppone un normativismo che procede con tassi di sviluppo tumorali e che - ad
esempio - fa dire all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 171/98: I
fornitori di servizi di telecomunicazioni accessibili al pubblico consentono che
i servizi richiesti e le chiamate effettuate da qualsiasi terminale possano
essere pagate con modalità alternative alla fatturazione, anche anonime, quali
le carte di pagamento o prepagate.
Tradotto: accessi anonimi a qualsiasi servizio internet.... buon rimedio per la
protezione della privacy, pessima soluzione per la tutela delle persone
rispetto al trattamento dei dati personali
Il tema dell'anonimato è complesso, e sicuramente non può esaurirsi in così
poche battute, certo è che guarderei preoccupato l'estendere all'internet
le disposizioni contro la criminalità organizzata, che impongono l'identificazione
dei titolari delle carte prepagate della telefonia cellulare....
Tant'è, niente di nuovo sotto il sole... norme
confuse e contraddittorie.
Che fare?
La soluzione teorica esiste, ed è realizzare in qualche modo quella che Paolo
Nuti chiamava la "catena del freddo", cioè una modalità
organizzativa nell'erogazione dei servizi che va dall'identificazione dell'utente
fino alla certificazione dei log, che consenta sempre e comunque all'Autorità
Giudiziaria o ad eventuali organi di autodisciplina di individuare responsabili
e valutare le diverse situazioni.
Il punto è mettersi d'accordo sul "come".
Credo oramai essere opinione acquisita che non serve una legge specifica quanto
piuttosto una ragionevole e ragionata autodisciplina di settore. Purtroppo i
tentativi registrati fino ad ora hanno dato risultati in alcuni casi desolanti
(dal punto di vista delle scelte di fondo e delle formulazioni concrete) e il
discorso iniziato tempo fa, anche con il contributo di questa rivista (vedi
l'indice Tra legge
e autodisciplina e le interviste
a Rodotà e Manganelli della fine di
luglio) è finito - in ottima compagnia - in chissà quale dimenticatoio.
Aiutati che Dio t'aiuta, si diceva una volta, e l'occasione buona per
"aiutarsi" potrebbe essere l'imminente conferenza
dell'AIIP, che ha messo all'ordine
del giorno anche il problema dell'autodisciplina. Staremo a vedere.
* Avvocato
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