Possiamo dire con sollievo che la logica aristotelica non è materia del
tutto dimenticata e che la distinzione tra genere prossimo e differenza
specifica costituisce ancora oggi un'entità nota.
Lo spunto nasce dalla recentissima decisione del
Tribunale di Teramo in punto ad una ipotesi di diffamazione su/mediante
internet. La indicazione contemporanea di due complementi (luogo e mezzo) non è
casuale: nel caso di specie infatti l'internet rappresenta lo spazio in cui
sarebbe avvenuto il delitto e contestualmente lo strumento di commissione del
reato.
In sintesi, questi i fatti: un imprenditore, lamentando di essere stato
truffato da funzionari di una banca, querela costoro e pubblica su un sito web
una rassegna stampa sul caso. A parere del Tribunale il "montaggio"
dei resoconti e la presentazione degli stessi hanno travalicato i limiti della
cronaca o comunque della narrazione di fatti, dando luogo ad una impressione da
parte di un eventuale lettore che effettivamente truffa vi fosse stata, mentre i
fatti erano ancora, come si dice, sub iudice. In sostanza, la condotta
dell'imputato è stata oggettivamente ritenuta diffamatoria.
Il punto in cui la decisione si caratterizza è quello della individuazione
della prova della consumazione del delitto di diffamazione, cioè della avvenuta
percezione da parte di più terzi (almeno due persone) del messaggio lesivo
della reputazione.
Su questo punto il giudice ha affermato principi interessanti, indici di una
esatta individuazione della differenza specifica dell'internet rispetto agli
altri mezzi di comunicazione di massa, vale a dire stampa e televisione.
Mentre per questi ultimi vi è la presunzione ragionevole che più persone
abbiano letto la pubblicazione o preso visione della trasmissione, per l'internet
il discorso è diverso, soprattutto perché pubblicazione e comunicazione sulla
rete non sono due concetti temporalmente contigui, in quanto un sito web può
essere raggiunto solo da chi l'abbia cercato, sapendo cosa cercare. Niente è
per caso, dice il Tribunale di Teramo. E difatti la polizia giudiziaria ha
rinvenuto le pagine svolgendo una ricerca mirata, che ha portato alla
individuazione della condotta (la pubblicazione), ma non dell'evento (la
percezione da parte di più persone, poliziotto escluso ovviamente).
Il fatto che l'imputato abbia pubblicato sul suo sito notizie diffamatorie
non implica automaticamente che tali notizie siano state conosciute da
terzi.
L'affermazione è importante, in quanto introduce e soprattutto riconosce un
carattere peculiare della rete, a dispetto di quanti insistono per la
equiparazione tout court dell'internet alla stampa o alla televisione:
il materiale in rete non è per ciò stesso percepibile da qualsiasi utente, ma
solo da quello che lo abbia cercato (e bene, aggiungiamo noi, data la quantità
enorme di dati disponibili e la necessità di strumenti euristici sofisticati
come Google). Non a caso il Telefono Arcobaleno impiega "cercatori" a
tempo pieno per scovare materiale pedofilo.
L'imposizione di regole riprese da altri mezzi di comunicazione è frutto
dunque o di ignoranza dello strumento tecnico o di una volontà normativa
pervasiva, non nuova e non ignota peraltro, ma fuori luogo.
La pagina in rete esiste, vegeta fino al momento in cui qualcuno vi capita
sopra. La parola stampata o pronunciata via etere è istantaneamente lesiva.
Il tempo e il luogo sono diversi.
Le conseguenze sulla disciplina debbono quindi essere diverse. L'internet è
un tempo e un luogo "non euclideo", nei quali dobbiamo adattare le
regole tradizionali.
L'abbiamo già citato, ma è opportuno richiamare il Bardo: O brave new
world!