Quali leggi per il "territorio
Internet"?
di Manlio Cammarata (19.06.97)
Premessa
L'intervento di Ristuccia e
Tufarelli pubblicato in questo numero di
InterLex introduce, fra l'altro, il tema della natura giuridica di Internet. E'
un argomento di importanza cruciale, che deve essere approfondito. Per questo mi
sembra utile riproporre una tesi che ho avanzato qualche tempo fa, che definisce
la Rete come un "meta-territorio" e accenna a un ipotetico percorso
per una regolamentazione internazionale.
Questo testo tiene conto dei consensi e delle critiche sollevate alle prime
formulazioni ed è una revisione dell'articolo pubblicato su MCmicrocomputer n.
174 (maggio 1997).
Prima di tutto fissiamo alcuni punti essenziali per inquadrare la situazione:
1. il progresso della diffusione di Internet,
anche se non rapidissimo come si pensava qualche tempo fa, è inarrestabile e
coinvolge gruppi di persone sempre più vasti e indifferenziati, fino a far
ritenere non lontano il momento in cui la "Rete delle reti" potrà
essere considerata un mezzo di comunicazione di massa, come la televisione;
2. il modello di Internet si evolve in forme
sempre più lontane dalla sua impostazione originaria di mezzo di scambio di
informazioni destinate a gruppi specifici di utilizzatori;
3. una convergenza tecnologica in buona parte
spontanea porta Internet a incorporare media differenti, come la radio, la
televisione, la stampa, fino a configurare un nuovo sistema globale di
informazione;
4. l'interattività, e soprattutto la
possibilità di ricercare e combinare le informazioni da parte del singolo
utente, costituiscono un aspetto completamente nuovo di questo sistema globale
di informazione:
5. tutti gli sviluppi, tecnologici e
comunicativi, si verificano al di fuori di qualsiasi tentativo di programmazione
e di regolamentazione.
Descritto così, molto sommariamente, il quadro
d'insieme, dobbiamo aggiungere un paio di considerazioni:
6. l'utilizzo di Internet determina maggiori
opportunità di conoscenza, di lavoro e di sviluppo personale e sociale; dunque
è necessario che il maggior numero possibile di persone abbia accesso alla Rete
e che non si crei un divario sempre più ampio tra "info-ricchi" e
"info-poveri";
7. di conseguenza la regolamentazione di Internet
non interessa solo i "cibernauti", ma tutta la popolazione, dal
momento che in tempi abbastanza brevi l'intera vita economica e sociale della
collettività sarà in qualche misura influenzata dalla presenza e dall'utilizzo
di Internet. Anzi, della "Rete", perché la realtà tecnologica e
comunicativa che si sta sviluppando è sempre più lontana dalla concezione
originaria di Internet.
Poste queste premesse, occorre chiarire il punto
centrale: che cosa si deve intendere per "regolamentazione di
Internet"? In questo momento sembra che la questione più urgente da
risolvere sia il controllo dei contenuti illegali o "critici"; subito
dopo, in Italia, viene il problema delle tariffe. Ma questa è una visione molto
parziale del problema, che non tiene conto della premessa più importante, cioè
la diffusione dell'accesso alla Rete come strumento di crescita individuale e
sociale e quindi come oggetto di un "diritto all'informazione" inteso
in senso globale. Si deve aggiungere un secondo aspetto importante, quello della
"certezza del diritto" per tutti i rapporti di rilevanza giuridica che
si realizzano sulla rete, oltre che per eventuali comportamenti illeciti.
Due strumenti possono essere efficaci per
costruire questo quadro di certezza giuridica: l'autoregolamentazione dei
fornitori e un corpus di norme adottate dalla comunità
internazionale. Le legislazioni nazionali sono quasi del tutto inutili a
causa dell'estrema facilità con la quale possono essere aggirate. Il motivo
principale di questa situazione è nell'impossibilità tecnica di imporre ai
fornitori di accesso l'obbligo di controllare tutti i contenuti che provengono
dall'esterno dei loro sistemi e quindi è inaccettabile il principio della
loro responsabilità civile e penale per il materiale illegittimo o critico
immesso da terzi nei sistemi che gestiscono.
Tratterò dei problemi dell'autoregolamentazione in un prossimo articolo. In
questo cerco di mettere a fuoco i principi di un'auspicabile normativa
internazionale.
I termini del problema
Le leggi nazionali non sono in grado di regolare
tutte le attività che si svolgono in forma telematica, come si dimostra con
qualche semplice esempio
E' già possibile, e tra poco tempo sarà un fatto assolutamente normale,
acquistare in rete beni e servizi. Poniamo un caso in cui l'acquirente si trovi
in Italia e il venditore negli Stati Uniti: quale legge regola questa
transazione, quale tribunale di quale nazione è competente per un'eventuale
controversia? Il "diritto internazionale privato" può offrire qualche
risposta, ma in molti casi il meccanismo di rinvii sui quali è fondato potrebbe
rivelarsi troppo complesso, soprattutto se si considerano gli sviluppi
quantitativi prevedibili a medio termine per il commercio telematico.
Un problema simile può essere posto per un'azione delittuosa. Un hacker che si
trova in Svezia attacca un sistema che si trova in Italia; complichiamo un po'
la situazione immaginando che per compiere questo illecito penale egli si
introduca abusivamente in un sistema posto sul territorio australiano (l'ipotesi
non è peregrina). La domanda naturalmente è: in quale nazione è stato
compiuto il crimine?
Ci possono essere situazioni ancora più complesse. Immaginiamo che nel paese A
sia operante una rete di telecomunicazioni di proprietà del paese B, e che su
questa rete passino contenuti provenienti dal paese C e diretti al paese D. Nel
paese A, dove si trovano i router della rete del paese B, questi contenuti sono
proibiti, mentre sono perfettamente leciti negli altri paesi coinvolti nello
scambio di informazioni. Un magistrato del paese A, in forza della legge
nazionale, potrebbe proibire al gestore della rete il transito delle
informazioni illegali (ammettiamo che il paese A sia l'Italia e i dati
riguardino un traffico di armi: il magistrato italiano potrebbe legittimamente
disporre il sequestro dei router interessati). Ora i paesi B, C e D potrebbero
sollevare un putiferio: come si permette un magistrato di un'altro stato di
impedire le nostre transazioni?
Dunque il punto fisso intorno al quale ruotano
tutti i discorsi sulla regolamentazione di Internet è che la sua essenza
transnazionale rende inefficace qualsiasi normativa statale. Le natura
tecnologica del sistema consente di aggirare più o meno facilmente qualsiasi
limitazione che possa essere introdotta da un singolo paese. Si pensa quindi a
forme di cooperazione internazionale, come quelle prospettate nel rapporto della
Commissione europea, che portino a iniziative comuni nel rispetto dei singoli
ordinamenti. Di fatto nessun serio tentativo è stato compiuto fino a oggi in
questa direzione, forse nella consapevolezza di una realtà innegabile: se un
certo numero di stati non si adegua a regole minime comuni possono sorgere
"paradisi telematici" dai quali può essere aggirata qualsiasi
normativa nazionale. Accade con i "paradisi fiscali", ma nel caso
della Rete il fenomeno può avere conseguenze molto più gravi. Infatti la
violazione delle norme sui trasferimenti di capitali e altre operazioni del
genere avviene per opera di un numero limitato di soggetti e attraverso
procedure complesse, che comportano danni economici anche rilevanti per gli
stati interessati, ma non coinvolgono direttamente la generalità dei cittadini.
Invece la diffusione di contenuti critici o la commissione di atti illeciti
via Internet può danneggiare larghe fasce di utenti, ed è molto più facile.
Dunque è indispensabile che venga avviata una concertazione internazionale di
vasto respiro e che, nello stesso tempo, all'interno dei singoli stati si
adottino strumenti normativi coerenti con la prospettiva di una regolamentazione
globale.
Si pone a questo punto un problema apparentemente banale, tanto banale che
sembra sfuggire a molti dotti disquisitori della materia: che cosa si deve
regolare? Internet, è la banale risposta. Ma che cos'è Internet?
Il "codice genetico" di Internet
Internet - o, meglio, la Rete - è un sistema
assai complesso che si sviluppa secondo regole proprie. Tutti i tentativi di
programmare o indirizzare lo sviluppo della Rete fino a ora non hanno avuto
successo: si può incoraggiarne lo sviluppo, come hanno fatto e fanno gli Stati
Uniti, o si può frenarlo con politiche miopi e ottuse, come fa l'Italia. Ma la
direzione del progresso è comunque il risultato di una difficilmente
inquadrabile somma di spinte: in primo luogo l'evoluzione tecnologica, poi gli
interessi dell'industria e le sue strategie, le spesso imprevedibili reazioni
del mercato, le politiche dei governi e via discorrendo.
Sembra che Internet possieda una sua capacità autonoma di incorporare e
assimilare tutte le possibili forme di comunicazione, influenzando attraverso
questo l'ambiente in cui vive. Probabilmente questo dipende in primo luogo dalla
natura dei protocolli TCP-IP e dalla loro estrema flessibilità. E'
significativo il fatto che nel giro di pochi anni, praticamente da quando ha
iniziato a diffondersi il World Wide Web, siano scomparsi o passati in secondo
piano tutti gli altri protocolli di telecomunicazione e i sistemi di
archiviazione e ricerca delle informazioni non compatibili con il linguaggio
HTML. Persino i più importanti sistemi di database, come Oracle, Access e
simili, si evolvono in direzione di un utilizzo ipertestuale sugli schemi del
Web. Anche il futuro sistema operativo Microsoft per l'informatica personale
seguirà lo schema della "navigazione" sulla Rete ipertestuale e
multimediale. Infine, i recenti annunci dell'imminente ampia disponibilità di
canali Internet via satellite fanno pensare che la convergenza tra televisione e
personal computer evolve definitivamente verso il PC (e quindi verso il mondo
Internet) piuttosto che verso la TV.
Insomma, in questo momento qualsiasi evoluzione
delle tecnologie dell'informazione deve confrontarsi con gli schemi informativi
e i presupposti tecnici, che costituiscono una sorta di "codice
genetico" di Internet. Un esempio che ci riguarda da vicino è quello della
Rete unitaria della pubblica amministrazione, progettata dall'AIPA. Dopo anni di
proposte più o meno inconcludenti, dopo interminabili dibattiti e conferenze
sugli standard e sull'interoperabilità, si è arrivati alla conclusione che
Internet è l'unico sistema a portata di mano per interconnettere e consentire
lo scambio di informazioni tra gli uffici pubblici. Ne è derivato un nuovo
modello di pubblica amministrazione che ricalca il "modello Internet",
al punto che in qualche documento dell'Autorità per l'informatica le unità
organizzative della PA sono definite "siti"!
Le regole che esistono
C'è un altro aspetto che deve essere messo in
rilievo. Si dice e si scrive che Internet è "un mondo senza regole",
che vi regna la più sfrenata anarchia; si tende a vedere il ciberspazio come
una specie di Far West, dove vige la legge del più forte o del più furbo.
Nulla di più falso.
Come vedremo meglio tra un attimo, Internet esiste proprio grazie a un sistema
di regole perfettamente strutturato. Una parte di queste sono di natura
strettamente tecnica (i protocolli), altre di tipo tecnico-amministrativo (come
la struttura degli indirizzi di rete), altre ancora definiscono i comportamenti
(la cosiddetta "netiquette"). Tutto nell'ambito del principio generale
della libertà di espressione e dell'adesione volontaria di ogni soggetto
all'insieme delle regole. Qui sta il nocciolo della questione: lo sviluppo della
struttura originaria della rete e buona parte della sua più recente evoluzione
sono fondati su una forma particolare e generalizzata di "contratto per
adesione", le cui clausole sono accettate da tutti gli aderenti come
condizione necessaria per l'appartenenza al sistema. Non si può far parte di
Internet e non accettarne le regole: dal punto di vista tecnico è
impossibile, dal punto di vista dei comportamenti si rischia di essere
"espulsi" dalla riprovazione di tutti gli altri aderenti (questo,
detto di sfuggita, è il fondamento dell'autoregolamentazione).
La caratteristica più importante del sistema
di regole che governa Internet è che esso non fa riferimento ad alcun sistema
giuridico riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali. Cioè non
esistono norme che regolino Internet al di sopra delle sue interne. E' vero che
in ogni paese in cui operano soggetti collegati alla Rete esistono leggi che i
soggetti stessi devono rispettare, ma nella maggior parte dei casi si tratta di
norme generali, non dettate in funzione delle attività di Internet. Dove invece
ci sono normative statali specifiche (per esempio in Cina e a Singapore), l'uso
della rete non è libero, e non a caso sono nazioni il cui ordinamento non può
essere definito democratico.
Ora qualcuno chiederà: ma se la Rete dispone di un sistema così efficace di
norme, da dove nascono i problemi della pornografia, della pedofilia, della
diffusione di incitamenti al crimine o all'odio razziale e via elencando? La
risposta è che questi comportamenti rientrano nell'ambito della libertà di
espressione on-line, almeno secondo le visioni più radicali, come quella della
Electronic Frontier Foundation. Ma in questo modo non si risolve il problema,
perché l'allarme sociale destato dai "contenuti critici" è forte e
potrebbe alla fine portare a forme di controllo, censura e repressione che si sa
dove incominciano e non si sa mai dove vanno a finire. Da qui la necessità
dell'autoregolamentazione da una parte e di una normativa globale dall'altra,
che non siano in contrasto con il "codice genetico" della Rete.
Ma l'autoregolamentazione può essere efficace solo per quanto riguarda i
rapporti tra i soggetti coinvolti nella definizione e nell'applicazione dei
relativi codici, oltre che per i loro beneficiari, gli utenti. Non può in alcun
modo influire su situazioni giuridiche esterne al sistema. Per esempio, non può
determinare effetti legali sulla proprietà o sull'esecuzione di contratti, o su
altre situazioni normalmente regolate dalle legge comune o dagli accordi
internazionali. Il problema di regolamentare Internet si pone quindi per i
rapporti tra la Rete e "il resto del mondo".
Tanto per fare un esempio: l'autoregolamentazione può servire a determinare il
comportamento dei fornitori di accesso per la selezione dei contenuti, mettiamo
in materia di pedofilia, ma non ci può essere autoregolamentazione per il reato
di abuso sessuale ai danni di un minore, è una questione che ricade nelle
previsioni della legge del paese in cui si verifica il fatto.
La natura giuridica di Internet
Entriamo così nel "problema dei
problemi": oltre alla difficoltà determinare l'ordinamento giuridico nel
cui ambito devono essere inquadrate molte attività - lecite o illecite - che si
svolgono sulla Rete, vi sono rapporti particolari, caratteristici del mondo
"virtuale", che difficilmente possono essere ricondotti a situazioni
analoghe nel mondo "reale" (si pensi al complicato sistema di
relazioni coinvolte nella configurazione di un router, cioè di uno di
quei computer che smistano i flussi di bit sulle reti interconnesse).
Per affrontare questi problemi è indispensabile chiarire un punto fondamentale:
che cos'è Internet dal punto di vista del diritto? O, per dirla in termini
tecnici, qual è la natura giuridica di Internet? La risposta a questa
domanda è preliminare a qualsiasi altra considerazione e richiede conoscenze
tecnologiche e conoscenze giuridiche in pari misura.
Indagando sui rapporti che si instaurano nella Rete, il giurista si accorge
presto dell'assenza di qualsiasi requisito che possa far attribuire a Internet
una personalità giuridica. Non ha uno status, non è titolare di
diritti, non ha doveri. Non esiste un "responsabile di Internet", un
amministratore, un procuratore. Nessuno può stipulare un contratto "con
Internet". Non esiste nessun soggetto del quale si possa dire che abbia un
rapporto giuridico, di qualsiasi natura, con Internet. Si può concludere che
Internet "non esiste" dal punto di vista giuridico? Vediamo.
La definizione usuale di Internet è "la
rete che collega milioni di computer in tutto il mondo". Ora noi sappiamo
che cosa è una rete, dal punto di vista fisico. E' un insieme di beni
materiali, cioè cavi, antenne ricetrasmittenti e apparecchiature di
commutazione, e di beni immateriali, cioè i software che la fanno funzionare.
Il punto è che non esiste un solo metro di cavo, una sola antenna, un solo router,
una sola riga di software di cui si possa dire che "è di
Internet". Ciascun pezzo dell'infrastruttura globale di telecomunicazioni
appartiene a un soggetto diverso, che può essere pubblico o privato, nazionale
o multinazionale. Ogni rete fa capo a uno o più soggetti proprietari delle
infrastrutture fisiche e titolari dei diritti di utilizzo del software. Ma
Internet, in quanto Internet, non solo non è proprietaria di alcuna
infrastruttura, ma non ha nemmeno un contratto, sia pure implicito o informale,
con alcun proprietario di infrastrutture di telecomunicazioni. La conclusione
che "non esiste" è fondata sulla semplice osservazione dei fatti.
Eppure c'è, funziona abbastanza bene, ed è la rete di telecomunicazioni più
estesa del mondo, "la Rete" per eccellenza. Come può funzionare
qualcosa che non esiste? Per capirlo dobbiamo analizzare "come"
funziona. Vediamo, per esempio, che cosa deve fare un soggetto che voglia
collegare il suo computer a Internet. Deve fare due cose: stipulare un contratto
con un soggetto detto "Internet Access Provider" (che non è
Internet!) e installare nella sua macchina un software con particolari
caratteristiche, definite da un insieme di norme tecniche designate come
"protocolli TCP/IP". La più importante di queste norme riguarda la
designazione del computer collegato alla rete, in termini tecnici il suo
"indirizzo" (IP address), che può essere fisso o assegnato di
volta in volta all'inizio del collegamento. Tutto questo "è
Internet". Qualsiasi soggetto che disponga dei requisiti elencati, cioè di
un diritto di accesso (del quale è parte essenziale l'assegnazione
dell'indirizzo fisso o variabile), e del software TCP/IP può connettersi alla
rete o, più esattamente, può usare la rete per connettersi ad altri soggetti
che seguano le stesse regole.
Quindi Internet altro non è che un accorgimento
tecnico, fondato su regole tecniche, che consente il collegamento (e quindi lo
scambio di informazioni) tra un numero indefinito di soggetti che si trovano
nelle stesse condizioni. Ecco perché "Internet non esiste"! Esistono
solo dei soggetti che si connettono tra loro usando le reti di telecomunicazioni
(di chiunque siano, purché interconnesse). Possiamo quindi identificare
Internet come "un insieme di regole". E' un insieme fortemente
strutturato, al punto che possiamo definire la Rete come una struttura
caratterizzata da una logica interna fondata su regole tecniche. Abbiamo quindi
in qualche modo trovato una risposta alla domanda "che cosa è
Internet": Internet è una struttura logica.
La Rete come "meta-territorio"
Ora possiamo cercare una definizione giuridica
che possa adattarsi a questa struttura logica. E' chiaro che Internet non è un
"soggetto", perché tutti i rapporti telematici non si realizzano
"con" la Rete, ma si realizzano tra soggetti diversi "nella"
Rete. Ma allora la Rete è un "luogo"!
Se accettiamo questa definizione, tutto diventa più chiaro. La Rete è un
luogo nel quale si realizzano rapporti interpersonali, relazioni commerciali,
azioni illecite, insomma tutto quello che si manifesta perché esiste quello che
chiamiamo "ciberspazio" o "spazio virtuale". Le difficoltà
emergono quando tentiamo di definire le relazioni tra lo spazio virtuale e lo
spazio reale. Non dimentichiamo che il diritto positivo (cioè quello
riconosciuto e in qualche modo codificato) tende a delimitare lo spazio, a
identificare confini che dividono lo spazio in "territori", e ad
assumere il territorio come uno dei presupposti per l'applicazione della legge.
Dunque si deve decidere quale legge debba essere applicata al
"territorio-rete".
I singoli ordinamenti nazionali, come abbiamo visto, non riescono a
"contenere" tutte le situazioni che si verificano nel ciberspazio. Per
gli aspetti penali possono essere predisposti accordi internazionali simili a
quelli già esistenti per i delitti del "mondo reale". Per gli aspetti
civilistici qualcuno potrebbe avere la tentazione di richiamare le norme del
"diritto internazionale privato", che tuttavia si rivelano
impraticabili perché, di fatto, consistono in una serie di richiami ai diritti
nazionali e spesso determinano situazioni di conflitto di difficilissima
soluzione. Con la sempre maggiore diffusione delle transazioni su scala globale
è necessaria una regolamentazione per quanto possibile uniforme e accettata dal
maggior numero possibile di paesi.
A mio avviso, l'unica soluzione possibile consiste nella definizione di un diritto
della Rete che prescinda in partenza dalle legislazioni dei singoli stati. A
questa soluzione si oppone però il concetto di "territorio" che di
norma è alla base dell'applicabilità della legge. Ma c'è un'eccezione, quella
relativa agli spazi in cui vige il diritto della navigazione marittima o aerea.
Questi spazi extraterritoriali hanno inizio nel punto in cui terminano gli spazi
territoriali. Se si riuscisse a stabilire un "limite delle reti
territoriali", come per le acque e gli spazi aerei, il problema potrebbe
essere avviato a soluzione. Resterebbe da capire quale possa essere il confine.
Vediamo il caso dei dati personali contenuti
nelle pagine del World Wide Web. Per la legge italiana essi sono
"trasferiti all'estero" nel momento stesso in cui sono pubblicati,
perché "messi a disposizione" di soggetti che si trovano al di fuori
del territorio nazionale. Ma allora la frontiera, il punto di confine, è il
modem, oppure il server del fornitore di accesso. Attenzione, però, che
il concetto di esportazione presuppone il passaggio di un bene da un territorio
a un altro. Verso quale territorio viene esportata un'informazione immessa nella
Rete? Verso "tutti gli altri", viene da rispondere, ma è una risposta
insoddisfacente, perché le norme sull'esportazione sono ovunque diverse a
seconda del paese destinatario (senza considerare gli aspetti relativi ai beni
in transito).
Considerare la Rete come un territorio, da, verso
e attraverso il quale possono compiersi passaggi di beni immateriali,
costituisce un salto concettuale non facile. E si può obiettare che si possono
determinare conflitti tra il "territorio rete" e le realtà
territoriali sulle quali la rete fisicamente si trova. In effetti è
difficile immaginare che a un territorio reale in senso giuridico se ne possa
sovrapporre un altro, a meno che non si pensi al secondo come a un
"meta-territorio".
Se si osserva con occhio disincantato la realtà della Rete, non è difficile
immaginarla come un metaterritorio. Non tanto una realtà extraterritoriale,
come le acque e gli spazi aerei, né come un luogo a-territoriale, che sarebbe
una contraddizione in termini, ma come qualcosa di ulteriore, di esterno, anche
se localizzato, di volta in volta, in corrispondenza di un territorio
riconosciuto dalla comunità internazionale.
Se si arrivasse a una definizione giuridica della Rete come metaterritorio,
diventerebbe molto più facile creare una normativa accettabile dalla maggior
parte degli stati. Il punto più difficile sarebbe probabilmente
l'individuazione della linea di confine, che non dovrebbe essere fisica, ma
logica: per esempio, un trasferimento di dati che abbia origine e temine nello
stesso stato, sarebbe soggetto alla legge di quello stato e non del
metaterritorio; nel caso poi che questo flusso "interno" passasse
attraverso un altro paese (cosa del tutto normale da un punto di vista tecnico),
quest'ultimo non avrebbe alcuna competenza immediata su esso, in quanto, per
quella tratta, sarebbe metaterritoriale e quindi soggetto alle norme del
metaterritorio.
Mi rendo conto che tutto questo può apparire
azzardato, o addirittura stravagante, a chi non abbia una conoscenza diretta e
approfondita del ciberspazio e conosca bene, invece, il sistema delle leggi
vigenti. Ma chi ha preso confidenza col browser, chi è abituato a
scambiare informazioni attraverso la Rete, chi ha "navigato" per più
di qualche ora nel Web, ha certamente afferrato il senso di quegli strani rumori
che vengono prodotti dai modem al momento della connessione. Essi sono il
segnale dell'attraversamento di un confine, dell'uscita da uno spazio reale non
verso un "esterno" non delimitato, ma verso "l'interno" di
un territorio diverso, ovvero del metaterritorio.
E' evidente che una regolamentazione della Rete come realtà territoriale
autonoma renderebbe più facile non solo l'accordo internazionale su una serie
di aspetti normativi che oggi appaiono di ardua soluzione, ma anche
l'innovazione legislativa all'interno dei singoli stati. Infatti, compiuto il
passaggio concettuale che porta alla definizione della rete come metaterritorio,
diventerebbe più semplice immaginare che il luogo della stipulazione di un
contratto o della commissione di un delitto sia, appunto, "la rete"
(di volta in volta come "rete nazionale", e quindi soggetta al diritto
interno, oppure metaterritorio e quindi soggetta al "diritto della
navigazione in rete").
Questa espressione può apparire suggestiva, soprattutto se si riflette sull'uso
comune del verbo "navigare" per indicare l'attività di ricerca su
Internet. Tuttavia il "diritto della navigazione in rete" non avrebbe
una struttura paragonabile a quella del diritto della navigazione marittima o
aerea, perché dovrebbe regolare fattispecie completamente diverse. La sola
analogia consisterebbe nel fatto che si tratterebbe di un diritto "speciale
e autonomo", cioè di un insieme di norme particolari destinate a regolare
situazioni non previste dal diritto comune, o da questo regolate in modo
diverso, e ordinate sistematicamente in un codice i cui contenuti dovrebbero
essere recepiti nei singoli ordinamenti statali.
Per giungere a questo risultato non bastano i pur
utili accordi tra singoli stati. Occorre un grande concerto internazionale,
che dovrebbe partire da un'apposita conferenza da preparare con larghezza di
vedute e una buona dose di entusiasmo. E' difficile, non può essere un
processo di breve durata, ma è l'unica strada percorribile per mettere ordine
in un assetto globale che rischia di non svilupparsi nel miglior modo possibile.
Non si può costruire un grande edificio se all'opera sono chiamati tanti
architetti, ciascuno dei quali elabora un suo progetto senza avere la minima
idea di quale debba essere il comune risultato finale.
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