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 Le regole dell'internet

Quali leggi per il "territorio Internet"?
di Manlio Cammarata (19.06.97)

Premessa

L'intervento di Ristuccia e Tufarelli pubblicato in questo numero di InterLex introduce, fra l'altro, il tema della natura giuridica di Internet. E' un argomento di importanza cruciale, che deve essere approfondito. Per questo mi sembra utile riproporre una tesi che ho avanzato qualche tempo fa, che definisce la Rete come un "meta-territorio" e accenna a un ipotetico percorso per una regolamentazione internazionale.
Questo testo tiene conto dei consensi e delle critiche sollevate alle prime formulazioni ed è una revisione dell'articolo pubblicato su MCmicrocomputer n. 174 (maggio 1997).
Prima di tutto fissiamo alcuni punti essenziali per inquadrare la situazione:

1. il progresso della diffusione di Internet, anche se non rapidissimo come si pensava qualche tempo fa, è inarrestabile e coinvolge gruppi di persone sempre più vasti e indifferenziati, fino a far ritenere non lontano il momento in cui la "Rete delle reti" potrà essere considerata un mezzo di comunicazione di massa, come la televisione;

2. il modello di Internet si evolve in forme sempre più lontane dalla sua impostazione originaria di mezzo di scambio di informazioni destinate a gruppi specifici di utilizzatori;

3. una convergenza tecnologica in buona parte spontanea porta Internet a incorporare media differenti, come la radio, la televisione, la stampa, fino a configurare un nuovo sistema globale di informazione;

4. l'interattività, e soprattutto la possibilità di ricercare e combinare le informazioni da parte del singolo utente, costituiscono un aspetto completamente nuovo di questo sistema globale di informazione:

5. tutti gli sviluppi, tecnologici e comunicativi, si verificano al di fuori di qualsiasi tentativo di programmazione e di regolamentazione.

Descritto così, molto sommariamente, il quadro d'insieme, dobbiamo aggiungere un paio di considerazioni:

6. l'utilizzo di Internet determina maggiori opportunità di conoscenza, di lavoro e di sviluppo personale e sociale; dunque è necessario che il maggior numero possibile di persone abbia accesso alla Rete e che non si crei un divario sempre più ampio tra "info-ricchi" e "info-poveri";

7. di conseguenza la regolamentazione di Internet non interessa solo i "cibernauti", ma tutta la popolazione, dal momento che in tempi abbastanza brevi l'intera vita economica e sociale della collettività sarà in qualche misura influenzata dalla presenza e dall'utilizzo di Internet. Anzi, della "Rete", perché la realtà tecnologica e comunicativa che si sta sviluppando è sempre più lontana dalla concezione originaria di Internet.

Poste queste premesse, occorre chiarire il punto centrale: che cosa si deve intendere per "regolamentazione di Internet"? In questo momento sembra che la questione più urgente da risolvere sia il controllo dei contenuti illegali o "critici"; subito dopo, in Italia, viene il problema delle tariffe. Ma questa è una visione molto parziale del problema, che non tiene conto della premessa più importante, cioè la diffusione dell'accesso alla Rete come strumento di crescita individuale e sociale e quindi come oggetto di un "diritto all'informazione" inteso in senso globale. Si deve aggiungere un secondo aspetto importante, quello della "certezza del diritto" per tutti i rapporti di rilevanza giuridica che si realizzano sulla rete, oltre che per eventuali comportamenti illeciti.

Due strumenti possono essere efficaci per costruire questo quadro di certezza giuridica: l'autoregolamentazione dei fornitori e un corpus di norme adottate dalla comunità internazionale. Le legislazioni nazionali sono quasi del tutto inutili a causa dell'estrema facilità con la quale possono essere aggirate. Il motivo principale di questa situazione è nell'impossibilità tecnica di imporre ai fornitori di accesso l'obbligo di controllare tutti i contenuti che provengono dall'esterno dei loro sistemi e quindi è inaccettabile il principio della loro responsabilità civile e penale per il materiale illegittimo o critico immesso da terzi nei sistemi che gestiscono.
Tratterò dei problemi dell'autoregolamentazione in un prossimo articolo. In questo cerco di mettere a fuoco i principi di un'auspicabile normativa internazionale.

I termini del problema

Le leggi nazionali non sono in grado di regolare tutte le attività che si svolgono in forma telematica, come si dimostra con qualche semplice esempio
E' già possibile, e tra poco tempo sarà un fatto assolutamente normale, acquistare in rete beni e servizi. Poniamo un caso in cui l'acquirente si trovi in Italia e il venditore negli Stati Uniti: quale legge regola questa transazione, quale tribunale di quale nazione è competente per un'eventuale controversia? Il "diritto internazionale privato" può offrire qualche risposta, ma in molti casi il meccanismo di rinvii sui quali è fondato potrebbe rivelarsi troppo complesso, soprattutto se si considerano gli sviluppi quantitativi prevedibili a medio termine per il commercio telematico.
Un problema simile può essere posto per un'azione delittuosa. Un hacker che si trova in Svezia attacca un sistema che si trova in Italia; complichiamo un po' la situazione immaginando che per compiere questo illecito penale egli si introduca abusivamente in un sistema posto sul territorio australiano (l'ipotesi non è peregrina). La domanda naturalmente è: in quale nazione è stato compiuto il crimine?
Ci possono essere situazioni ancora più complesse. Immaginiamo che nel paese A sia operante una rete di telecomunicazioni di proprietà del paese B, e che su questa rete passino contenuti provenienti dal paese C e diretti al paese D. Nel paese A, dove si trovano i router della rete del paese B, questi contenuti sono proibiti, mentre sono perfettamente leciti negli altri paesi coinvolti nello scambio di informazioni. Un magistrato del paese A, in forza della legge nazionale, potrebbe proibire al gestore della rete il transito delle informazioni illegali (ammettiamo che il paese A sia l'Italia e i dati riguardino un traffico di armi: il magistrato italiano potrebbe legittimamente disporre il sequestro dei router interessati). Ora i paesi B, C e D potrebbero sollevare un putiferio: come si permette un magistrato di un'altro stato di impedire le nostre transazioni?

Dunque il punto fisso intorno al quale ruotano tutti i discorsi sulla regolamentazione di Internet è che la sua essenza transnazionale rende inefficace qualsiasi normativa statale. Le natura tecnologica del sistema consente di aggirare più o meno facilmente qualsiasi limitazione che possa essere introdotta da un singolo paese. Si pensa quindi a forme di cooperazione internazionale, come quelle prospettate nel rapporto della Commissione europea, che portino a iniziative comuni nel rispetto dei singoli ordinamenti. Di fatto nessun serio tentativo è stato compiuto fino a oggi in questa direzione, forse nella consapevolezza di una realtà innegabile: se un certo numero di stati non si adegua a regole minime comuni possono sorgere "paradisi telematici" dai quali può essere aggirata qualsiasi normativa nazionale. Accade con i "paradisi fiscali", ma nel caso della Rete il fenomeno può avere conseguenze molto più gravi. Infatti la violazione delle norme sui trasferimenti di capitali e altre operazioni del genere avviene per opera di un numero limitato di soggetti e attraverso procedure complesse, che comportano danni economici anche rilevanti per gli stati interessati, ma non coinvolgono direttamente la generalità dei cittadini. Invece la diffusione di contenuti critici o la commissione di atti illeciti via Internet può danneggiare larghe fasce di utenti, ed è molto più facile.
Dunque è indispensabile che venga avviata una concertazione internazionale di vasto respiro e che, nello stesso tempo, all'interno dei singoli stati si adottino strumenti normativi coerenti con la prospettiva di una regolamentazione globale.
Si pone a questo punto un problema apparentemente banale, tanto banale che sembra sfuggire a molti dotti disquisitori della materia: che cosa si deve regolare? Internet, è la banale risposta. Ma che cos'è Internet?

Il "codice genetico" di Internet

Internet - o, meglio, la Rete - è un sistema assai complesso che si sviluppa secondo regole proprie. Tutti i tentativi di programmare o indirizzare lo sviluppo della Rete fino a ora non hanno avuto successo: si può incoraggiarne lo sviluppo, come hanno fatto e fanno gli Stati Uniti, o si può frenarlo con politiche miopi e ottuse, come fa l'Italia. Ma la direzione del progresso è comunque il risultato di una difficilmente inquadrabile somma di spinte: in primo luogo l'evoluzione tecnologica, poi gli interessi dell'industria e le sue strategie, le spesso imprevedibili reazioni del mercato, le politiche dei governi e via discorrendo.
Sembra che Internet possieda una sua capacità autonoma di incorporare e assimilare tutte le possibili forme di comunicazione, influenzando attraverso questo l'ambiente in cui vive. Probabilmente questo dipende in primo luogo dalla natura dei protocolli TCP-IP e dalla loro estrema flessibilità. E' significativo il fatto che nel giro di pochi anni, praticamente da quando ha iniziato a diffondersi il World Wide Web, siano scomparsi o passati in secondo piano tutti gli altri protocolli di telecomunicazione e i sistemi di archiviazione e ricerca delle informazioni non compatibili con il linguaggio HTML. Persino i più importanti sistemi di database, come Oracle, Access e simili, si evolvono in direzione di un utilizzo ipertestuale sugli schemi del Web. Anche il futuro sistema operativo Microsoft per l'informatica personale seguirà lo schema della "navigazione" sulla Rete ipertestuale e multimediale. Infine, i recenti annunci dell'imminente ampia disponibilità di canali Internet via satellite fanno pensare che la convergenza tra televisione e personal computer evolve definitivamente verso il PC (e quindi verso il mondo Internet) piuttosto che verso la TV.

Insomma, in questo momento qualsiasi evoluzione delle tecnologie dell'informazione deve confrontarsi con gli schemi informativi e i presupposti tecnici, che costituiscono una sorta di "codice genetico" di Internet. Un esempio che ci riguarda da vicino è quello della Rete unitaria della pubblica amministrazione, progettata dall'AIPA. Dopo anni di proposte più o meno inconcludenti, dopo interminabili dibattiti e conferenze sugli standard e sull'interoperabilità, si è arrivati alla conclusione che Internet è l'unico sistema a portata di mano per interconnettere e consentire lo scambio di informazioni tra gli uffici pubblici. Ne è derivato un nuovo modello di pubblica amministrazione che ricalca il "modello Internet", al punto che in qualche documento dell'Autorità per l'informatica le unità organizzative della PA sono definite "siti"!

Le regole che esistono

C'è un altro aspetto che deve essere messo in rilievo. Si dice e si scrive che Internet è "un mondo senza regole", che vi regna la più sfrenata anarchia; si tende a vedere il ciberspazio come una specie di Far West, dove vige la legge del più forte o del più furbo. Nulla di più falso.
Come vedremo meglio tra un attimo, Internet esiste proprio grazie a un sistema di regole perfettamente strutturato. Una parte di queste sono di natura strettamente tecnica (i protocolli), altre di tipo tecnico-amministrativo (come la struttura degli indirizzi di rete), altre ancora definiscono i comportamenti (la cosiddetta "netiquette"). Tutto nell'ambito del principio generale della libertà di espressione e dell'adesione volontaria di ogni soggetto all'insieme delle regole. Qui sta il nocciolo della questione: lo sviluppo della struttura originaria della rete e buona parte della sua più recente evoluzione sono fondati su una forma particolare e generalizzata di "contratto per adesione", le cui clausole sono accettate da tutti gli aderenti come condizione necessaria per l'appartenenza al sistema. Non si può far parte di Internet e non accettarne le regole: dal punto di vista tecnico è impossibile, dal punto di vista dei comportamenti si rischia di essere "espulsi" dalla riprovazione di tutti gli altri aderenti (questo, detto di sfuggita, è il fondamento dell'autoregolamentazione).

La caratteristica più importante del sistema di regole che governa Internet è che esso non fa riferimento ad alcun sistema giuridico riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali. Cioè non esistono norme che regolino Internet al di sopra delle sue interne. E' vero che in ogni paese in cui operano soggetti collegati alla Rete esistono leggi che i soggetti stessi devono rispettare, ma nella maggior parte dei casi si tratta di norme generali, non dettate in funzione delle attività di Internet. Dove invece ci sono normative statali specifiche (per esempio in Cina e a Singapore), l'uso della rete non è libero, e non a caso sono nazioni il cui ordinamento non può essere definito democratico.
Ora qualcuno chiederà: ma se la Rete dispone di un sistema così efficace di norme, da dove nascono i problemi della pornografia, della pedofilia, della diffusione di incitamenti al crimine o all'odio razziale e via elencando? La risposta è che questi comportamenti rientrano nell'ambito della libertà di espressione on-line, almeno secondo le visioni più radicali, come quella della Electronic Frontier Foundation. Ma in questo modo non si risolve il problema, perché l'allarme sociale destato dai "contenuti critici" è forte e potrebbe alla fine portare a forme di controllo, censura e repressione che si sa dove incominciano e non si sa mai dove vanno a finire. Da qui la necessità dell'autoregolamentazione da una parte e di una normativa globale dall'altra, che non siano in contrasto con il "codice genetico" della Rete.
Ma l'autoregolamentazione può essere efficace solo per quanto riguarda i rapporti tra i soggetti coinvolti nella definizione e nell'applicazione dei relativi codici, oltre che per i loro beneficiari, gli utenti. Non può in alcun modo influire su situazioni giuridiche esterne al sistema. Per esempio, non può determinare effetti legali sulla proprietà o sull'esecuzione di contratti, o su altre situazioni normalmente regolate dalle legge comune o dagli accordi internazionali. Il problema di regolamentare Internet si pone quindi per i rapporti tra la Rete e "il resto del mondo".
Tanto per fare un esempio: l'autoregolamentazione può servire a determinare il comportamento dei fornitori di accesso per la selezione dei contenuti, mettiamo in materia di pedofilia, ma non ci può essere autoregolamentazione per il reato di abuso sessuale ai danni di un minore, è una questione che ricade nelle previsioni della legge del paese in cui si verifica il fatto.

La natura giuridica di Internet

Entriamo così nel "problema dei problemi": oltre alla difficoltà determinare l'ordinamento giuridico nel cui ambito devono essere inquadrate molte attività - lecite o illecite - che si svolgono sulla Rete, vi sono rapporti particolari, caratteristici del mondo "virtuale", che difficilmente possono essere ricondotti a situazioni analoghe nel mondo "reale" (si pensi al complicato sistema di relazioni coinvolte nella configurazione di un router, cioè di uno di quei computer che smistano i flussi di bit sulle reti interconnesse).
Per affrontare questi problemi è indispensabile chiarire un punto fondamentale: che cos'è Internet dal punto di vista del diritto? O, per dirla in termini tecnici, qual è la natura giuridica di Internet? La risposta a questa domanda è preliminare a qualsiasi altra considerazione e richiede conoscenze tecnologiche e conoscenze giuridiche in pari misura.
Indagando sui rapporti che si instaurano nella Rete, il giurista si accorge presto dell'assenza di qualsiasi requisito che possa far attribuire a Internet una personalità giuridica. Non ha uno status, non è titolare di diritti, non ha doveri. Non esiste un "responsabile di Internet", un amministratore, un procuratore. Nessuno può stipulare un contratto "con Internet". Non esiste nessun soggetto del quale si possa dire che abbia un rapporto giuridico, di qualsiasi natura, con Internet. Si può concludere che Internet "non esiste" dal punto di vista giuridico? Vediamo.

La definizione usuale di Internet è "la rete che collega milioni di computer in tutto il mondo". Ora noi sappiamo che cosa è una rete, dal punto di vista fisico. E' un insieme di beni materiali, cioè cavi, antenne ricetrasmittenti e apparecchiature di commutazione, e di beni immateriali, cioè i software che la fanno funzionare. Il punto è che non esiste un solo metro di cavo, una sola antenna, un solo router, una sola riga di software di cui si possa dire che "è di Internet". Ciascun pezzo dell'infrastruttura globale di telecomunicazioni appartiene a un soggetto diverso, che può essere pubblico o privato, nazionale o multinazionale. Ogni rete fa capo a uno o più soggetti proprietari delle infrastrutture fisiche e titolari dei diritti di utilizzo del software. Ma Internet, in quanto Internet, non solo non è proprietaria di alcuna infrastruttura, ma non ha nemmeno un contratto, sia pure implicito o informale, con alcun proprietario di infrastrutture di telecomunicazioni. La conclusione che "non esiste" è fondata sulla semplice osservazione dei fatti.
Eppure c'è, funziona abbastanza bene, ed è la rete di telecomunicazioni più estesa del mondo, "la Rete" per eccellenza. Come può funzionare qualcosa che non esiste? Per capirlo dobbiamo analizzare "come" funziona. Vediamo, per esempio, che cosa deve fare un soggetto che voglia collegare il suo computer a Internet. Deve fare due cose: stipulare un contratto con un soggetto detto "Internet Access Provider" (che non è Internet!) e installare nella sua macchina un software con particolari caratteristiche, definite da un insieme di norme tecniche designate come "protocolli TCP/IP". La più importante di queste norme riguarda la designazione del computer collegato alla rete, in termini tecnici il suo "indirizzo" (IP address), che può essere fisso o assegnato di volta in volta all'inizio del collegamento. Tutto questo "è Internet". Qualsiasi soggetto che disponga dei requisiti elencati, cioè di un diritto di accesso (del quale è parte essenziale l'assegnazione dell'indirizzo fisso o variabile), e del software TCP/IP può connettersi alla rete o, più esattamente, può usare la rete per connettersi ad altri soggetti che seguano le stesse regole.

Quindi Internet altro non è che un accorgimento tecnico, fondato su regole tecniche, che consente il collegamento (e quindi lo scambio di informazioni) tra un numero indefinito di soggetti che si trovano nelle stesse condizioni. Ecco perché "Internet non esiste"! Esistono solo dei soggetti che si connettono tra loro usando le reti di telecomunicazioni (di chiunque siano, purché interconnesse). Possiamo quindi identificare Internet come "un insieme di regole". E' un insieme fortemente strutturato, al punto che possiamo definire la Rete come una struttura caratterizzata da una logica interna fondata su regole tecniche. Abbiamo quindi in qualche modo trovato una risposta alla domanda "che cosa è Internet": Internet è una struttura logica.

La Rete come "meta-territorio"

Ora possiamo cercare una definizione giuridica che possa adattarsi a questa struttura logica. E' chiaro che Internet non è un "soggetto", perché tutti i rapporti telematici non si realizzano "con" la Rete, ma si realizzano tra soggetti diversi "nella" Rete. Ma allora la Rete è un "luogo"!
Se accettiamo questa definizione, tutto diventa più chiaro. La Rete è un luogo nel quale si realizzano rapporti interpersonali, relazioni commerciali, azioni illecite, insomma tutto quello che si manifesta perché esiste quello che chiamiamo "ciberspazio" o "spazio virtuale". Le difficoltà emergono quando tentiamo di definire le relazioni tra lo spazio virtuale e lo spazio reale. Non dimentichiamo che il diritto positivo (cioè quello riconosciuto e in qualche modo codificato) tende a delimitare lo spazio, a identificare confini che dividono lo spazio in "territori", e ad assumere il territorio come uno dei presupposti per l'applicazione della legge. Dunque si deve decidere quale legge debba essere applicata al "territorio-rete".
I singoli ordinamenti nazionali, come abbiamo visto, non riescono a "contenere" tutte le situazioni che si verificano nel ciberspazio. Per gli aspetti penali possono essere predisposti accordi internazionali simili a quelli già esistenti per i delitti del "mondo reale". Per gli aspetti civilistici qualcuno potrebbe avere la tentazione di richiamare le norme del "diritto internazionale privato", che tuttavia si rivelano impraticabili perché, di fatto, consistono in una serie di richiami ai diritti nazionali e spesso determinano situazioni di conflitto di difficilissima soluzione. Con la sempre maggiore diffusione delle transazioni su scala globale è necessaria una regolamentazione per quanto possibile uniforme e accettata dal maggior numero possibile di paesi.
A mio avviso, l'unica soluzione possibile consiste nella definizione di un diritto della Rete che prescinda in partenza dalle legislazioni dei singoli stati. A questa soluzione si oppone però il concetto di "territorio" che di norma è alla base dell'applicabilità della legge. Ma c'è un'eccezione, quella relativa agli spazi in cui vige il diritto della navigazione marittima o aerea. Questi spazi extraterritoriali hanno inizio nel punto in cui terminano gli spazi territoriali. Se si riuscisse a stabilire un "limite delle reti territoriali", come per le acque e gli spazi aerei, il problema potrebbe essere avviato a soluzione. Resterebbe da capire quale possa essere il confine.

Vediamo il caso dei dati personali contenuti nelle pagine del World Wide Web. Per la legge italiana essi sono "trasferiti all'estero" nel momento stesso in cui sono pubblicati, perché "messi a disposizione" di soggetti che si trovano al di fuori del territorio nazionale. Ma allora la frontiera, il punto di confine, è il modem, oppure il server del fornitore di accesso. Attenzione, però, che il concetto di esportazione presuppone il passaggio di un bene da un territorio a un altro. Verso quale territorio viene esportata un'informazione immessa nella Rete? Verso "tutti gli altri", viene da rispondere, ma è una risposta insoddisfacente, perché le norme sull'esportazione sono ovunque diverse a seconda del paese destinatario (senza considerare gli aspetti relativi ai beni in transito).

Considerare la Rete come un territorio, da, verso e attraverso il quale possono compiersi passaggi di beni immateriali, costituisce un salto concettuale non facile. E si può obiettare che si possono determinare conflitti tra il "territorio rete" e le realtà territoriali sulle quali la rete fisicamente si trova. In effetti è difficile immaginare che a un territorio reale in senso giuridico se ne possa sovrapporre un altro, a meno che non si pensi al secondo come a un "meta-territorio".
Se si osserva con occhio disincantato la realtà della Rete, non è difficile immaginarla come un metaterritorio. Non tanto una realtà extraterritoriale, come le acque e gli spazi aerei, né come un luogo a-territoriale, che sarebbe una contraddizione in termini, ma come qualcosa di ulteriore, di esterno, anche se localizzato, di volta in volta, in corrispondenza di un territorio riconosciuto dalla comunità internazionale.
Se si arrivasse a una definizione giuridica della Rete come metaterritorio, diventerebbe molto più facile creare una normativa accettabile dalla maggior parte degli stati. Il punto più difficile sarebbe probabilmente l'individuazione della linea di confine, che non dovrebbe essere fisica, ma logica: per esempio, un trasferimento di dati che abbia origine e temine nello stesso stato, sarebbe soggetto alla legge di quello stato e non del metaterritorio; nel caso poi che questo flusso "interno" passasse attraverso un altro paese (cosa del tutto normale da un punto di vista tecnico), quest'ultimo non avrebbe alcuna competenza immediata su esso, in quanto, per quella tratta, sarebbe metaterritoriale e quindi soggetto alle norme del metaterritorio.

Mi rendo conto che tutto questo può apparire azzardato, o addirittura stravagante, a chi non abbia una conoscenza diretta e approfondita del ciberspazio e conosca bene, invece, il sistema delle leggi vigenti. Ma chi ha preso confidenza col browser, chi è abituato a scambiare informazioni attraverso la Rete, chi ha "navigato" per più di qualche ora nel Web, ha certamente afferrato il senso di quegli strani rumori che vengono prodotti dai modem al momento della connessione. Essi sono il segnale dell'attraversamento di un confine, dell'uscita da uno spazio reale non verso un "esterno" non delimitato, ma verso "l'interno" di un territorio diverso, ovvero del metaterritorio.
E' evidente che una regolamentazione della Rete come realtà territoriale autonoma renderebbe più facile non solo l'accordo internazionale su una serie di aspetti normativi che oggi appaiono di ardua soluzione, ma anche l'innovazione legislativa all'interno dei singoli stati. Infatti, compiuto il passaggio concettuale che porta alla definizione della rete come metaterritorio, diventerebbe più semplice immaginare che il luogo della stipulazione di un contratto o della commissione di un delitto sia, appunto, "la rete" (di volta in volta come "rete nazionale", e quindi soggetta al diritto interno, oppure metaterritorio e quindi soggetta al "diritto della navigazione in rete").
Questa espressione può apparire suggestiva, soprattutto se si riflette sull'uso comune del verbo "navigare" per indicare l'attività di ricerca su Internet. Tuttavia il "diritto della navigazione in rete" non avrebbe una struttura paragonabile a quella del diritto della navigazione marittima o aerea, perché dovrebbe regolare fattispecie completamente diverse. La sola analogia consisterebbe nel fatto che si tratterebbe di un diritto "speciale e autonomo", cioè di un insieme di norme particolari destinate a regolare situazioni non previste dal diritto comune, o da questo regolate in modo diverso, e ordinate sistematicamente in un codice i cui contenuti dovrebbero essere recepiti nei singoli ordinamenti statali.

Per giungere a questo risultato non bastano i pur utili accordi tra singoli stati. Occorre un grande concerto internazionale, che dovrebbe partire da un'apposita conferenza da preparare con larghezza di vedute e una buona dose di entusiasmo. E' difficile, non può essere un processo di breve durata, ma è l'unica strada percorribile per mettere ordine in un assetto globale che rischia di non svilupparsi nel miglior modo possibile.
Non si può costruire un grande edificio se all'opera sono chiamati tanti architetti, ciascuno dei quali elabora un suo progetto senza avere la minima idea di quale debba essere il comune risultato finale.