Internet, il bambino e l'acqua
sporca
di Manlio Cammarata - 10.09.98
Vorrei non scrivere nulla sull'uso di Internet da parte dei pedofili, perché
su questo argomento è stato scritto troppo. Ma siccome troppo non
è stato scritto, e tra quello che è stato scritto ci sono troppe sciocchezze,
sento il dovere di metter giù un piccolo elenco di questioni sulle quali mi
sembra necessario riflettere.
1. La pedofilia è un problema vecchio quanto il mondo, che deve essere
inquadrato in termini precisi. In particolare si deve distinguere tra
l'attenzione per i bambini (che, per quanto ne so, ha sempre suscitato
disapprovazione) e quella per gli adolescenti, accettata in altre epoche e in
altre società.
2. Nel nostro mondo la pedofilia è un tabù, come l'incesto. Un tabù -
semplificando - è un divieto di ordine morale, che è tanto più severo quanto
più forte è l'impulso a violarlo. Si tratta, naturalmente, di un impulso che
risiede in quello che da Freud in poi chiamiamo "l'inconscio" e che
solo in alcune persone emerge alla coscienza.
3. Chi si sente spinto a comportamenti che sono considerati tabù, vive una
profonda contraddizione tra i suoi desideri e i divieti che sono comunque
presenti della sua psiche. Questa lacerazione può esprimersi in diversi modi, o
non apparire, ma nella maggior parte dei casi è comunque fonte di sofferenza.
Un pedofilo è molto spesso una persona che soffre, in altri casi è un
individuo che, per la sua condizione sociale e culturale, non ha sviluppato la
capacità di reagire ai propri impulsi.
4. Essere pedofilo non è (o non dovrebbe essere, in uno Stato di diritto) un
reato. La pedofilia, come qualsiasi altra inclinazione socialmente disapprovata,
diventa reato quando danneggia un'altra persona. E' giusto temere che le
attenzioni sessuali di un adulto per un bambino comportino un danno per
quest'ultimo, e non c'è dubbio che si tratti di una forma di violenza, dal
momento che si rivolge a un soggetto fortemente influenzabile, perché non ha
ancora maturato la capacità di valutare e di decidere. Dunque è corretto
qualificare come reato ogni atto sessuale rivolto verso un minore.
5. Dal momento che la pedofilia è tabù, e quindi desta riprovazione
sociale, i pedofili tendono a nascondersi, a costituirsi in "società
segrete" e a comunicare in codice o attraverso canali riservati.
6. Altra cosa è lo sfruttamento sessuale dei minori a scopo di lucro. Qui
siamo di fronte a un crimine orrendo, che desta un forte allarme sociale. Questo
allarme si riflette, fra l'altro, nel suggestivo titolo della nostra recente
legge anti-pedofilia, con l'immagine colorita della "riduzione in
schiavitù". Il losco trafficante di bambini non dovrebbe essere confuso
col pedofilo, ma purtroppo il colpevole sensazionalismo dei mezzi di
informazione non aiuta la collettività a comprendere i termini del problema e
le sue reali implicazioni.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedermi che cosa c'entra tutto questo con
Internet, e perché mi sono dilungato in questioni che esulano dal campo di
interessi di questa rivista.
La risposta alla prima domanda è che Internet non c'entra affatto. La risposta
alla seconda è che altri hanno collegato arbitrariamente la Rete e la pedofilia
e che questo collegamento ha conseguenze devastanti per lo sviluppo della
società dell'informazione. Dunque è opportuno che ce ne occupiamo in queste
pagine.
E' vero che in alcuni casi i pedofili si servono di Internet per comunicare tra
loro e per adescare le loro vittime. Perché è un mezzo di comunicazione molto
efficace e pratico. Però - come osserva Giancarlo Livraghi in Storia della crociata infame - Internet si può
controllare con troppa facilità, e quindi deve trattarsi di pedofili un po'
sprovveduti.
E' anche vero che a tanto impegno poliziesco (con i soliti sequestri
incongruenti quanto dannosi) e a tanto clamore giornalistico corrisponde una
realtà assai modesta: solo otto o dieci individui in Italia sospettati di aver
violato la legge Anti-pedofilia. Non bastano neanche a fare una squadra di
calcio per un torneo parrocchiale.
Ah, già... le parrocchie, i collegi, le scuole e i loro dintorni, i giardini
pubblici. Scommetterei che in questo momento ci sono molti più pedofili nei
giardini di una sola grande città che su tutta Internet.
Ma a nessuno viene in mente di creare, con titoli su cinque colonne, uno
stretto collegamento tra i giardinetti e i traffici dei pedofili. Come a nessuno
viene in mente di intentare un processo postumo al povero Meucci, per il fatto
che i pedofili comunicano tra di loro anche per telefono (come si apprende dai
risultati delle indagini).
Il fatto è che al tabù della pedofilia si somma quella che chiamo "internetfobia",
cioè la paura diffusa di un mezzo pericoloso per chi non ha la capacità di
intendere il nuovo e di volere il progresso, anche perché vede (più o meno
confusamente) che si avvicina la fine del proprio potere.
Da questo connubio nascono le stravaganti ipotesi di reato e le preoccupanti
proposte di selezione e censura dei contenuti, che hanno incominciato a produrre
effetti negativi sulla libertà della Rete, come dimostrerò in un prossimo
articolo (per non parlare delle deliranti iniziative di improbabili
giustizieri).
Esercitare qualche legittima forma di sorveglianza sui contenuti di Internet
e perseguire i soggetti che vi commettono reati è giusto. Si deve buttar via
l'acqua sporca dalla tinozza, facendo attenzione però a non buttar via anche il
bambino appena lavato, come recita il vecchio adagio.
Ma ora stiamo veramente buttando via il bambino insieme all'acqua sporca. E qui
il bambino è la Rete, che nel nostro paese non riesce a diventare adulta anche
a causa delle mistificazioni dei sempre attivissimi internet-fobici che lo
popolano.
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