Sotto torchio gli
operatori della Rete
di Manlio Cammarata - 10.04.03
Va a posto un altro tassello del sempre più complesso quadro normativo sulle
tecnologie dell'informazione: il Governo ha approvato definitivamente il 28
marzo scorso il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2000/31/CE, "relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il
commercio elettronico". Il testo che
pubblichiamo dovrebbe essere quello definitivo, anche se qualche sorpresa è
sempre possibile fino alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Era stato detto che nella stessa seduta il Governo aveva approvato
definitivamente anche il recepimento della 2001/29/CE
"sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti
connessi nella società dell'informazione". Pare che un'approvazione ancora
più definitiva sia intervenuta nei giorni scorsi, sicché è bene aspettare un
testo "definitivamente definitivo", prima di pubblicarlo ed esprimere
le prime valutazioni.
Ritorniamo al recepimento della direttiva n. 31 del 2000. Il titolo del
provvedimento, in cui si parla di "alcuni aspetti giuridici", sembra
riduttivo di fronte alla reale portata delle prescrizioni che contiene. In
effetti il quadro complessivo delle norme sulle attività on line risulta
da una nutrita serie di provvedimenti, per di più in fase di continuo
aggiornamento, con gli inevitabili problemi di coordinamento di disposizioni
intervenute in momenti diversi. E' il caso, per esempio, delle norme sulle
comunicazioni commerciali non sollecitate, che compaiono in diversi
provvedimenti nazionali e comunitari, questi ultimi in parte ancora da recepire.
Qui ci occupiamo delle disposizioni, molto attese, sulle responsabilità dei
prestatori di servizi della società dell'informazione, contenute negli articoli
14, 15, 16 e 17. Essi riprendono le previsioni della legge delega, che a sua volta copiava, con
variazioni non sostanziali, gli articoli da 12 a 16 della direttiva. Si tratta
delle responsabilità per i servizi di "semplice trasporto" (art. 14 del recepimento), memorizzazione
temporanea (art. 15) e hosting (art. 16), a cui si aggiunge la fondamentale
previsione dell'assenza di un obbligo generale di sorveglianza (art. 17). Disposizioni che, nella loro
formulazione letterale, suscitano non poche perplessità (si veda, per i
dettagli, Provider e responsabilità nella legge
comunitaria 2001 di ALCEI).
In sostanza, dice il testo, i fornitori di servizi non hanno alcuna
responsabilità per i contenuti, a condizione che non intervengano in alcun modo
sui contenuti stessi, il che è già ampiamente previsto dal nostro ordinamento
(e da qualsiasi altro ordinamento di un paese democratico). Tuttavia la
formulazione delle norme è tale da ingenerare non poche perplessità in
relazione alla natura degli interventi dei fornitori di servizi, perché è noto
che le attività di trasmissione e instradamento delle informazioni comportano
sempre qualche forma di "intervento" che potrebbe rientrare tra le
cause di non esenzione della responsabilità.
E' ovvio che, ai fini dell'attribuzione di una responsabilità, il giudice
indagherà su quello che i giuristi chiamano "l'elemento soggettivo
dell'illecito", dovrà cioè stabilire se l'intervento del provider sui
contenuti sia una mera operazione tecnica o se vi sia l'intenzione di influire
in qualche modo sui contenuti stessi: solo in questo caso si potrà parlare di
responsabilità del fornitore.
Tuttavia l'esperienza insegna che disposizioni così generiche costituiscono un
pericolo non trascurabile: non è comunque positivo che un'assenza di
responsabilità sia sancita da un giudice al termine di un'istruttoria o
addirittura di un processo, laddove una norma più chiara eviterebbe all'origine
l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Un discorso analogo, ma ancora più critico, deve essere fatto per l'art. 17, "Assenza dell'obbligo generale
di sorveglianza". Leggiamolo con attenzione:
1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il
prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle
informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare
attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
Nulla di nuovo rispetto all'ordinamento esistente, ma la disposizione è
importantissima perché consente di stabilire che qualsiasi diversa prescrizione
(per esempio, a proposito della lotta alla pedofilia) sarebbe contraria alle
disposizioni comunitarie, oltre che al senso comune. Andiamo avanti:
2. Fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 14, 15 e 16, il
prestatore è comunque tenuto:
a) ad informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa
avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o
informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della
società dell'informazione;
Questa è una disposizione nuova e legittima. Naturalmente si dovrà in
qualche modo provare che, in un dato momento, il prestatore era "a
conoscenza di presunte attività o informazioni illecite" (qui si dovrebbe
riaprire un discorso già fatto: per il nostro ordinamento, non esiste
l'informazione "illecita"; illecito può essere solo un
comportamento). Resta comunque il problema di capire su quali basi il provider
possa valutare la presunta illiceità di un comportamento.
b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le
informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario
dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di
individuare e prevenire attività illecite.
Niente di nuovo: chiunque rifiuta di fornire a un'autorità competente
informazioni (di cui è certamente in possesso) sul presunto autore di un
illecito penale, commette il reato di favoreggiamento.
3. Il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi
nel caso in cui, richiesto dall'autorità giudiziaria o amministrativa avente
funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto
contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o
pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura
l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente.
Anche qui saremmo di fronte a un'ipotesi pacifica di responsabilità
extracontrattuale, per la prima parte della disposizione, dunque a una norma
superflua. Ma la seconda parte è talmente vaga da consentire qualsiasi
interpretazione, estensiva o restrittiva: che significa "avendo avuto
conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo"? Basta
una e-mail di segnalazione, o una lettura casuale, o occorre una diffida o un
qualche altro atto formale?
Un aspetto va sottolineato: le disposizioni di attuazione sono molto più severe
di quelle previste dall'art. 15 della
direttiva, senza considerare il fatto che il loro recepimento non era
obbligatorio. Dice infatti la norma comunitaria che "Gli Stati membri
possono stabilire...". Non che "devono".
Dunque ancora una volta non si è persa l'occasione per mettere "sotto
torchio" gli operatori della Rete.
Perché? |