Si moltiplicano (l’Abruzzo è solo l’ultimo in ordine di tempo) i casi
di presidenti di Regione e sindaci che emettono ordinanze di contrasto
all’emergenza COVID-19 limitando i diritti costituzionali dei cittadini,
imponendo sanzioni amministrative e impiegando la polizia municipale come
forza di sicurezza pur “nel rispetto della normativa”.
Sono provvedimenti illegittimi perché solo una legge dello Stato, anche e
sopratutto e in emergenza, può comprimerli. Governo e Parlamento non possono
lasciar passare impunemente questo strappo costituzionale. Così facendo,
legittimerebbero il concetto che in tempo di emergenza “comanda chi fa”, e
poi – a bocce ferme – si discuterà.
Ma, intanto, l’Italia torna indietro nel tempo e si frantuma in tanti
feudi – piccoli e grandi – nei quali vige la legge del “potente”
locale che pretende di negoziare da pari a pari, o addirittura in posizione di
superiorità, con il potere centrale. E i cittadini, stretti nella morsa di
due poteri contrapposti, non sanno chi ascoltare e a chi obbedire.
Questa è la conseguenza del modo in cui è stata gestita la pubblica
sicurezza quando venne modificato il Titolo V della Costituzione e vennero poi
emanati gli atti conseguenti. Dietro giochi di parole che distinguevano
bizantinisticamente pubblica sicurezza da sicurezza amministrativa e sicurezza
urbana, il “decentramento” ha posto le basi per la condizione di disordine
pubblico e pubblica insicurezza che stiamo vivendo.
Ad aggravare la situazione sta la malintesa percezione del ruolo e dei
limiti dei diritti individuali che, persino nella percezione di studiosi e
(talvolta sedicenti) esperti diventano diritti egoistici o – come li ho
definiti in uno scritto di prossima pubblicazione – überdiritti:
pretese individuali che, per ciò solo, devono assurgere al rango di limite
invalicabile dell’azione di chiunque, Stato compreso.
Così, invece di adottare una misura evidentemente sensata e importante
come l’analisi dei dati di geolocalizzazione dei telefoni cellulari per
ricostruire nominativamente gli spostamenti e i contatti dei
contagiati, si perdono giorni preziosi a causa del baloccarsi sulla
“violazione della privacy” e sul rispetto di una norma, il regolamento
sulla protezione dei dati personali, che palesemente non si applica ai casi di
emergenza sanitaria e pubblica sicurezza. Mentre nessuno di questi studiosi e
(talvolta sedicenti) esperti si sofferma su questioni ben più importanti come
il fatto che enti privi di potere hanno limitato la nostra libertà di
circolazione e di associazione. O il fatto che una giustizia bloccata rende
possibile arbìtri e abusi – da parte dei delinquenti, ma anche delle
Istituzioni (locali) senza alcuna possibilità di reagire.
Ma a chi interessa tutto ciò? Perchè dovremmo preoccuparci di questioni
del genere quando la gente muore e perde il lavoro? “Mettersi di traverso”
rispetto a provvedimenti pur illegittimi ma corretti nella sostanza, non è
esso stesso un atto criminale perchè diretto a impedire di adottare misure
per salvare vite umane?
La risposta è nelle parole immortali di Dante Alighieri: il modo ancor
m’offende.
Non metto dunque in discussione l’importanza o il valore della sostanza
delle misure adottate, ma il modo, cioè la fonte del potere,
che le impone. E’ proprio in tempo di guerra che è fondamentale rispettare
le regole – innanzi tutto – della gerarchia dei poteri pubblici, perché
solo così facendo possiamo evitare la deriva del “tutti contro tutti”,
sia istituzionale, sia individuale.
E’ il corto-circuito del diritto, quello che porta a dire “chi se ne
frega” delle leggi, abbiamo altro a cui pensare, e che contrariamente a
quello che si è sempre pensato, non ha aperto la strada al tanto temuto (ma
desiderato) “uomo solo al comando” ma ad una frantumazione dei pilastri
del nostro sistema. Credevamo fossero fatti di cemento armato, ma si sono
rivelati più fragili dell’argilla.
E dal corto-circuito del diritto non può che derivare il black-out della
democrazia, proprio nel momento in cui avremmo più bisogno di una luce per
trovare l’uscita.
(da Ictlex.net)
|