La "radicalizzazione" islamista avviene soprattutto nelle carceri e
sul web. Parola del Presidente del Consiglio. Certamente in questo caso la Rete
ha un ruolo non marginale, ma troppo spesso è un pretesto per invocare
controlli e censure.
Rimango colpito dal vedere con quale convinzione e da quale autorevoli pulpiti
si parla in questi giorni, e con una sorta di crescendo rossiniano, della
necessità di moderare l’Internet per porre un freno alla bufale, agli
sviamenti, alle menzogne che attraverso il web vengono sempre più propinate ai
“naviganti”.
Ne ha parlato il Presidente della Repubblica nel suo discorso di Capodanno
2017, e prima di lui il Presidente del consiglio dei ministri, la Presidente
della camera, il presidente dell’Antitrust, e tanti altri ancora.
Bei propositi, belle parole, lodevoli intenzioni, e così via, ma...
inevitabilmente “aria fritta”.
Quante volte leggiamo nei “social” o anche (raramente) su più o meno
autorevoli testate giornalistiche di avvisi diffusi dalla Polizia postale o
dalla Guardia di finanza che ci mettono in guardia dal fare o consentire
qualcosa: “non aprite la pagina web TalDeTali”, oppure “negate il vostro
consenso alla pubblicazione di dati o immagini personali”, e altro ancora.
Spesso sono avvisi fasulli, ideati per creare
confusione o, peggio ancora, per far leggere o diffondere il nome del loro
autore come se fosse un “guru”, unico depositario di verità assolute e
punto di riferimento ineludibile.
La rete è stracolma di dati fasulli, questo è innegabile, ma così come è
facile recuperarli è altrettanto facile rendersi conto che si tratta sempre di
bufale più o meno colossali.
L’universalità del web impedisce qualsiasi forma di controllo sui suoi
contenuti, ed è impossibile verificarli sistematicamente e quindi ipotizzare e mettere in atto opportune o comunque
qualificate forme di censura o di conferma.
Il web è per sua natura anarchico, non esistono regole che non siano
facilmente eludibili, e nello stesso tempo rappresenta il massimo della
democraticità: chiunque può scrivere di tutto, vero o falso che sia.
Sono proprio curioso di sapere quali addebiti possano muoversi ad un gestore
estero (solo, per esempio, un coreano o un ucraino) richiamando l’applicazione
di norme italiane, o francesi e così via. Ne verrebbero fuori allegre storielle
fantagiuridiche e in numero ben maggiore di tutte le barzellette esistenti sugli
argomenti più disparati.
E con quale competenza, tranne poche eccezioni, chi vuol governare l’internet
intende affrontare il problema? E' risaputo che non esiste politico o dirigente
che non affidi la gestione delle proprie pagine “social” o del proprio sito
web a collaboratori esterni: personalmente ne conosco solo un paio, ma di tali
personaggi ce ne sono molti.
La soluzione non è, a mio parere, nella introduzione di forme di controllo,
o di impensabili responsabilità a carico dei gestori (responsabili solo di
fornire connettività, hosting e quant'altro tecnicamente necessario), ma nella necessità urgente e
indifferibile di far conoscere il web e l’intrinseca sua sregolatezza a tutti
quei governanti che continuano a vivere nel cloud della propria “non
adeguata conoscenza”, ostinandosi a non mettere i piedi per terra ed
affrontare la realtà delle proprie colpe.
Proprie colpe: in realtà una sola, quella di non aver valutato per tempo il
problema e di non avere mai mosso un dito per formare i “naviganti”.
E proprio qui è la soluzione, certamente tardiva, ma pur sempre “soluzione”:
formare i naviganti.
Così come non si affida una imbarcazione al primo arrivato, del pari non può
consentirsi l’uso del web a chi non ne conosce i pericoli o non è stato
quantomeno avvisato degli stessi.
E’ questo uno dei compiti primari da assegnare alla scuola, sin dalle
elementari, anche se prima ancora occorre formare i docenti e gli istruttori (il
che può costituire un limite).
Chiunque deve potere accedere alla rete, conoscendone le peculiarità ed i
pericoli, valutarne con cultura e intelligenza i contenuti, esprimere le proprie
opinioni (giuste o sbagliate che siano).
Fino a quando non si affronterà il vero problema dell’internet, e cioè la
“cultura del web”, potranno farsi ipotesi, riunioni, seminari, tavoli più o
meno qualificati, teorizzare norme e sanzioni... Tutto inutile, causa di
dispendio di denaro ed energie.
Chissà se la nostra società è pronta.
* Notaio in Palermo e docente di diritto
dell'informatica.
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