Chi fa impresa chiede solo regole chiare
e poca burocrazia. Tanto più se la burocrazia viene usata come strumento politico. Bene.
Si è appena conclusa una storia che merita di essere raccontata…
C'è un problema: la delocalizzazione delle attività al di fuori dei nostri
confini, spesso in Paesi extra UE, che rischia di depauperare il Paese se non
arginata.
C'è un settore in cui questo problema è esploso, quello dei call center,
come chiunque di noi può verificare dagli accenti più disparati che ci
troviamo ad ascoltare quando parliamo, più o meno volutamente, con un contact
center.
C'è uno strumento, che si è tentato di utilizzare per regolare il mercato:
il vecchio art. 24 bis introdotto dalla L. 134/12, che ha dimostrato la sua
assoluta inutilità1.
Il legislatore decide di intervenire, e nel recepire nella legge di bilancio
buona parte del piano "Industry 4.0", lanciato in pompa magna nel
settembre scorso come volano per lo sviluppo e l'ammodernamento del Paese, riscrive interamente la norma con la
legge 232/16, art. 1, comma 243 che (attenzione alle date!), entra in vigore il 2
gennaio 2017, così rubricata: "Misure a sostegno della tutela dei dati
personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nelle
attività svolte da call center". Recita:
1. Le misure del presente articolo si applicano alle attività
svolte da call center indipendentemente dal numero di dipendenti occupati.
2. Qualora un operatore economico decida di localizzare, anche mediante
affidamento a terzi, l'attività di call center fuori dal territorio nazionale
in un Paese che non è membro dell'Unione europea, deve darne comunicazione,
almeno trenta giorni prima del trasferimento:
a) al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché all'Ispettorato
nazionale del lavoro a decorrere dalla data della sua effettiva operatività a
seguito dell'adozione dei decreti di cui all'articolo 5 del decreto legislativo
14 settembre 2015, n. 149, indicando i lavoratori coinvolti; la predetta
comunicazione e' effettuata dal soggetto che svolge il servizio di call center;
b) al Ministero dello sviluppo economico, indicando le numerazioni telefoniche
messe a disposizione del pubblico e utilizzate per i servizi delocalizzati;
c) al Garante per la protezione dei dati personali, indicando le misure adottate
per garantire il rispetto della legislazione nazionale, e in particolare delle
disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonche' delle disposizioni
concernenti il registro pubblico delle opposizioni, istituito ai sensi del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010,
n. 178.
3. Gli operatori economici che, antecedentemente alla data di entrata in vigore
della presente disposizione, hanno localizzato, anche mediante affidamento a
terzi, l'attività di call center fuori dal territorio nazionale in un Paese che
non e' membro dell'Unione europea, devono darne comunicazione ai soggetti di cui
al comma 2 entro sessanta giorni dalla medesima data di entrata in vigore,
indicando le numerazioni telefoniche messe a disposizione del pubblico e
utilizzate per i servizi delocalizzati. In caso di omessa o tardiva
comunicazione si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 10.000
euro per ciascun giorno di ritardo.
Ci sono tanti profili critici che non possiamo qui affrontare. Ad esempio:
come mai quando si parla di protezionismo alla Trump molti si ribellano, e
quando siamo noi ad alzare un muro come il nuovo art. 24 bis, si parla di
virtuosa operazione di salvataggio dei posti di lavoro?
Ma concentriamoci sul modo in cui è costruita la norma: per combattere la
delocalizzazione, le armi assemblate dal legislatore sono in mano a quattro
attori: il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro, e,
veniamo a noi, il Garante per la protezione dei dati personali (comma 2), oltre
all' AGCOM (comma 11).
Le aziende che intendono delocalizzare devono fare una comunicazione 30
giorni prima di dare corso alla esternalizzazione ai primi tre soggetti istituzionali,
con una sanzione di € 150.000 in caso di omessa o tardiva comunicazione.
Per chi invece ha già in piedi contratti di outsourcing con soggetti extra
UE, il termine è di 60 giorni dall'entrata in vigore della norma e scade quindi
(attenzione alle date!) il 2 marzo 2017.
Chi non lo rispetta, era ed è esposto ad una sanzione di 10.000 euro per ogni
giorno di ritardo (diecimila euro per ogni giorno di ritardo, sic!).
Fin dal primo momento emerge una serie infinita di dubbi pratici ed
operativi, che vanno dal piano soggettivo (chi deve fare le comunicazioni) a
quello oggettivo (come si fa a farle).
Ci si sarebbe quindi aspettati che i vari soggetti coinvolti in questa sorta di
ordalia burocratica si riunissero in conclave, prendessero una posizione
unitaria e uscissero in tempo utile con delle indicazioni agli operatori, tali
da metterli in condizione di adempiere agli obblighi.
Ecco invece quello che succede:
- Il Ministero dello sviluppo economico redige una nota informativa il 1.
febbraio e pubblica le relative FAQ (a dir poco necessarie) il 24, 7 giorni
prima della scadenza;
- il Garante per la protezione dei dati personali pubblica una nota informativa
il 28 febbraio, due giorni prima della scadenza;
- Il Ministero del Lavoro pubblica una nota operativa il 1.marzo, il giorno
prima della scadenza.
Una sola domanda: perché un'impresa può essere sanzionata per 10.000 euro
al giorno se ritarda un adempimento, e le istituzioni che dovrebbero governarlo
possono dormire sonni tranquilli anche se agiscono con modalità e tempistiche
così scandalose?
1.
1. Le misure del presente articolo si applicano alle attività
svolte da call center con almeno venti dipendenti.
2. Qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal
territorio nazionale deve darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima
del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i
lavoratori coinvolti. Inoltre deve darne comunicazione all'Autorità garante per
la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengono adottate per il
rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di
protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n.
196, e del registro delle opposizioni. Analoga informativa deve essere fornita
dalle aziende che già oggi operano in Paesi esteri.
* Avvocato in Roma
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