La notizia: il 19 novembre scorso centinaia di automobilisti, proprietari delle
super-tecnologiche Tesla, sono rimasti a piedi. Anzi, non sono riusciti neanche a
salire in macchina. Colpa di un server (pare) "andato giù" per
troppo traffico. Infatti, per aprire le porte, gli utenti usano un'app,
naturalmente collegata a un sistema centrale. Se questo non funziona, non
funziona neanche l'app. Ma la notizia, per come è stata riportata da tutti gli
organi di stampa, suggerisce alcune considerazioni interessanti.
Per incominciare va ricordato che una buona parte delle vetture messe in
commercio negli ultimi anni è in qualche modo "sempre connessa" alla
casa costruttrice. Utile, per il proprietario, nel caso di qualche
malfunzionamento o incidente, utile anche per i predatori di dati personali
(oltre ai dati inviati dall'automobile, ci sono quelli degli smartphone degli
occupanti). Con tanti saluti alla riservatezza, e con la tranquillità che
nessuno legge le "informative privacy" che giustificherebbero i
trattamenti.
Dovrebbe essere imbarazzante sapere che qualcuno registra dove siamo, dove
andiamo e con chi. E dovrebbe essere preoccupante l'ipotesi che la macchina non
si apre se non c'è il collegamento via cellulare, assicurato dall'ennesima app.
La cosa sembra incredibile, assurda. Ma come, ho speso una barca di soldi per
comperare questa meraviglia e adesso non posso entrarci neanche per ripararmi
dalla pioggia che incomincia a cadere, perché il server ha subito un attacco
hacker o perché su qualche "nuvola"
irraggiungibile un imbecille è inciampato in un cavo e ha staccato la spina di
un computer? O per un banale guasto, per un difetto del software?
Ma ecco la rivelazione, il fatto che nessun cronista ha "scoperto": l'app non è il solo sistema per aprire le portiere de
veicolo. C'è anche un telecomando, o una smart card da avvicinare alla
maniglia. Ma molti proprietari dell'elettrobolide non lo sanno o non hanno mai
pensato che potesse servire. Così hanno lasciato a casa il prezioso
dispositivo.
E' la dimostrazione di come il furbofono sia diventato il punto di
riferimento pressoché unico per moltissime persone. Senza l'apparecchietto non
si può fare più praticamente nulla. Ho visto una persona che, seduta davanti a
un PC, usava il telefonino per fare una ricerca sul web. E' una vera e propria
forma di dipendenza: la tecnologia come una droga.
«Alexa, spegni la luce», dice la pubblicità. Ma, per una persona in
normali condizioni fisiche, è così difficile premere un interruttore?
Nessuno si chiede se affidarsi passivamente a sistemi digitali per tante
attività che si possono compiere "a mano" non costituisca un rischio
costante di errori e malfunzionamenti. Le tecnologie non sono infallibili, come
dimostra da ultimo proprio il caso Tesla.
Senza considerare un aspetto almeno bizzarro: affidarsi a un sistema informatico
che si trova lontano migliaia di chilometri, per far funzionare un semplice
dispositivo – una serratura – che si trova a un metro di distanza.
C'è di più. Quando le tecnologie sono indispensabili, cioè quando
costituiscono l'imprescindibile "motore" di molte attività, i
malfunzionamenti possono avere gravi conseguenze. Pensiamo al caso, che potrebbe
verificarsi tra pochi anni, di un ingorgo autostradale con centinaia o migliaia
di automobili "connesse" ferme in pochi chilometri. La banda radio
disponibile in quell'area sarebbe sufficiente per gestire un traffico di dati
così alto, molto più alto di quello normale? Immaginiamo un'ambulanza bloccata in quell'
ingorgo, che non può neanche comunicare con la centrale di soccorso a causa della
congestione delle comunicazioni. E non servono grandi doti di fantasia per
immaginare che l'ingorgo possa essere causato proprio da un sistema informatico
andato fuori controllo.
Già, un'ambulanza. Se non poter salire a bordo di una berlina come la Tesla
è una seccatura, come affrontare il problema di un veicolo di soccorso con gli
sportelli bloccati? Il problema è che i malfunzionamenti che oggi hanno
interessato veicoli fermi, domani possono interessare i freni
del veicolo in movimento, o i dispositivi che "vedono" i pedoni o gli
altri veicoli.
In questo caso, sembra, si è trattato di un banale problema tecnico, forse
un sovraccarico, presto risolto (ma, per chi aveva un appuntamento urgente, un
ritardo di sei ore non è affatto banale). Ma il problema tecnico può anche
essere creato da qualche malintenzionato. Ve lo immaginate un attacco ransomware
a un centro di controllo della circolazione di veicoli a guida automatica? O a
una banda di hacker che si impadronisce del controllo a distanza di migliaia di
veicoli?
L'esperienza ci dimostra continuamente che l'aspetto della sicurezza non è
al primo posto nella progettazione di sistemi tecnologici. E, nel caso specifico
delle automobili, siamo ancora lontani da un ambiente sicuro. Si veda la prova,
raccontata dalla CNN, We tried Tesla's 'full self-driving.' Here's what happened.
E la prova è stata fatta a New York. Che cosa sarebbe successo a Roma?
Il problema è che non solo dipendiamo dalle tecnologie, ma soprattutto che
queste tecnologie sono poco affidabili. Le macchine uccideranno gli umani non
perché diventeranno assassine, ma per difetti di funzionamento.
Questa non è tecnofobia, non è luddismo. E' la semplice osservazione dei
fatti. E' nei fatti che l'industria informatica ci vende prodotti difettosi,
prodotti che non funzionano come l'utente si aspetta. Lo provano le continue
esigenze di aggiornamento dei software e dei firmware: se fossero fatti a
dovere, non
sarebbe necessario aggiornarli in continuazione.
Alla fine ci troviamo di fronte al solito problema: lo sviluppo tecnologico
non è guidato da principi etici.
Esiste, finalmente, un'etica dell'ambiente. Si parla di "tecnologie
pulite", e va bene. Ma che dire di un'automobile a emissioni zero (ma si fa
finta di non sapere che l'energia per la ricarica delle batterie non è
"pulita", per non parlare di quella che serve per fabbricarla,
l'automobile) e poi non risponde al suo proprietario perché né che ha
progettato il telefonino, né il gestore della rete di comunicazioni si sono
preoccupati delle percentuali di malfunzionamento?
Dunque in tutto questo il vero, fondamentale problema, è la mancanza di
un'etica delle tecnologie. Quando ce ne renderemo conto?
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