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 Attualità

Se il Governo non agisce, si muova il Parlamento
di Manlio Cammarata - 03.02.2000

"Il Governo ritiene lo sviluppo della società dell'informazione un obiettivo fondamentale della propria azione". Partendo da questa solenne affermazione, un anno fa, esattamente il 5 febbraio 1999, un decreto del Presidente del Consiglio creava il "Comitato dei Ministri per la società dell'informazione" e il "Forum per la società dell'informazione". Qualcuno parlava di uno stanziamento di mille miliardi in tre anni per mettere il nostro Paese al passo con gli altri nella diffusione dell'internet e delle tecnologie informatiche.
Pochi mesi dopo, il 1. luglio, si chiudeva la conferenza nazionale "Il Piano d'Azione per lo Sviluppo della Società dell'Informazione. Un progetto per l'Italia", con impegni sempre solenni e categorici.
Nello stesso tempo, il Documento di programmazione economica e finanziaria dedicava un intero capitolo all'argomento, indicando obiettivi precisi.
Come se non bastasse, adesso abbiamo anche un "sottosegretario all'innovazione", che si aggiunge al già affollato elenco di autorità che dovrebbero promuovere lo sviluppo della società dell'informazione.

Ora, con la presentazione dei disegni di legge collegati alla finanziaria, quelle intenzioni e quelle promesse potrebbero essere messe in pratica. Invece non c'è nulla, almeno per quanto si può ricavare da una ricerca nel sito del Parlamento italiano.
C'è solo un articolo del disegno di legge AS 4336 "Misure in materia fiscale", che esenta dall'IVA le donazioni di libri vecchi e computer usati. Vale la pena di leggerlo, comprese le note illustrative, per capire le dimensioni dell'investimento: "Il provvedimento, pertanto, pur essendo suscettibile di produrre effetti negativi sul gettito, di fatto produce una perdita irrilevante".
Tutto qui. Non è dato sapere che cosa abbia deciso il fantomatico "Comitato dei Ministri per la società dell'informazione", o a quali conclusioni sia giunta la fabbrica di chiacchiere denominata "Forum per la società dell'informazione": il sito della Presidenza del Consiglio offre numerose fotografie del Presidente, agende dense di appuntamenti, invita alla visione di videoclip, ma non dà alcuna informazione utile.

Invece nelle pagine del Forum per la società dell'informazione si trovano alcuni schemi di provvedimenti collegati alla legge finanziaria. Ma non sembra che questi testi siano stati presentati al Parlamento, con la sola eccezione delle donazioni di computer usati. Non c'è traccia neanche delle "agevolazioni" per il commercio elettronico, idea discutibile come molte altre, ma che era comunque un segno di interesse, un voler fare qualcosa.

Adesso la parola passa alle Camere, che devono esaminare ed emendare le proposte governative. Possono ripescare e migliorare le norme scomparse, ma possono introdurne di più efficaci, sia nei collegati, sia con nuove proposte legislative.
Un punto deve essere tenuto presente: la prima cosa che serve  per diffondere l'uso dell'internet in Italia  sono i contenuti. Se non ci sono contenuti, l'italiano si abbona (tanto è gratis!) ma poi naviga a vuoto. E' necessario anche rendere meno costosi i collegamenti, ma su questo punto il Parlamento può fare poco: competente per la materia è l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ma sarà soprattutto il mercato, con la concorrenza anche sulle chiamate urbane, a indicare le soluzioni. Il primo operatore che offrirà una tariffa flat, cioè indipendente dalla durata delle connessione, alla portata delle famiglie, renderà un servizio al Paese (oltre che assicurarsi un cospicuo numero di abbonati).

Invece quello che non serve, o serve poco, sono le agevolazioni per il commercio elettronico, scomparse dall'ultima edizione del collegato fiscale. Se le imprese italiane non utilizzano ancora l'internet per le vendite telematiche su vasta scala, se gli italiani che fanno acquisti on-line sono ancora troppo pochi, non è per problemi di soldi. E' per mancanza di "cultura" telematica o per diffidenza. La promozione, dalla parte dei venditori, deve venire dalle associazioni di categoria e anche dalle Camere di commercio. Gli sconti fiscali non possono attirare chi non è interessato al commercio elettronico.

Ma torniamo ai contenuti, il punto chiave di tutta la questione. Lo Stato può fare moltissimo in questa direzione, in prima persona, offrendo contenuti (e quindi anche servizi) di sicuro interesse per la collettività. Come fare?
Ecco due punti:

1. Obbligare tutte le pubbliche amministrazioni ad aprire un sito Internet orientato allo scambio di informazioni con i cittadini. Nel sito devono essere indicati i nomi dei responsabili dei diversi settori, con gli indirizzi di posta elettronica. Devono essere pubblicate tutte le indicazioni necessarie per svolgere le pratiche di competenza, gli orari degli uffici, i documenti da presentare. Devono essere pubblicati anche tutti gli atti normativi emanati dall'amministrazione stessa. Soprattutto si devono attuare le disposizioni contenute negli articoli 20, 21 e 22 del DPR 513/97 sul documento informatico, dove c'è una norma di importanza fondamentale: "Entro il 31 dicembre 1998 le pubbliche amministrazioni provvedono a definire e a rendere disponibili per via telematica moduli e formulari elettronici validi ad ogni effetto di legge per l'interscambio dei dati nell'ambito della rete unitaria e con i soggetti privati". Questa disposizione deve essere applicata.

2. Pubblicare sul Web, giorno per giorno, la Gazzetta ufficiale, in un formato che ne consenta l'utilizzo pratico, con un indice per rendere possibile il reperimento delle norme. Il progetto di ipertesto normativo allo studio del Ministero della giustizia ha tempi lunghi e costi non indifferenti, mentre la diffusione telematica della Gazzetta si potrebbe fare subito con poche lire, sarebbe utilissima e potrebbe costituire anche l'unico motivo per spingere un professionista o un'impresa a collegarsi alla Rete.
A stretto rigore, per la pubblicazione della Gazzetta sull'internet non occorre una legge, basterebbe un regolamento ministeriale (si vedano gli articoli nella sezione Il diritto di accesso), ma uno stimolo dalle Camere sembra necessario.

Queste due iniziative costerebbero molto, molto meno dei mille miliardi promessi l'anno scorso. Tante altre potrebbero essere avviate, come si legge nell'articolo di Giancarlo Livraghi in questo stesso numero.
Ora il Parlamento può fare quello che fino a oggi non ha fatto il Governo. C'è qualche deputato o qualche senatore che voglia presentare un disegno di legge serio, tecnicamente corretto, che possa realmente favorire lo sviluppo della società dell'informazione in Italia?