Il documento firmato da Paolo Gentiloni, pubblicato
sul sito del Partito democratico, merita di essere considerato con attenzione.
Per almeno due motivi. Il primo è che si tratta di una proposta organica e
articolata che proviene dall'opposizione, quindi non viziata dal fumo
propagandistico che avvolge i progetti dell'attuale governo. Il secondo motivo
è nei suoi limiti, che rivelano quanta strada ci sia ancora da fare per
arrivare a un progetto complessivo, che metta il nostro Paese al livello degli
altri industrializzati sul piano dell'uso efficace delle tecnologie.
Il punto di partenza è Un'agenda digitale
europea - Comunicazione alla Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio,
al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, voluta
dal commissario per la Società dell'Informazione Neelie Kroes e resa
pubblica il 19 maggio dell'anno scorso.
E' un testo ponderoso, che elenca puntigliosamente tutte le iniziative che
dovrebbero essere intraprese dai governi dell'Unione entro il 2020 per un'Europa
"digitale". Sette capitoli che affrontano praticamente tutte le
questioni aperte: creare un mercato unico digitale; migliorare il contesto per
l'interoperabilità tra prodotti e servizi; stimolare la fiducia in internet e
la sicurezza online; garantire l'offerta di un accesso a internet molto più
veloce; incoraggiare gli investimenti nella ricerca e sviluppo; migliorare
l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione nel mondo digitale; utilizzare
le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per affrontare problemi
sociali come i cambiamenti climatici, l'aumento della spesa sanitaria e
l'invecchiamento della popolazione.
La risposta italiana, nella visione del PD, ricalca molti aspetti della
proposta europea, tenendo conto della situazione di partenza, che è assai meno
favorevole della media degli altri Paesi avanzati. Tuttavia oscilla tra i grandi
progetti e le indicazioni di dettaglio e in questo modo rende difficile
individuare un disegno unitario. Inoltre è viziata, in molti punti, da un
eccesso di ottimismo, o almeno di una sottovalutazione dei problemi.
Prendiamo, per esempio, il punto che prevede, semplicemente, "l'obbligatorietà
dell'utilizzo della firma digitale". La proposta è suggestiva, ma
rischia di restare una specie di bandierina piantata sulla mappa del percorso
dell'innovazione. Qualche anno fa, da parte dello stesso PD fu avanzata la
proposta di assegnare la firma digitale a tutti i neonati. Dimenticando che il
certificato vale al massimo tre anni e che fino alla maggiore età la firma
valida a tutti gli effetti di legge è quella di chi esercita la patria
potestà!
Per rendere obbligatoria la firma digitale occorre una condizione di partenza:
che tutti i cittadini abbiamo le competenze e gli strumenti per usarla. Ma
passeranno molti anni prima che questo si verifichi. Poi è necessaria una
normativa semplice, chiara e applicabile, mentre oggi abbiamo un inestricabile
guazzabuglio di norme, per di più non aderenti alle disposizioni europee (vedi
i tanti articoli nella sezione Firma digitale).
Un'altra utopia è quella contenuta nel sottotitolo della proposta firmata da
Gentiloni, dove si dice che la Rete va difesa dalla "diffusione di
circuiti chiusi che sono l’altra faccia della medaglia del successo dei motori
di ricerca, dei nuovi device e delle loro applicazioni proprietarie".
Pensiamo davvero di essere in grado di sovvertire le dinamiche del mercato
globale? Recinti chiusi e applicazioni proprietarie sono un problema serio, che
sarà evidente quando la diffusione dei "nuovi device" raggiungerà
una dimensione critica (ora siamo solo all'inizio). Quando la massa degli utenti
si accorgerà di essere ingabbiata dalle diverse industrie e si rischierà la
disaffezione, allora i "padroni" dovranno aprire apparati e contenuti.
Fino a quel momento ogni protagonista del mercato farà il possibile per
spingere i suoi prodotti, ostacolando la concorrenza.
Prima di quel momento, e per accelerarne i tempi, sono opportune altre
iniziative. Che la "agenda" di Gentiloni prende in considerazione:
diritto di accesso, riduzione del digital divide, banda larga, frequenze
radio, sviluppo dei contenuti. E qui è difficile non essere d'accordo. Anche
l'attuale governo afferma che è la direzione da seguire. Ma, in pratica, fino a
oggi non ha fatto nulla di concreto.
L'accenno ai contenuti solleva un altro punto critico, forse il più
preoccupante, della situazione italiana: il sistema dell'informazione, in
particolare la televisione. Che rimane il mezzo "più amato dagli
italiani", quello di maggiore efficacia nella formazione del consenso
politico.
Un sistema interamente controllato, direttamente o indirettamente, dal
Presidente del consiglio. Con un servizio pubblico ormai allo sbando, nonostante
la qualità complessiva della programmazione e il livello degli operatori. Dove
persino la testata che un tempo veniva chiamata "ammiraglia" , il TG1,
perde colpi e rischia di lasciare il primato di ascolti al principale
concorrente, il TG5.
Questo punto richiede una "agenda" di azioni molto più urgenti e
decise, soprattutto nella prospettiva di elezioni anticipate: si rischia, di
nuovo, una campagna elettorale viziata da un grave squilibrio di "potenza
di fuoco" tra le formazioni politiche sul piano comunicazione agli elettori
(vedi Elezioni
in vista. Serve una TV neutrale).
Per ritornare ai progetti a medio o lungo termine, nel documento del PD c'è
un accenno, una sola parola, per un tema di grande rilievo, che richiede un
discorso molto più articolato: il telelavoro. Messo da parte da anni per una
serie di resistenze e di diffidenze, oltre che per incapacità progettuale. Ma
lo sviluppo del telelavoro può innescare un circuito virtuoso di
iniziative e di investimenti in infrastrutture, applicazioni e formazione. E
avrebbe effetti di grande importanza su un aspetto essenziale della nostra
comunità: farebbe diminuire l'inquinamento dei grandi centri urbani e
migliorerebbe la qualità della vita di milioni di persone, che oggi passano una
parte rilevante del proprio tempo intrappolate nel traffico . E' ostacolato da
una normativa ottusa, che frena ciò che dovrebbe stimolare. E che deve essere
riscritta da zero.
Vogliamo discuterne?
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