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Attualità

"Agenda italiana": molti aspetti da discutere

di Manlio Cammarata - 17.02.11

 
Il documento firmato da Paolo Gentiloni, pubblicato sul sito del Partito democratico, merita di essere considerato con attenzione. Per almeno due motivi. Il primo è che si tratta di una proposta organica e articolata che proviene dall'opposizione, quindi non viziata dal fumo propagandistico che avvolge i progetti dell'attuale governo. Il secondo motivo è nei suoi limiti, che rivelano quanta strada ci sia ancora da fare per arrivare a un progetto complessivo, che metta il nostro Paese al livello degli altri industrializzati sul piano dell'uso efficace delle tecnologie.

Il punto di partenza è Un'agenda digitale europea - Comunicazione alla Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, voluta dal commissario  per la Società dell'Informazione Neelie Kroes e resa pubblica il 19 maggio dell'anno scorso.
E' un testo ponderoso, che elenca puntigliosamente tutte le iniziative che dovrebbero essere intraprese dai governi dell'Unione entro il 2020 per un'Europa "digitale". Sette capitoli che affrontano praticamente tutte le questioni aperte: creare un mercato unico digitale; migliorare il contesto per l'interoperabilità tra prodotti e servizi; stimolare la fiducia in internet e la sicurezza online; garantire l'offerta di un accesso a internet molto più veloce; incoraggiare gli investimenti nella ricerca e sviluppo; migliorare l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione nel mondo digitale; utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per affrontare problemi sociali come i cambiamenti climatici, l'aumento della spesa sanitaria e l'invecchiamento della popolazione.

La risposta italiana, nella visione del PD, ricalca molti aspetti della proposta europea, tenendo conto della situazione di partenza, che è assai meno favorevole della media degli altri Paesi avanzati. Tuttavia oscilla tra i grandi progetti e le indicazioni di dettaglio e in questo modo rende difficile individuare un disegno unitario. Inoltre è viziata, in molti punti, da un eccesso di ottimismo, o almeno di una sottovalutazione dei problemi.

Prendiamo, per esempio, il punto che prevede, semplicemente, "l'obbligatorietà dell'utilizzo della firma digitale".  La proposta è suggestiva, ma rischia di restare una specie di bandierina piantata sulla mappa del percorso dell'innovazione. Qualche anno fa, da parte dello stesso PD fu avanzata la proposta di assegnare la firma digitale a tutti i neonati. Dimenticando che il certificato vale al massimo tre anni e che fino alla maggiore età la firma valida a tutti gli effetti di legge è quella di chi esercita la patria potestà!
Per rendere obbligatoria la firma digitale occorre una condizione di partenza: che tutti i cittadini abbiamo le competenze e gli strumenti per usarla. Ma passeranno molti anni prima che questo si verifichi. Poi è necessaria una normativa semplice, chiara e applicabile, mentre oggi abbiamo un inestricabile guazzabuglio di norme, per di più non aderenti alle disposizioni europee (vedi i tanti articoli nella sezione Firma digitale).

Un'altra utopia è quella contenuta nel sottotitolo della proposta firmata da Gentiloni, dove si  dice che la Rete va difesa dalla "diffusione di circuiti chiusi che sono l’altra faccia della medaglia del successo dei motori di ricerca, dei nuovi device e delle loro applicazioni proprietarie". Pensiamo davvero di essere in grado di sovvertire le dinamiche del mercato globale? Recinti chiusi e applicazioni proprietarie sono un problema serio, che sarà evidente quando la diffusione dei "nuovi device" raggiungerà una dimensione critica (ora siamo solo all'inizio). Quando la massa degli utenti si accorgerà di essere ingabbiata dalle diverse industrie e si rischierà la disaffezione, allora i "padroni" dovranno aprire apparati e contenuti. Fino a quel momento ogni protagonista del mercato farà il possibile per spingere i suoi prodotti, ostacolando la concorrenza.

Prima di quel momento, e per accelerarne i tempi, sono opportune altre iniziative. Che la "agenda" di Gentiloni prende in considerazione: diritto di accesso, riduzione del digital divide, banda larga, frequenze radio, sviluppo dei contenuti. E qui è difficile non essere d'accordo. Anche l'attuale governo afferma che è la direzione da seguire. Ma, in pratica, fino a oggi non ha fatto nulla di concreto.
L'accenno ai contenuti solleva un altro punto critico, forse il più preoccupante, della situazione italiana: il sistema dell'informazione, in particolare la televisione. Che rimane il mezzo "più amato dagli italiani", quello di maggiore efficacia nella formazione del consenso politico.

Un sistema interamente controllato, direttamente o indirettamente, dal Presidente del consiglio. Con un servizio pubblico ormai allo sbando, nonostante la qualità complessiva della programmazione e il livello degli operatori. Dove persino la testata che un tempo veniva chiamata "ammiraglia" , il TG1, perde colpi e rischia di lasciare il primato di ascolti al principale concorrente, il TG5. 
Questo punto richiede una "agenda" di azioni molto più urgenti e decise, soprattutto nella prospettiva di elezioni anticipate: si rischia, di nuovo, una campagna elettorale viziata da un grave squilibrio di "potenza di fuoco" tra le formazioni politiche sul piano comunicazione agli elettori (vedi Elezioni in vista. Serve una TV neutrale).

Per ritornare ai progetti a medio o lungo termine, nel documento del PD c'è un accenno, una sola parola, per un tema di grande rilievo, che richiede un discorso molto più articolato: il telelavoro. Messo da parte da anni per una serie di resistenze e di diffidenze, oltre che per incapacità progettuale. Ma lo sviluppo del telelavoro  può innescare un circuito virtuoso di iniziative e di investimenti in infrastrutture, applicazioni e formazione. E avrebbe effetti di grande importanza su un aspetto essenziale della nostra comunità: farebbe diminuire l'inquinamento dei grandi centri urbani e migliorerebbe la qualità della vita di milioni di persone, che oggi passano una parte rilevante del proprio tempo intrappolate nel traffico . E' ostacolato da una normativa ottusa, che frena ciò che dovrebbe stimolare. E che deve essere riscritta da zero.

Vogliamo discuterne?

 

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