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 Attualità

Carta dei servizi: non solo questioni di costituzionalità
di Manlio Cammarata - 17.10.02

Carta vince, carta perde...  Ma non parliamo delle tre carte da gioco che abili marpioni fanno ballare davanti agli occhi di sprovveduti passanti pronti a farsi spennare. Si tratta di uno (o due) strumenti essenziali per l'innovazione tecnologica, per l'ammodernamento della pubblica amministrazione e per il dialogo tra uffici pubblici e cittadini: la carta d'identità elettronica e la carta nazionale dei servizi. Che presentano, fra l'altro, qualche aspetto preoccupante, che va sotto la rubrica "schedatura di massa" e comprende la novità del  prelievo delle impronti digitali a tutti i cittadini.

Procediamo con ordine e partiamo dalla carta d'identità elettronica (CIE), istituita con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 1999, n. 437 (Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico...). Un progetto innovativo e ben costruito, che suscita però alcune perplessità. Da una parte c'è la singolare assenza di sostanziali misure di protezione dei dati custoditi nell'archivio centrale del Ministero dell'interno, dall'altra una soluzione tecnologica costosa quanto sostanzialmente inutile: l'unione nella stessa carta del microprocessore e della banda ottica. Questa servirebbe, secondo le spiegazioni date a suo tempo, in primo luogo per immagazzinare più dati di quanti ne consentisse una normale smart card dell'epoca, e anche per presentare una sorta di pseudo-ologramma con la riproduzione della foto del titolare, normalmente visibile sull'altra faccia del tesserino. In questo modo, secondo il Ministero dell'interno, il confronto tra le due immagini renderebbe la carta molto più sicura, perché sarebbe impossibile la sostituzione della foto (vedi Se il controllore controlla se stesso e Sulla Rete siamo tutti criminali?).

Appare evidente a chiunque che la micro-immagine impressa sulla banda ottica è così poco leggibile che il confronto con la fotografia è quanto meno aleatorio: si può al massimo ravvisare una netta incongruenza tra le due immagini, non certo verificare "a occhio" l'abile sostituzione della foto principale con un ritratto somigliante. Tutto questo non giustifica lo spaventoso maggior costo derivante dall'introduzione di uno strumento al di fuori di qualsiasi standard, che richiede apparecchiature complesse e da costruire ad hoc e procedure altrettanto complesse di fabbricazione e predisposizione della carta.

Di tutto questo sembrava rendersi conto un anno fa il neo-ministro per l'innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca, che alla sua prima uscita pubblica appariva assai poco convinto del progetto e annunciava una più flessibile "carta dei servizi", del tutto standard e quindi economica e rapida da mettere in circolazione (vedi Innovazione, le sfide del Ministro).
La nuova carta era citata nell'art. 8 decreto legislativo 10/02 (recepimento della direttiva sulle firme elettroniche), ma in assenza di qualsiasi precedente delega legislativa e quindi in forte odore di incostituzionalità.

La scorsa settimana, rispondendo alla Camera dei Deputati a un'interrogazione e un'interpellanza dell'opposizione, il Ministro rispondeva così a una precisa obiezione sulla costituzionalità della norma: "La carta nazionale dei servizi è un mero supporto informatico, su cui può essere memorizzata la firma digitale del titolare, per consentire di accedere per via telematica ai servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni, permettendo l'identificazione in rete. La carta nazionale dei servizi è dunque uno strumento tecnologico concepito per permettere proprio una capillare diffusione ed un diffuso utilizzo della firma digitale, ossia della firma elettronica del livello più avanzato, al fine di semplificare ai cittadini e alle imprese l'accesso ai servizi pubblici: si tratta, quindi, di materia strettamente collegata alla firma elettronica" (vedi il resoconto della seduta della Camera del 9 ottobre scorso).

Allora, secondo questa ricostruzione del ministro, la carta dei servizi altro non sarebbe che una versione del "dispositivo di firma", previsto dalla normativa sulla firma digitale, e di conseguenza non sarebbe necessaria una nuova delega legislativa. Ma non è così, perché nelle norme sulla firma digitale non c'è scritto, da nessuna parte, che il dispositivo di firma può servire anche al riconoscimento del cittadino per via telematica, in vista dell'erogazione di servizi. Dunque la delega non c'è.

Una diversa versione è stata data dallo stesso ministro Stanca nella conferenza stampa di ieri, 16 ottobre, indetta per la presentazione del Comitato tecnico nazionale sulla sicurezza informatica e delle telecomunicazioni nelle pubbliche amministrazioni. Ha sostenuto l'utilità della banda ottica della CIE e, a una precisa domanda del vostro cronista, ha risposto testualmente che la carta nazionale dei servizi "identifica [il cittadino] attraverso un codice, il codice fiscale, e un numero segreto, per dimostrare che 'questa carta è in mio possesso', e quindi dà solo un'identità digitale".
Quindi non si tratta di un documento previsto dalla normativa sulla firma digitale, non c'è alcuna delega per la disposizione contenuta nel decreto 10/02: il sospetto di incostituzionalità è tutt'altro che infondato.

Il che non significa l'inutilità della carta nazionale dei servizi. Anzi, è una buona idea, tanto più che basta prevedere (con opportune disposizioni di rango legislativo...) l'aggiunta della foto del titolare per avere una carta d'identità elettronica perfettamente efficiente, anche senza la banda ottica, il cui costo è sproporzionato all'effettiva sicurezza che può garantire.

Del comitato nazionale sulla sicurezza parleremo quando ci sarà qualcosa in più della semplice notizia della sua costituzione (si vedano comunque la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 16 gennaio 2002 e il decreto 24 luglio 2002). Ora è opportuno tornare alle risposte del ministro ai quesiti posti dall'opposizione nella seduta della Camera del 9 scorso. Afferma Stanca: "Si è provveduto, inizialmente, a recepire le norme comunitarie che incidevano su norme interne di rango primario con il decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10, che ha introdotto i nuovi principi comunitari e che, inoltre, nel riordinare la normativa vigente sul valore del documento informatico, lo ha adeguato all'evoluzione avutasi in campo giurisprudenziale, soprattutto prevedendo che il disconoscimento della firma «forte» possa essere effettuato dal titolare soltanto attraverso la querela di falso".

Il ministro sembra ignorare, come i suoi interroganti, che proprio in quest'ultima disposizione si trova il più forte dubbio di costituzionalità delle disposizioni del decreto 10/02: l'equiparazione del documento informatico provvisto di firma avanzata alla scrittura autenticata da un notaio o un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato va oltre le previsioni della direttiva e crea una "disarmonia" con l'ordinamento vigente, in aperta violazione della legge-delega (vedi Lo schema governativo stravolge il processo civile di Gianni Buonomo e La Costituzione, la delega e le "disarmonie" del testo di Daniele Coliva). Per inciso, non ci risulta la "evoluzione in campo giurisprudenziale" citata da Stanca. A quali decisioni giudiziarie si riferisce?

Dunque quello che si è svolto alla Camera è stato più un dialogo tra sordi (o disinformati) che un dibattito su questioni reali. Vale la pena di leggere tutto il lungo resoconto, per capire come nelle "alte sfere" i problemi connessi alla firma digitale siano affrontati con superficialità. L'onorevole Magnolfi, fra una serie di considerazioni sostanzialmente corrette, parla della carta d'identità d'elettronica come di  "un altro strumento di firma digitale leggera", ma non c'è nulla nella normativa che confermi questa affermazione.
Poco dopo dà per avvenuta "la soppressione dell'AIPA" ad opera del governo attuale: non solo l'AIPA è ancora viva (anche se non sembra in buona salute), ma il suo smantellamento è stato iniziato dal governo precedente.

Per il resto le osservazioni dei tre esponenti dell'opposizione intervenuti nella discussione sono in buona parte condivisibili. Gli investimenti nel campo delle tecnologie previsti nel disegno di legge finanziaria, comunque inconsistenti, danno la stessa impressione di smarrimento del gioco delle tre carte, con cifre che si spostano veloci sul banchetto del biscazziere e non si capisce dove siano i soldi veri, se ci sono. E tutto questo in barba ai proclami elettorali e post-elettoriali e nonostante gli sforzi di un ministro che sembra seriamente impegnato nel suo compito, ma forse è a disagio tra le manovre dei burocrati e dei politici di professione.