Problema: le fake news diffuse dai social network nell'era
della post-verità. Soluzione: un disegno di legge che, tra norme
pasticciate, obblighi assurdi e pene aggravate, cerca ancora una volta di
limitare la libertà della Rete.
Bufala Bill, dunque. Ma il leggendario cacciatore di bisonti William F. Cody non c'entra.
"Bufale" come traduzione di fake news; Bill come
proposta di legge, in inglese. Pretende di risolvere il problema del giorno: le
notizie farlocche che sarebbero generate dai social network, secondo la visione
corrente.
L'allarme è alto, si diffonde per l'Europa e per il
mondo. In Germania vogliono appioppare multe di 50.000.000 di euro ai
social che non rimuovono subito le fake news;
in Gran Bretagna si istituisce una commissione d'inchiesta; in Francia
si pensa a una società di fact checking, in sostanza di una
"agenzia della verità" (mi ricorda qualcosa, ne parlerò più
avanti); in Italia...
Fermiamoci un attimo e riflettiamo. Le bufale esistono da che mondo è mondo.
Potremmo andare molto indietro nel tempo, pensando a un grande cavallo di
legno "offerto in dono alla dea Atena", che invece era pieno di
armati. Più vicino nel tempo è lo scherzo di Orson Welles, che la sera del 30
ottobre 1938 trasmise in diretta alla radio la cronaca drammatica
dell'invasione dei marziani.
Cambiano i mezzi, non la sostanza. Oggi l'internet, e le reti social in
particolare, rendono più pervasiva e veloce la propagazione delle notizie. Ma
consentono altrettanto pervasive e veloci correzioni e smentite.
In Italia, dicevo... Per non buttarla in politica, sorvolo su qualche bufala
recente di casa nostra. Ma prima devo completare il quadro generale: in Pakistan
il primo ministro ha annunciato che chiuderà i social network colpevoli di
diffondere "contenuti blasfemi". Capita l'antifona?
In Italia, dunque, è stato presentato al Senato il disegno di legge
N. 2688, intitolato "Disposizioni per prevenire la manipolazione dell'informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l'alfabetizzazione mediatica".
E' solo l'ennesima proposta di una serie iniziata
insieme alla diffusione dell'internet, che può essere in parte ricostruita
seguendo l'indice di questa sezione di InterLex.
Ma due articoli possono bastare: "Cassandra"
(1998, ma la prima edizione è del 1996) e La “frattinizzazione”
non è l’unica minaccia (2007), scritti dal grande Giancarlo Livraghi. Vent'anni
dopo il primo, dieci dopo il secondo, siamo ancora allo stesso punto.
La presentazione del DDL 2688 è una raccolta dei luoghi comuni dell'internetfobia
che conosciamo, appunto, da vent'anni. L'articolato non è da meno. Per esempio,
l'articolo 3, che riprende
per praticamente tutti i siti internet l'obbligo di comunicazione al tribunale,
estendendo la norma fascista che riguarda ancora la stampa periodica (vedi Da
Mussolini alla democrazia è cambiato qualcosa?).
E' illuminante l'articolo 8,
che (con la solita perifrasi incomprensibile) attribuisce alla Commissione
parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi
un ulteriore compito:
«monitora gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici delle emittenti radiotelevisive pubbliche, verificando la corrispondenza tra i livelli qualitativi offline e quelli online ed incentivando una particolare attenzione ai contenuti generati dagli utenti e pubblicati su tali piattaforme telematiche e adotta le deliberazioni necessarie all'osservanza di tale
indirizzo;».
Dipanato a fatica questo pasticcio di parole, ci accorgiamo di essere a un
passo dal Ministero della Verità (già prefigurato dall'iniziativa
francese di cui ho parlato all'inizio). Se qualcuno non afferra il riferimento,
legga subito "1984" di George Orwell.
Ma prima abbia l'accortezza di staccare la spina del teleschermo.
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