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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Le impronte digitali per una schedatura di massa?
di Piero Casciani* - 24.10.02

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2002 è stata pubblicata la legge 9 ottobre 2002, n. 222 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, recante disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari". Il provvedimento provvede tra l'altro ad estendere ai cittadini italiani i rilievi dattiloscopici già previsti dalla legge Bossi-Fini per i cittadini stranieri richiedenti il permesso di soggiorno o il suo rinnovo.
Questa estensione è stata inserita nel tentativo di superare potenziali censure di legittimità costituzionale sulla legge Bossi-Fini, benché risulti comunque difficile capire come l'obbligo dei rilievi dattiloscopici per gli italiani possa essere contenuto in un decreto legge recante "Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari".

L'obbligo dei rilievi dattiloscopici per i cittadini italiani è contenuto nel comma 7 dell'articolo 2 del decreto legge 195/2002: "All'atto della consegna della carta d'identità elettronica... i cittadini italiani sono sottoposti a rilievi dattiloscopici", parzialmente modificato dalla legge di conversione con il rinvio a "modalità stabilite, anche per quanto riguarda l'utilizzazione e la conservazione dei dati e l'accesso alle informazioni raccolte, con il decreto di cui al comma 1 del medesimo articolo 36 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000".
Si pongono così alcune questioni di non poco conto.

La prima questione è quella appena richiamata delle garanzie sulla protezione dei dati personali. In realtà il rinvio operato dalla legge di conversione ad un successivo DPCM è finalizzato esclusivamente a non affrontare nella legge la questione della privacy. Nei fatti, l'introduzione dei rilievi dattiloscopici per gli stranieri nasce apertamente sulla base dell'equazione xenofoba straniero = potenziale criminale: in questa direzione, la relazione tecnica al disegno di legge di conversione chiarisce subito che le impronte digitali degli immigrati finiranno nel sistema centrale AFIS (Automatic Fingerprint Identification System), assieme alle impronte di tutti i pregiudicati.

Non c'è dubbio sulle finalità repressive della norma, anche se non sono espresse, perché i problemi di mera identificazione erano già stati risolti dalla legge Turco-Napolitano, che già prevedeva i rilievi nei casi di dubbio sull'identità dello straniero. Conseguentemente non ci sono dubbi neppure sulle garanzie: non ci sono e basta, come chiarito dal riferimento, operato dall'articolo 2, comma 6 del decreto legge 195/2002, all'articolo 4, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675.
Nel momento in cui l'obbligo viene esteso ai cittadini italiani, sembra difficile sostenere la medesima equazione, ed allora si rinvia ad un momento successivo il problema della "utilizzazione" e "conservazione dei dati" e dell'accesso alle informazioni raccolte, ossia della tutela della privacy, lasciando indefinite le finalità dell'operazione.

Sostanzialmente, anche nel dibattito in Parlamento, si è tentato di lasciare aperto il dubbio se l'acquisizione delle impronte per i cittadini italiani sia finalizzata alla certezza di identificazione o alla schedatura di massa con finalità di repressione del crimine. Va peraltro ricordato che già in passato il Garante della protezione dei dati personali aveva espresso il parere che l'acquisizione delle impronte fosse inutile ai fini della identificazione, in quanto la carta d'identità elettronica viene già definita come non falsificabile (vedi Il Garante: i rischi della carta d'identità elettronica).
Se quindi l'acquisizione delle impronte non è giustificata dalle esigenze di identificazione, può essere giustificata solo da esigenze di sicurezza. Ma anche sulle esigenze di sicurezza si era già espresso il Garante, che aveva definito la rilevazione delle impronte digitali come "un sacrificio sproporzionato della sfera della libertà di tutte le persone che possono legittimamente lamentare anche una considerazione non adeguata e un rilevante pregiudizio della propria dignità personale".

Del resto, delle due l'una: o l'acquisizione delle impronte digitali ai cittadini italiani non serve a niente, oppure, se serve ai fini della sicurezza, non c'è parere che tenga, e si tratta della stessa sospensione delle garanzie previste dalla legge 675/1996 già affermata per i cittadini stranieri. In realtà la formulazione della norma, lasciando indefinita la questione delle finalità dei rilievi dattiloscopici, introduce un ulteriore elemento di difficoltà e di potenziale illegittimità costituzionale, in quanto è la legge stessa che dovrebbe definire le finalità di interesse pubblico che giustificano una restrizione delle libertà personali e delle garanzie di protezione dei dati personali.
Peraltro una vera discussione sulle finalità del prelievo delle impronte digitali a più di 50 milioni di italiani di età superiore ai 14 anni avrebbe inevitabilmente portato a far emergere l'inutilità di fondo dell'operazione, per le motivazioni già esposte da Manlio Cammarata in Tra la lotta al crimine e lo spazio della libertà.

Una seconda questione è quella della copertura finanziaria. Con una prassi legislativa a dir poco stravagante, il decreto legge provvede a dare copertura finanziaria alle spese per l'acquisizione delle impronte digitali ai cittadini stranieri, già prevista dalla legge Bossi-Fini, mentre non considera affatto la spesa conseguente all'estensione dell'obbligo dei rilievi dattiloscopici ai cittadini italiani, prevista dal decreto legge stesso. E non si tratta di questione di poco conto, visto che la Ragioneria generale dello Stato ha quantificato in circa 35 euro pro capite il costo del rilevamento delle impronte digitali. L'assenza di una qualsiasi copertura finanziaria, seppur rapportata alla fase sperimentale tuttora in corso, negli anni 2002 e 2003, fa sorgere dubbi, oltre che sulla legittimità costituzionale della norma, sulla sorte della carta d'identità elettronica, che sembrerebbe avviata su un binario morto, se dovesse essere confermato l'attuale quadro normativo.

E veniamo all'ultima questione, che è quella appunto delle prospettive stesse della carta d'identità elettronica, al di là delle questioni sulla copertura finanziaria. Già prima il quadro del trattamento dei dati relativi alla carta d'identità elettronica, descritto da Manlio Cammarata in Se il controllore controlla se stesso non era niente affatto rassicurante. Ora che la carta d'identità elettronica diventa il pretesto per immagazzinare le impronte digitali, c'è da chiedersi quale potrà essere il futuro di un progetto che assume i caratteri di una gigantesca schedatura di massa di tutti i cittadini italiani e stranieri, che fa già balenare rischi di casi giudiziari che non è difficile prevedere e che, secondo noi, non bisogna stare ad aspettare prima di mettere in discussione il progetto stesso.
 

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