Le impronte digitali per una
schedatura di massa?
di Piero Casciani* - 24.10.02
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2002 è stata pubblicata la
legge 9 ottobre 2002, n. 222 "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, recante disposizioni urgenti in materia
di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari". Il
provvedimento provvede tra l'altro ad estendere ai cittadini italiani i rilievi
dattiloscopici già previsti dalla legge Bossi-Fini per i cittadini stranieri
richiedenti il permesso di soggiorno o il suo rinnovo.
Questa estensione è stata inserita nel tentativo di superare potenziali censure
di legittimità costituzionale sulla legge Bossi-Fini, benché risulti comunque
difficile capire come l'obbligo dei rilievi dattiloscopici per gli italiani
possa essere contenuto in un decreto legge recante "Disposizioni urgenti in
materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari".
L'obbligo dei rilievi dattiloscopici per i cittadini italiani è contenuto
nel comma 7 dell'articolo 2 del decreto legge 195/2002: "All'atto della
consegna della carta d'identità elettronica... i cittadini italiani sono
sottoposti a rilievi dattiloscopici", parzialmente modificato dalla legge
di conversione con il rinvio a "modalità stabilite, anche per quanto
riguarda l'utilizzazione e la conservazione dei dati e l'accesso alle
informazioni raccolte, con il decreto di cui al comma 1 del medesimo articolo 36 del citato decreto del
Presidente della Repubblica n. 445 del 2000".
Si pongono così alcune questioni di non poco conto.
La prima questione è quella appena richiamata delle garanzie sulla
protezione dei dati personali. In realtà il rinvio operato dalla legge di
conversione ad un successivo DPCM è finalizzato esclusivamente a non affrontare
nella legge la questione della privacy. Nei fatti, l'introduzione dei rilievi
dattiloscopici per gli stranieri nasce apertamente sulla base dell'equazione
xenofoba straniero = potenziale criminale: in questa direzione, la relazione
tecnica al disegno di legge di conversione chiarisce subito che le impronte
digitali degli immigrati finiranno nel sistema centrale AFIS (Automatic
Fingerprint Identification System), assieme alle impronte di tutti i
pregiudicati.
Non c'è dubbio sulle finalità repressive della norma, anche se non sono
espresse, perché i problemi di mera identificazione erano già stati risolti
dalla legge Turco-Napolitano, che già prevedeva i rilievi nei casi di dubbio
sull'identità dello straniero. Conseguentemente non ci sono dubbi neppure sulle
garanzie: non ci sono e basta, come chiarito dal riferimento, operato
dall'articolo 2, comma 6 del decreto legge 195/2002, all'articolo 4, comma 2, della legge 31 dicembre
1996, n. 675.
Nel momento in cui l'obbligo viene esteso ai cittadini italiani, sembra
difficile sostenere la medesima equazione, ed allora si rinvia ad un momento
successivo il problema della "utilizzazione" e "conservazione dei
dati" e dell'accesso alle informazioni raccolte, ossia della tutela della
privacy, lasciando indefinite le finalità dell'operazione.
Sostanzialmente, anche nel dibattito in Parlamento, si è tentato di lasciare
aperto il dubbio se l'acquisizione delle impronte per i cittadini italiani sia
finalizzata alla certezza di identificazione o alla schedatura di massa con
finalità di repressione del crimine. Va peraltro ricordato che già in passato
il Garante della protezione dei dati personali aveva espresso il parere che
l'acquisizione delle impronte fosse inutile ai fini della identificazione, in
quanto la carta d'identità elettronica viene già definita come non
falsificabile (vedi Il Garante: i rischi della carta
d'identità elettronica).
Se quindi l'acquisizione delle impronte non è giustificata dalle esigenze di
identificazione, può essere giustificata solo da esigenze di sicurezza. Ma
anche sulle esigenze di sicurezza si era già espresso il Garante, che aveva
definito la rilevazione delle impronte digitali come "un sacrificio
sproporzionato della sfera della libertà di tutte le persone che possono
legittimamente lamentare anche una considerazione non adeguata e un rilevante
pregiudizio della propria dignità personale".
Del resto, delle due l'una: o l'acquisizione delle impronte digitali ai
cittadini italiani non serve a niente, oppure, se serve ai fini della sicurezza,
non c'è parere che tenga, e si tratta della stessa sospensione delle garanzie
previste dalla legge 675/1996 già affermata per i cittadini stranieri. In
realtà la formulazione della norma, lasciando indefinita la questione delle
finalità dei rilievi dattiloscopici, introduce un ulteriore elemento di
difficoltà e di potenziale illegittimità costituzionale, in quanto è la legge
stessa che dovrebbe definire le finalità di interesse pubblico che giustificano
una restrizione delle libertà personali e delle garanzie di protezione dei dati
personali.
Peraltro una vera discussione sulle finalità del prelievo delle impronte
digitali a più di 50 milioni di italiani di età superiore ai 14 anni avrebbe
inevitabilmente portato a far emergere l'inutilità di fondo dell'operazione,
per le motivazioni già esposte da Manlio Cammarata in Tra la lotta al crimine e lo spazio della libertà.
Una seconda questione è quella della copertura finanziaria. Con una prassi
legislativa a dir poco stravagante, il decreto legge provvede a dare copertura
finanziaria alle spese per l'acquisizione delle impronte digitali ai cittadini
stranieri, già prevista dalla legge Bossi-Fini, mentre non considera affatto la
spesa conseguente all'estensione dell'obbligo dei rilievi dattiloscopici ai
cittadini italiani, prevista dal decreto legge stesso. E non si tratta di
questione di poco conto, visto che la Ragioneria generale dello Stato ha
quantificato in circa 35 euro pro capite il costo del rilevamento delle impronte
digitali. L'assenza di una qualsiasi copertura finanziaria, seppur rapportata
alla fase sperimentale tuttora in corso, negli anni 2002 e 2003, fa sorgere
dubbi, oltre che sulla legittimità costituzionale della norma, sulla sorte
della carta d'identità elettronica, che sembrerebbe avviata su un binario
morto, se dovesse essere confermato l'attuale quadro normativo.
E veniamo all'ultima questione, che è quella appunto delle prospettive
stesse della carta d'identità elettronica, al di là delle questioni sulla
copertura finanziaria. Già prima il quadro del trattamento dei dati relativi
alla carta d'identità elettronica, descritto da Manlio Cammarata in Se il controllore controlla se stesso non era niente
affatto rassicurante. Ora che la carta d'identità elettronica diventa il
pretesto per immagazzinare le impronte digitali, c'è da chiedersi quale potrà
essere il futuro di un progetto che assume i caratteri di una gigantesca
schedatura di massa di tutti i cittadini italiani e stranieri, che fa già
balenare rischi di casi giudiziari che non è difficile prevedere e che, secondo
noi, non bisogna stare ad aspettare prima di mettere in discussione il progetto
stesso.
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