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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

L'alternativa è fidarsi
di Daniele Coliva - 21.10.99

Nel numero 13 della sua newsletter il Garante per la protezione dei dati personali si è nuovamente occupato della questione del mascheramento delle ultime tre cifre previsto obbligatoriamente dall'art. 5 del d.lgs. 171/98 per la documentazione allegata alle fatture emesse dal fornitore di un servizio di telecomunicazione ai propri abbonati.
E' opportuno riassumere brevemente i tratti essenziali della vicenda. L'abbonato al servizio telefonico può richiedere al fornitore il dettaglio delle telefonate che risultano essere state effettuate dalla sua utenza e che sono oggetto di addebito al medesimo. Gli elementi informativi che debbono essere forniti sono, a norma dell'art. 5 del d. lgs. 171/98 "[la] data e [l']ora di inizio della conversazione, [il] numero selezionato, [il] tipo, [la] località, [la] durata, [il] numero di scatti addebitati per ciascuna conversazione.". Aggiunge la stessa norma: "In ogni caso, nella documentazione fornita all'abbonato non sono evidenziate le ultime tre cifre del numero chiamato".

L'abbonato, dunque, ha diritto, senza spese aggiuntive, di conoscere la composizione del traffico telefonico in uscita dalla sua utenza, al fine primario, evidentemente, di verificare la correttezza degli addebiti in bolletta.
Tale informazione, tuttavia, non può essere completa, in quanto il fornitore del servizio è tenuto a "mascherare" le ultime tre cifre, in modo da rendere quanto più possibile non identificabili i numeri stessi, al fine di garantire il diritto alla riservatezza degli utenti chiamanti e di quelli chiamati. Più precisamente, l'Autorità garante parla di contemperamento del "diritto dell'abbonato pagante di verificare la correttezza degli addebiti e il diritto alla riservatezza degli utenti chiamanti e degli abbonati chiamati" (così nella Newsletter n. 13, dell'11-17 ottobre 1999).

Secondo l'Autorità non si tratterebbe di un dato destinato a rimanere riservato in eterno, a meno di un intervento dell'autorità giudiziaria penale, in quanto l'abbonato, in base alla l. 675/96 avrebbe il diritto di ottenere dal fornitore l'informazione completa qualora contesti la fattura.
La legislazione comunitaria e nazionale ci ha abituato ad un incremento della tutela del c.d. contraente debole, e tale è certamente l'abbonato comune, ma in questo caso la direzione è stata di segno opposto, in quanto il diritto di quest'ultimo è stato compresso, ancorché non eliso, nel bilanciamento con la posizione soggettiva degli utenti chiamanti e degli abbonati chiamati.

Il punto nodale è proprio, a mio avviso, in quest'ultimo concetto: la riservatezza degli utenti chiamanti e degli abbonati chiamati. Sarebbe ozioso chiedersi se tale categoria sia configurabile o meno, posto che il dato normativo positivo è chiarissimo in tal senso, e la direttiva comunitaria parla esplicitamente di tutela della vita privata degli utenti. In un commento al d. lgs. 171/98 (Riservatezza e bollette telefoniche: l'eccesso di tutela) su questa rivista è stato posta in evidenza la scelta estremamente rigorosa del legislatore nazionale che ha evitato di scegliere tra le due opzioni che la direttiva poneva, adottandole entrambe, ma non in via alternativa. In realtà l'opzione comunitaria era esposta solamente nel considerando n. 18, mentre l'art. 7 della direttiva prevede: a) il diritto dell'abbonato a non ricevere fatture dettagliate; b) l'obbligo degli stati nazionali di procedere al contemperamento delle diverse posizioni soggettive mediante la previsione di sufficienti modalità alternative per le comunicazioni o i pagamenti.

L'Unione europea ha correttamente posto in evidenza che l'inderogabilità del mascheramento urta contro il principio di alternatività delle misure di tutela contenuto nella direttiva.
La conclusione che si può trarre dalla dialettica tra Unione europea e Autorità è che allo stato attuale della legislazione il c.d. mascheramento è ineliminabile.

Non ritengo tuttavia condivisibile l'interpretazione dell'Autorità contenuta nel provvedimento dell'ottobre del 1998, più sopra citata. In base ad essa, infatti, il solo modo per l'abbonato di conoscere il dettaglio completo delle chiamate è quello di procedere alla contestazione, ed il risultato non sarebbe completo, in quanto il "velo" sarebbe perforato solamente con riferimento alle telefonate oggetto di contestazione e subordinatamente all'esistenza di un minimo di serietà e ".concrete esigenze di controllo sulle somme addebitate.".
In altri termini sull'abbonato grava l'onere di eccepire la legittimità degli addebiti, e di eccepirla con una parvenza di fondamento. Ciò comporta però la possibilità, se non il diritto, del fornitore del servizio di interloquire sul merito dell'eccezione, paralizzando quindi la richiesta, con la conseguenza dell'inevitabile ricorso all'autorità giudiziaria ovvero ai meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie.

L'alternativa è fidarsi.

L'intervento comunitario stimola una riflessione sulla eventuale esistenza di rimedi ordinari a questa carenza informativa. In linea di principio l'affermazione di un diritto alla vita privata dell'utente chiamante è sacrosanta, tuttavia non può scendere in secondo piano il fatto che comunque questo utente utilizza uno strumento tecnologico che è, per così dire, un componente di un contratto tra l'abbonato e il fornitore e che il suo uso è pagato dal primo.
A mio avviso il profilo strettamente contrattuale può essere utile per configurare uno strumento che consenta all'abbonato di ottenere le informazioni che gli occorrono per verificare la correttezza dell'importo della bolletta. In base al generale principio di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) può ritenersi che il fornitore, se richiesto, sia tenuto a rendere il dettaglio concreto, tenuto conto del fatto che gli strumenti di verifica e contabilizzazione sono nella disponibilità esclusiva dello stesso.

In via ordinaria, pertanto, (di default direbbero gli informatici) la fattura dettagliata deve contenere i numeri mascherati, salvo il diritto potestativo dell'abbonato di ottenere, in forza di un suo diritto quale parte contrattuale, i dati mancanti. Non si capisce perché l'abbonato debba fare causa per sapere se la cifra richiestagli dal fornitore corrisponda ai consumi effettivi, in mancanza, appunto, di diversi metodi di controllo (gli apparecchi contascatti o di documentazione del traffico installati dall'abbonato, anche se a cura del fornitore, danno risultati notoriamente considerati da quest'ultimo irrilevanti).

La legge 675/96 non sembra consentire limiti all'esercizio di un diritto, insito nel contratto di abbonamento al servizio telefonico, di verificare l'esattezza della prestazione contrattuale richiesta (ragionando per analogia, e forse per assurdo, in questa prospettiva si potrebbe giungere a negare al titolare di un titolare di un conto corrente bancario il diritto di verifica dei pagamenti con assegno effettuati dal cointestatario ovvero dal delegato, in base ad un diritto alla riservatezza di quest'ultimo). In ogni caso, l'art. 13 lett. c) della l. 675 consente all'interessato di avere, oltre all'esistenza di dati personali che lo riguardano, anche la comunicazione degli stessi in forma intelligibile, e le telefonate partite dall'utenza dell'abbonato sono dati che lo riguardano, almeno in quanto è obbligato a pagarle, pena la negazione dell'utilizzo del servizio, in base, ancora una volta, alle comuni norme in tema di eccezione di inadempimento e sulla somministrazione.

La soluzione, ovviamente, non è pacifica e la sua debolezza risiede nella sua matrice interpretativa, e la speranza è la modifica della legge.