È proprio di queste ore la cronaca che vede l'intera città di Roma coinvolta
nella gigantesca caccia ad un pericoloso malvivente, lo stesso che qualche
giorno fa ha ucciso a sangue freddo un carabiniere in servizio di controllo.
Questa volta, dopo aver sparato a due agenti di polizia e sequestrato un'auto
con a bordo un padre di famiglia e i suoi due figli, il fuggiasco ha fatto
perdere le proprie tracce riuscendo presumibilmente a confondersi tra la gente
che, come ogni sabato mattina, affollava una stazione della metropolitana in
pieno centro cittadino. Utilizzando probabilmente i mezzi pubblici è quindi
riuscito a raggiungere la periferia est della città, dove alcuni cittadini
sembrerebbero averlo visto; ma sinora ogni sforzo per localizzarlo è stato
infruttuoso.
Un importante alleato delle forze dell'ordine in questa
vicenda, come in molte altre simili anche se non altrettanto gravi, sono i
filmati delle telecamere a circuito chiuso della metropolitana e di banche,
negozi e palazzi situati nella zona interessata dai movimenti del criminale:
dalle immagini registrate potrebbero infatti emergere utili informazioni sulla
direzione presa dal fuggitivo, sul suo comportamento, sul suo abbigliamento,
tutti indizi preziosissimi per gli investigatori. Eppure questa eccezionale
fonte informativa, cui ricorrono abitualmente le autorità in casi analoghi, è
tecnicamente fuori legge da fine aprile, ed in teoria su di essa non si potrà
più fare affidamento in futuro. La zelante scure del Garante per la privacy è
infatti caduta nuovamente sui sistemi di videosorveglianza, già oggetto in
passato di numerosi provvedimenti specifici: ed ora un nuovo provvedimento generale, emesso lo scorso maggio,
ne limita ulteriormente il campo di applicabilità se non nella teoria,
certamente nella pratica.
È chiaro che il problema non è banale, ed è certamente
delicato riuscire a bilanciare le legittime esigenze di prevenzione e contrasto
del crimine con quelle altrettanto legittime di privacy e riservatezza della
popolazione. È inoltre altrettanto chiaro che occorre dettare delle regole che
evitino gli abusi. Il problema tuttavia non è il proliferare in sé dei sistemi
di videosorveglianza, quanto il cattivo uso che di essi qualcuno ne potrebbe
fare; occorre dunque affrontare il problema rimanendo con i piedi per terra e
facendo ricorso più al buon senso pratico che all'astrazione dei principi del
diritto, altrimenti si rischia di perdere il senso della misura finendo col
proporre norme ridicole e sostanzialmente inapplicabili o inutili, come quelle
contenute nel provvedimento in questione.
Il quale, appunto, pur partendo ispirato da sacrosanti
principi generali, certamente validi e condivisibili, finisce tuttavia col
dedurre da essi, secondo modalità quantomeno discutibili, norme di utilizzo che
privano di qualsiasi valore ed utilità l'atto stesso della videosorveglianza.
Il risultato netto è un danno sociale, derivante dalla indisponibilità di
preziose risorse di indagine per le forze dell'ordine, che probabilmente è di
molto superiore al teorico guadagno in termini di riservatezza per ciascuno di
noi.
A rischio di rivelare da subito le conclusioni del mio
pensiero dirò che ho come l'impressione che il Garante, collocatosi sull'altissima
cima della montagna del diritto, abbia di fatto perso di vista i problemi
spiccioli della società e dei singoli operatori, i quali solitamente ricorrono
alla videosorveglianza non per sostituirsi al Grande Fratello (quello di Orwell,
non quello di Mediaset!) e violare la privacy del prossimo, bensì per tutelare
il proprio diritto alla sicurezza; e quelli della società in sé, che dai dati
di taluni impianti di videosorveglianza (nelle stazioni, negli aeroporti, .)
ha più che da guadagnare che da perdere.
Il problema non è vietare, ma regolamentare: anziché
proibire tout court la raccolta delle immagini nella maggior parte delle
situazioni utili, come ha fatto adesso, il Garante avrebbe fatto meglio a
stilare invece norme chiare ed anche severe sulle modalità di utilizzo delle
immagini raccolte, a garanzia dei soggetti coinvolti, ma senza inibire la
possibilità di raccogliere immagini comunque utili. Ossia penalizzare il
cattivo uso o l'eventuale abuso da parte di operatori non preparati o poco
seri, ma non impedire un'attività che, se gestita in modo corretto e
trasparente, potrebbe avere una forte utilità sia per chi la esercita sia per
la società tutta.
Ma vediamo subito qualche caso particolare.
Dice intanto la norma che "Gli impianti di
videosorveglianza possono essere attivati solo quando altre misure siano
ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili.". Si chiama "principio
di proporzionalità" e, in questa sua formulazione, farebbe la gioia di
Monsieur de la Palisse: credo infatti che nessuno si prenderebbe la briga di
installare un impianto di videosorveglianza potendo ottenere gli stessi
risultati in altro modo più conveniente. Ma il Garante ci spiega ancora che: "Non
va adottata la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più
rapida attuazione, che potrebbe non tener conto dell'impatto sui diritti degli
altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi.". Quindi
attenzione: i motivi per cui di solito si fa qualcosa (costa meno, è più
semplice, .) non contano: il Garante potrebbe contestarvi che nel vostro caso
dovevate stipendiare un plotone di guardie giurate piuttosto che installare una
singola economicissima telecamera.
Da notare comunque che il "principio di necessità",
logicamente precedente a questo, stabilisce che i sistemi di videosorveglianza
possono riprendere persone identificabili solo se, per raggiungere gli scopi
prefissati, non possono essere utilizzati dati anonimi. Da qui discende il
famigerato "divieto di zoomare" (vedi Casi preoccupanti di accanimento normativo di Manlio
Cammarata).
Interessante poi la seguente constatazione: "Anche l'installazione
meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionanti o per finzione,
anche se non comporta trattamento di dati personali, può determinare forme di
condizionamento nei movimenti e nei comportamenti delle persone in luoghi
pubblici e privati e pertanto può essere legittimamente oggetto di
contestazione". Dunque un grande magazzino non può installare finte
telecamere in bella vista, perché così facendo condizionerebbe il
comportamento dei poveri taccheggiatori impedendo loro di rubare liberamente!
Peraltro c'è da ritenere che lo stesso condizionamento i taccheggiatori lo
avrebbero verosimilmente se le telecamere fossero funzionanti, quindi non si
capisce bene cosa vuole proteggere il Garante con questa norma.
Un punto interessante riguarda il tempo di conservazione
delle eventuali registrazioni. Già, ho scritto "eventuali": il
provvedimento ribadisce infatti che la videosorveglianza dovrebbe di preferenza
essere svolta in modo "live" mediante sola osservazione dei monitor, senza
registrazione delle immagini; e che a questa si può ricorrere solo quando ciò
sia giustificato dal principio di proporzionalità ("l'eventuale
conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al grado di
indispensabilità e per il solo tempo necessario - e predeterminato - a
raggiungere la finalità perseguita"). La conservazione delle immagini
registrate deve pertanto "essere limitata a poche ore o, al massimo, alle
ventiquattro ore successive alla rilevazione".
Le eccezioni sono rarissime: "Solo in alcuni specifici
casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare
rischiosità dell'attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio,
per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l'esigenza di
identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), è
ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque
superare la settimana.". Quindi i rapinatori possono stare tranquilli:
basta avere l'accortezza di effettuare i sopralluoghi almeno otto giorni prima
della rapina, per evitare il rischio di essere identificati dalle telecamere di
sorveglianza!
A questo proposito vale la pena di commentare anche il
cosiddetto principio del "bilanciamento degli interessi" il quale viene
applicato dal Garante al caso della registrazione delle immagini in questo modo:
"In presenza di concrete ed effettive situazioni di rischio tali
registrazioni sono consentite a protezione delle persone, della proprietà o del
patrimonio aziendale (ad esempio, rispetto a beni già oggetto di ripetuti e
gravi illeciti), relativamente all'erogazione di particolari servizi pubblici
(si pensi alle varie forme di trasporto) o a specifiche attività (che si
svolgono ad esempio in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o che comportano la
presenza di denaro o beni di valore, o la salvaguardia del segreto aziendale od
industriale in relazione a particolari tipi di attività).". Dunque la
videoregistrazione sembrerebbe essere legittimata solo se si è già subita
almeno qualche rapina, non prima!
Le cose comunque non stanno meglio per la sola visione in
tempo reale, ossia senza registrazione. Dice infatti il provvedimento: "La
videosorveglianza può risultare eccedente e sproporzionata quando sono già
adottati altri efficaci dispositivi di controllo o di vigilanza oppure quando vi
è la presenza di personale addetto alla protezione.". Dunque, secondo il
Garante, se c'è il vigilante non dovrebbe comunque esserci la telecamera.
Bontà sua, il Garante ci spiega che almeno i videocitofoni sono leciti, ma per
scrupolo ce ne rammenta la funzione: "Sono ammissibili per identificare
coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati videocitofoni o altre
apparecchiature che rilevano immagini o suoni senza registrazione.".
Tuttavia non ce la passiamo del tutto liscia neppure in questo caso, perché: "La
loro esistenza deve essere conosciuta attraverso una informativa agevolmente
rilevabile, quando non sono utilizzati per fini esclusivamente personali.".
Sinceramente mi sfugge la possibilità di utilizzare un citofono per fini non
personali, ma tant'è.
C'è poi il "principio di finalità", che recita: "Gli
scopi perseguiti devono essere determinati, espliciti e legittimi. Ciò comporta
che il titolare possa perseguire solo finalità di sua pertinenza.". Fin
qui tutto bene. Ma, sottolinea il Garante: "Si è invece constatato che
taluni soggetti pubblici e privati si propongono abusivamente, quale scopo della
videosorveglianza, finalità di sicurezza pubblica, prevenzione o accertamento
dei reati che invece competono solo ad organi giudiziari o di polizia
giudiziaria oppure a forze armate o di polizia". Ciò significa che, ad
esempio, la sorveglianza di aree pubbliche, scuole, musei, contro il vandalismo
non può essere svolto da istituzioni diverse dalla polizia, alla quale
evidentemente occorre rivolgersi per fare installare telecamere laddove serva.
e ammesso soprattutto che la polizia abbia tempo e possibilità di occuparsi
anche di queste cose.
A tutto ciò si sommano gli obblighi informativi, che non si
limitano alla sola esposizione del cartello "Area videosorvegliata"
predisposto dal Garante, ma prevedono in moltissimi casi l'ottenimento di un'autorizzazione
scritta da parte dei soggetti da riprendere.
La conseguenza pratica di tutti i principi sinora visti, sommati assieme, è che
la stragrande maggioranza dei sistemi di videosorveglianza attualmente in uso
presso i soggetti sia pubblici che privati è da considerarsi per un verso o per
l'altro fuori legge, e come tale "inutilizzabile" (nel senso che i dati
raccolti non possono essere legittimamente utilizzati) o addirittura soggetta al
blocco da parte del Garante e ad eventuali sanzioni amministrative e penali nei
confronti dei titolari. D'altro canto l'adeguamento puntuale degli impianti
potrebbe comportare, a parte gli ovvi costi di riconversione, la perdita di
informazioni comunque utili se non addirittura essenziali per gli scopi di cui
parlavamo all'inizio.
Faccio un esempio. Le telecamere di sorveglianza sulle
banchine delle metropolitane servono a prevenire o rilevare incidenti ai mezzi
ed alle persone, quindi a norma del principio di necessità dovrebbero essere
configurate in modo da non consentire in alcun modo il riconoscimento dei
soggetti ripresi. Così facendo, tuttavia, le immagini non sarebbero utili alle
forze dell'ordine in caso di reati o delitti perpetrati sulla banchina stessa,
quando invece sarebbe necessario alla polizia poter identificare l'autore del
misfatto. D'altronde il personale di gestione della linea metropolitana non ha
neppure il diritto di videosorvegliare le banchine per prevenire eventuali
reati, dato che a norma del provvedimento tale finalità è esclusivamente
assegnata agli organi di polizia. Il risultato è dunque che, per essere
compatibili con quanto afferma il Garante, le stazioni delle metropolitane
dovrebbero essere equipaggiate con due insiemi di telecamere indipendenti
tra loro: uno a fini di prevenzione degli incidenti tecnici, controllato dal
personale di servizio della società esercente; ed un altro a fini di
prevenzione dei reati, controllato da personale di polizia, con buona pace della
proliferazione dei sistemi di videosorveglianza che invece il provvedimento
vorrebbe evitare.
Da notare a tale proposito un ulteriore paradosso: il
personale di servizio della stazione può teoricamente avvertire le forze dell'ordine
solo se assiste di persona ad un reato e non se lo vede accadere sui monitor del
proprio sistema di videosorveglianza, in quanto quest'ultimo non è
finalizzato alla prevenzione dei reati e dunque un'eventuale immagine di reato
da esso raccolta non è lecita e tantomeno "utilizzabile".
Basta. Ho l'impressione che, ancora una volta, si sia perso
di vista il vero problema e si sia preferito demonizzare la tecnologia anziché
l'uso che se ne fa. L'Inghilterra, che quanto a cultura della privacy ha da
insegnare a tutto il resto del mondo, impiega da anni sistemi diffusi di
videosorveglianza urbana al fine di prevenire reati nelle città e nessuno trova
nulla da obiettare. Il fatto è che lì si sa chi gestisce quelle immagini, come
lo fa e perché; e la gente ha fiducia nelle istituzioni perché sa che quelle
istituzioni sono meritevoli di fiducia.
Qui da noi, invece, anziché innalzare il livello culturale delle istituzioni
e sensibilizzare i privati ad un corretto uso delle informazioni raccolte, si
preferisce proibirne la raccolta o limitare le possibilità di utilizzo della
tecnologia nella convinzione che ciò limiterà di conseguenza gli abusi.
Tuttavia non è imponendo limiti ridicoli, come il divieto di zoomare o quello
di conservare immagini per più di sette giorni, che si eviteranno i problemi di
privacy; mentre al contrario si castrerà uno strumento che, se ben gestito,
potrebbe portare beneficio all'intera società.
Per il momento dunque gli unici che beneficeranno davvero del provvedimento del
Garante sono i malintenzionati ed i delinquenti, i soli ad essere realmente e
paradossalmente tutelati da una norma tanto miope quanto inutile.
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