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Protezione dei dati personali

Casi preoccupanti di accanimento normativo

di Manlio Cammarata - 26.07.04

 
Web cam al porto: vietato zoomare. E' il titolo, testuale, di un intervento del Garante per la protezione del dati personali pubblicato sulla Newsletter n. 216. "Vietato zoomare: in avanti o all'indietro?" si chiede chi conosce un po' il funzionamento di una telecamera. "In avanti", si evince dal testo, per non inquadrare i visi delle persone. Meno male che non è proibito usare un teleobiettivo: così si possono avvicinare facce lontane senza "zoomare" e quindi senza violare il divieto...

Scherziamo, ché forse è l'ultima cosa che ci resta da fare senza incorrere nelle prescrizioni o nei divieti dell'autorità indipendente di piazza Monte Citorio. Perché ormai il Garante è intervenuto quasi su ogni settore dell'attività umana e, se ne ha trascurato qualcuno, è stato solo perché non ha ancora avuto il tempo di occuparsene.
Così, per restare alle iniziative più recenti, ha regolato nel dettaglio che cosa un giornale può fare o non fare con la fotografia di una signora anziana che fa la spesa al mercato (vedi il parere su privacy e giornalismo) o come un avvocato deve organizzare i fascicoli del suo studio (vedi il parere sull'attività forense e l'articolo Attività forense e dati personali: regole di un altro mondo di Andrea Monti).

Si tratta di pesanti intrusioni nell'organizzazione del lavoro di professionisti, senza contare che giornalisti e avvocati (come ogni altra categoria professionale) hanno codici deontologici che contemplano anche gli aspetti della tutela della riservatezza. Immaginare che un avvocato si metta cambiare l'organizzazione del suo studio e i suoi schemi di lavoro per rispettare le prescrizioni del Garante è pura utopia. Tanto vale, allora, rinunciare a pedanti distinzioni e sottili distinguo: le norme ci sono, ci si limiti a intervenire subito e con decisione nei casi in cui vengano violate.

La protezione della vita privata è una questione seria, sempre più seria. Con tanti aspetti preccupanti.

Dalle tecniche più incontrollabili e invasive (pensiamo alla localizzazione delle persone attraverso il telefonino) fino a irritanti (ma non trascurabili) bazzecole, emergono in continuazione situazioni di rischio.
Un piccolo esempio di questi giorni: sono arrivate all'indirizzo della redazione di InterLex due buste zeppe di pubblicità dirette personalmente a un collaboratore della rivista. Evidentemente, avendo finalmente capito che l'indirizzo di una persona (elettronico o "fisico") non può essere usato per l'invio di pubblicità se non è stato raccolto a questo scopo, il mittente ha pensato bene di usare l'indirizzo della redazione. Si trattava, per fortuna, di comunicazioni di ambito professionale. Ma se il contenuto avesse riguardato dati sensibili, come lo stato di salute o le preferenze sessuali?

Probabilmente la società che ha spedito il materiale ha consultato puntigliosamente la sterminata mole di interventi del Garante e ha scoperto che non è stato specificamente vietato l'uso degli indirizzi d'ufficio per l'invio di pubblicità non richiesta. Sulla base del principio che "tutto ciò che non è vietato, è permesso", ha ritenuto di poter investire una cifra probabilmente non trascurabile in carta e francobolli per inviare i suoi opuscoli a chissà quanti destinatari.
Ma anche così ha violato la legge, perché l'indirizzo della nostra redazione, evidentemente, non è pubblicato allo scopo di ottenere l'invio di materiale pubblicitario a chi firma gli articoli e, comunque, l'interessato non ha manifestato il suo preventivo consenso all'invio di materiale pubblicitario.

Interverrà ora il Garante per spiegare che anche in questo caso deve essere rispettato il "principio di finalità" del trattamento dei dati, eccetera eccetera? Sarebbe del tutto inutile, perché le norme in vigore sono più che sufficienti per perseguire il comportamento appena descritto. E se qualcuno non le capisce o non le vuole capire, a più di sette anni dall'entrata in vigore della prima normativa in materia, scattino le sanzioni. I principio sono semplici e anche abbastanza chiari. Sovrapporre norme su norme serve solo ad aumentare le difficoltà di interpretazione, con i conseguenti tentativi di "aggiramento interpretativo" dei principi essenziali.

Vietato zoomare. E non basta: diamo un'occhiata all'ultimo documento, quello sui nuovi elenchi telefonici, dei quali il Garante arriva a definire i dettagli grafici. Abbiamo già descritto questa tendenza a regolare ogni più minuto dettaglio come "accanimento normativo". Forse siamo di fronte a una preoccupante "coazione a normare". In ogni caso i risultati sono quelli che abbiamo descritto a proposito delle misure minime di sicurezza e del documento cosiddetto "programmatico" sulle misure stesse: l'obiettivo diventa la redazione del documento e non il raggiungimento della reale sicurezza dei dati (vedi Il documento programmatico non è "la sicurezza").

Ha ragione il Garante di preoccuparsi dei rischi determinati dall'invasività delle tecnologie, dalla videosorveglianza alle "radioetichette", dal mail spamming alle "centrali rischi". Più volte abbiamo espresso l'esigenza che si occupi anche dei trattamenti occulti che si verificano continuamente nei meandri dei nostri computer. Ora però abbiamo il timore che, invece di limitarsi a verificare come stanno le cose e a irrogare, eventualmente, le previste sanzioni, l'ufficio di piazza Monte Citorio renda a Microsoft un dettagliato "parere" su come deve essere scritto il software.

 

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