Attentati a Londra, due volte a pochi giorni di distanza. Poi a Sharm el Sheikh.
Vengono dopo quelli di New York del 2001, di Madrid nel 2004 e tanti altri che
hanno suscitato meno emozione, ma sono comunque serviti a non interrompere il
file del terrore. E i governi dei Paesi "occidentali", senza
eccezioni, hanno continuato e continuano restringere gli spazi di libertà dei
cittadini onesti dicendo che è necessario per contrastare il terrorismo
internazionale. Fino agli eccessi (che però a qualcuno non bastano) descritti
da Nicola Walter Palmieri in La "lanterna
magica": come il governo USA spia i cittadini.
I risultati di queste misure scorrono drammaticamente sotto i nostri occhi sugli
schermi televisivi, sulle pagine dei giornali, sulle pagine del Word Wide Web:
nessun effetto per evitare morti, feriti, devastazioni.
E' frustrante ripetere cose già scritte e riscritte. Ma quando la situazione
non cambia, quando gli errori si ripetono, non c'è altro da fare che ribadire
quanto è già stato detto fin dai giorni successivi all'11 settembre 2001 (Ora è a rischio la libertà
della Rete). Le previsioni di molti esperti, riportate in quel numero
speciale di InterLex, si sono avverate: la nostra libertà è diminuita, ma il
terrorismo internazionale è cresciuto.
Ora, dopo le bombe del 7 luglio a Londra, anche il Governo italiano si muove per
contrastare la minaccia terroristica, con le solite misure liberticide. A parte
il disegno di legge sull'istituzione di una Procura specializzata (che può
essere utile), vara un decreto-legge che per molti versi indica una involuzione
dello Stato democratico verso lo stato di polizia.
Il testo, frutto di estenuanti compromessi, non è ancora noto nella sua
veste definitiva, anche se qualche notiziario televisivo lo dava come in vigore
già sabato sera, 23 luglio (ma sul sito della Gazzetta ufficiale alla sera del
24 non è ancora visibile il numero che dovrebbe essere stato pubblicato il 23).
Leggiamo la bozza che è circolata dopo la conferenza stampa del 22, limitandoci
alle parti che riguardano le telecomunicazioni. Si ricavano impressioni non
rassicuranti: prolungamento dei termini di conservazione dei dati del traffico
telefonico e telematico, anche di quelli non necessari per la fatturazione, con
sospensione fino al 31 dicembre 2007 "delle disposizioni di legge, di regolamento o dell'autorità amministrativa che prescrivono o consentano la cancellazione dei dati del traffico telefonico o telematico, anche se non soggetti a fatturazione, e gli stessi, esclusi comunque i contenuti
delle comunicazioni, e limitatamente alle informazioni che consentono la tracciabilità degli accessi e dei
servizi".
Ma non basta. "1. A decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla data di entrata
in vigore del presente decreto - dice l'art. 7 della bozza del decreto-legge - e fino al 31 dicembre 2007, chiunque intende aprire un pubblico esercizio
o un circolo privato di qualsiasi specie nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei
soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni, anche telematiche, deve chiederne la licenza al
questore. La licenza non è richiesta nel caso di sola installazione di telefoni pubblici a pagamento, abilitati esclusivamente alla telefonia vocale.
2.Per coloro che già esercitano le attività di cui al comma 1, la licenza deve essere richiesta entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto".
Perché una "licenza"? Certo, può essere utile per le forze di
polizia sapere dove andare a cercare qualche dato utile alle indagini, ma per
questo basta una notificazione, misura assai meno limitativa, in linea di
principio, della libertà del cittadino. Anche se con l'inevitabile corollario
che l'obbligo graverà sui gestori in regola, mentre chi ha qualcosa da
nascondere si guarderà bene del comunicare le proprie generalità alla
questura.
Ancora. "Con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro delle comunicazioni e con il Ministro per rinnovazione tecnologica, comunicato al Garante per la protezione dei dati personali, da adottarsi entro quindici giorni dalla data di conversione del presente decreto, sono stabilite le misure che il titolare o il gestore di un esercizio in cui si svolgono le attività di cui al comma 1 è tenuto ad osservare per il monitoraggio delle operazioni dell'utente e per l'archiviazione dei relativi dati, anche in deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 122, e dal comma 3 dell'articolo 123 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n, 196, nonché quelle finalizzate alla preventiva acquisizione dei dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti dì accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza
fili".
Ed ecco dunque il gestore di un internet point o di un qualsiasi circolo
privato trasformato in incaricato del "monitoraggio delle operazioni
dell'utente e per l'archiviazione dei relativi dati" e dell'identificazione
preventiva degli stessi utenti. E si aggiunge l'acquisizione dei "dati
anagrafici riportati su un documento di identità" degli abbonati a servizi
wireless, con conseguenti difficoltà per i gestori dei servizi stessi.
Ma il problema più grave è l'accumulo di un'impressionante quantità di dati
personali in archivi la cui sicurezza può essere tale solo sulla carta, con il
conseguente rischio concreto di qualche utilizzo "improprio" delle
informazioni.
Attenzione: l'internet è realmente un mezzo usato dal terrorismo per
scambiare informazioni e trasferire i finanziamenti (c'è un libro molto
interessante sull'argomento, recensito su queste pagine l'anno scorso: Cyberlaundering
di Simona Mulinari). Ma non è con l'autorizzazione della questura per aprire un
internet-cafè che si possono fermare questi traffici, così come è
estremamente difficile catturare un delinquente o un terrorista spulciando tra i
documenti registrati dai gestori degli alberghi, semplicemente perché chi ha la
coscienza sporca si tiene alla larga da situazioni di rischio così evidente.
Tutte queste misure invadono pesantemente gli spazi di libertà dei cittadini
onesti e appesantiscono l'attività degli operatori con adempimenti così
gravosi che in qualche caso potrebbero consigliare la cessazione dell'attività.
Ma con scarsissime possibilità di incidere realmente sulle attività dei
terroristi.
L'esperienza di questi anni dimostra che le indiscriminate limitazioni alla
libertà di tutti, nel modo e nella misura in cui vengono attuate, sono
assolutamente sproporzionate rispetto ai rischi che si corrono e ai risultati
che si ottengono. Allora, perché insistere?
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