Con la scusa di combattere il
terrorismo
di Manlio Cammarata - 17.09.01
War, guerra: come suona lugubre e sinistra questa parola, quando ti
dicono che riguarda anche te.
Cittadino di una "democrazia occidentale" all'inizio del
ventunesimo secolo, non avrei mai pensato di dover udire frasi come "Siamo
in guerra, e sarà lunga e difficile" o "Condurrò il mondo alla
vittoria", pronunciate dall'uomo più potente del mondo, capo, appunto,
della più grande delle democrazie occidentali.
Né avrei mai pensato di vedere i cittadini di quella nazione, riuniti in una
folla sterminata, applaudire il capo e inneggiare alla guerra in un clima non
lontanissimo di quelli di altre folle che, in altre parti del mondo, inneggiano
alla "guerra santa" contro il nemico occidentale.
Mi chiedo se hanno perso la memoria quegli americani con i capelli grigi, che
meno di cinquant'anni fa si opposero e fecero cessare la guerra del Vietnam.
Quelli che dettero vita a quel grande movimento partito dall'università di
Berkeley nel 1966 e che nel '68 contagiò l'Europa, con un vento di pacifismo
che sembrava non si fosse spento del tutto.
Intendiamoci bene: il terrorismo va combattuto con tutti i mezzi e con tutta
la decisione possibile, ma un conto è predisporre a questo scopo uomini e mezzi
(e soprattutto la cosiddetta intelligence) e condurre con decisione
azioni odiose, ma necessarie, e un conto è inserire il tutto in una gigantesca
operazione di "persuasione globale" della quale a prima vista è
difficile capire la ragione. Il capo che eccita la folla con proclami di guerra
sembrava un'immagine di altri tempi, quando per palcoscenico bastava un balcone.
E invece eccoci daccapo, solo che al posto del balcone c'è la TV, perché la
folla non entra più in una piazza, è una folla "globale".
Già, la televisione. Qui il discorso si collega alle righe (Questa
volta non sono "effetti speciali") che ho scritto a caldo, neanche
ventiquattr'ore dopo la catastrofe , e che hanno suscitato molti consensi e
anche qualche critica, come quelle degli amici Andrea Monti (Il
cattivo uso della Rete) e Giancarlo Livraghi (Sciacalli,
sciocchi e sciagurati). In realtà siamo perfettamente d'accordo sul fatto
che l'internet e la televisione (per non parlare degli altri media) sono cose
diversi ed hanno differenti ruoli e differenti modi di utilizzo. Ma molto spesso
la Rete viene considerata come un mezzo di informazione di massa e in questa
occasione si è dimostrato che non lo è: resta un medium "di gruppo",
di tanti gruppi, che tuttavia non sono una "massa", come quella
soggetta alla persuasione tutt'altro che occulta della TV. In questo senso si
può parlare di "vittoria" del mezzo televisivo e di
"sconfitta" di quello informatico.
Mezzo diverso, ma non superiore o più efficace. Marco Mazzei su MyTech (Attentati
negli USA: Internet tra tecnologia e informazione spontanea) descrive bene
il ruolo di informazione e di critica che la Rete ha svolto (e svolge ancora)
sui terribili fatti dell'11 settembre. Ma proprio dalla descrizione di Mazzei
appare evidente che l'internet resta uno strumento difficile, che per essere
sfruttato richiede qualche competenza tecnica, esperienza, spirito di ricerca e
soprattutto molta pazienza. Non può vincere l'immediatezza informativa della
TV, anche se è più "spontanea" e, a volte, diretta.
E qui non si può evitare di richiamare i discorsi fatti tante volte su
queste pagine a proposito della distinzione tra informazione spontanea e
informazione professioale. La CNN ha diffuso un filmato che documenta le
manifestazioni di gioia di alcuni gruppi di palestinesi, ma l'informazione
spontanea dell'internet ha smascherato il trucco: erano sequenze di dieci anni
prima (CNN
USING 1991 Footage of celebrating Palestinians). Resta però il fatto che il
filmato ha sortito il suo effetto sul pubblico e che la rivelazione del falso è
rimasta confinata in un ambito ristretto. Dunque, ahimè, ha vinto la
televisione, ma quando sbaglia l'informazione professionale almeno sappiamo con
chi prendercela.
Tutto questo dimostra però come la libertà della Rete possa costituire un
importante contrappeso allo strapotere persuasivo dei mass media, alla
manipolazione delle opinioni del pubblico. Questo non può piacere ai
signori della guerra e del mercato e spiega gli attacchi che da più parti
continuano a essere sferrati contro l'informazione spontanea (vedi la nostra
legge 62/01, che vorrebbe estendere il regime della stampa a tutta
l'informazione on line). Ma c'è un aspetto ancora più preoccupante: con la
scusa della difesa contro i terroristi, sta finalmente passando il tentativo di
mettere sotto controllo l'intera struttura e le comunicazioni dei cittadini.
Subito dopo la catastrofe, l'FBI ha ripreso le richieste di installazione del
suo sistema di intercettazione delle e-mail, il famigerato Carnivore, e il
Senato degli USA ha addirittura autorizzato le intrusioni anche senza l'ordine
di un magistrato (Anti-Attack
Feds Push Carnivore e Senate
OKs FBI Net Spying).
Intanto va avanti il progetto della convenzione
internazionale contro il cybercrime e a casa nostra un commissario
dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha già tranquillamente
annunciato che dovremo fare a meno di un po' della nostra libertà (Luciano:
e ora meno libertà sulla rete).
Si dimentica, o si finge di dimenticare, che i controlli generalizzati non
servono a nulla, perché i terrositi non sono scemi e sanno come proteggere le
loro comunicazioni. L'unico risultato dei controlli a tappeto è di
mettere a rischio la riservatezza dei cittadini onesti, con l'acquisizione di
informazioni personali che non si sa che fine faranno e come potranno essere
usate.
Cercheremo di difenderci con la crittografia... Fino a quando non ci imporranno
di consegnare all'autorità competente le nostre chiavi di cifratura: vorrei
sbagliare, ma ora il key escrow non mi sembra un'eventualità remota.
Così la Rete sarà "normalizzata", con la scusa di combattere il
terrorismo.
Post scriptum. Da quando InterLex è uscita dal giro dei "pochi
intimi" che seguivano i miei scritti, ho seguito la vecchia consuetudine
del giornalismo che vieta di esprimersi in prima persona, se l'autore del pezzo
non è un opinionista famoso.
Credo che sia giusto sottrarsi a questa regola quando l'articolo è frutto di
considerazioni personali, che possono non essere condivise da molti, o quando è
importante un'assunzione di responsabilità da parte di chi dispone di un potere
(il "quarto potere") che deve essere usato con prudenza, proprio per i
motivi che abbiamo visto in queste note.
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