ISP, tra la protesta e le
nuove opportunità del mercato
di Manlio Cammarata - 27.07.99
Finalmente scoppia la rivolta dei
"piccoli" provider. La mailbox di InterLex si riempie di messaggi
furibondi, inviati tutti alla stessa lista di indirizzi: c'è dunque un
principio di associazione tra i fornitori di accesso, la cui sopravvivenza è
minacciata dalle offerte free internet lanciate dagli operatori di
telecomunicazioni. E' un buon segno, perché fino a oggi è mancato un fronte
comune dei provider minori, che sono molti.
La protesta è legittima: per anni il Palazzo ha
lasciato in mercato dell'internet in balia di se stesso, quando ha fatto
qualcosa ha combinato solo danni (vedi il decreto legislativo 103/95); quando ha
fatto promesse non le ha mantenute.
Le regole per la liberalizzazione non sono state formulate tenendo conto delle
reali condizioni del mercato, l'Autorità antitrust si muove lentamente, e nel
frattempo chi opera con metodi discutibili consolida le proprie posizioni (la
definizione del procedimento AIIP-Telecom Italia è stata ancora rimandata, se
ne parlerà alla metà di novembre). Il "monopolista uscente" ha avuto
carta bianca nello strozzare i provider indipendenti, privi di forza
contrattuale, con prezzi predatori e tariffe astronomiche per le linee dedicate.
Ora anche Telecom Italia riceve le prime bastonate dal libero mercato, con le
iniziative di Tiscali prima, di Infostrada adesso, e con quelle che stanno per
arrivare. Ma non è motivo di soddisfazione, anche perché la risposta non si
farà aspettare a lungo.
Scusate se ancora una volta cito me stesso: Internet
gratis: comunque vada, sarà un disastro per tutti,
avevo scritto in febbraio. I fatti di questi giorni dimostrano che l'allarme non
era infondato. Fra l'altro dimostrano anche che la rete non è in grado di
sopportare sensibili aumenti del traffico: alcuni provider, che si appoggiano
alla rete di Infostrada, sono furiosi: l'improvvisa impennata delle connessioni,
causata dall'ovvio successo iniziale dell'offerta, ha saturato i nodi. D'altra
parte anche la struttura di Tiscali non mantiene le promesse di canali sempre
liberi, con buona pace di quanti vanno ancora proclamando l'abolizione della
tariffa a tempo o le agevolazioni per i lunghi collegamenti.
La struttura del mercato
Ora è necessario mettere in chiaro alcuni fatti essenziali:
1. quello che accade in questi giorni è una pura e semplice
conseguenza del libero mercato, le offerte free internet sono quasi
certamente legittime, indietro non si torna;
2. il concetto di free - gratis - è sempre relativo:
gli utenti pagano l'accesso accettando che i loro dati personali vengano
utilizzati a fini commerciali (leggere bene, per esempio, anche il contratto di
Infostrada per il servizio telefonico); non è un reato, ma è necessaria una
maggiore chiarezza, anche ai sensi della legge 675/96 - si veda la segnalazione
al Garante inviata da ALCEI;
3. il mercato è in rapida espansione, le opportunità di
lavoro aumentano, gli operatori capaci sapranno sfruttarle, gli incapaci saranno
assorbiti dai più forti o chiuderanno: è sempre la legge del mercato;
4. qualsiasi "sostegno" o "incentivo" che
la demagogia di politici incompetenti possa inventare per venire incontro alle
proteste - ripeto, legittime - non può fare altro che rinviare la soluzione dei
problemi reali dello sviluppo dell'internet in Italia: è indispensabile
affrontare la situazione con lo sguardo al futuro, perché gli errori del
passato non si possono correggere.
Tra i protagonisti di tutto questo pasticcio ci
sono alcuni grandi assenti: l'informazione, la chiarezza, la trasparenza (come
osserva anche Giancarlo Livraghi nelle sue ingenue
domande). Se non si conoscono i
presupposti di quello che accade, è difficile capire come ci si possa adeguare
alla situazione e magari trarne vantaggio. Allora è opportuno fare un passo
indietro e rivedere le basi della liberalizzazione del mercato delle
telecomunicazioni, sempre che qualcuno non abbia nostalgia del monopolio.
Partiamo proprio dall'inizio, cioè dal fatto che
sul mercato delle telecomunicazioni ci sono due categorie di imprenditori: gli operatori
di telecomunicazioni, che sono quelli che installano e gestiscono le
reti e trasportano e instradano i segnali, e i fornitori di servizi di
telecomunicazioni, che sono quelli che offrono i servizi che passano
sulle reti di telecomunicazioni, come appunto gli internet provider.
I ricavi degli operatori di telecomunicazioni
derivano da quattro "voci":
a) gli abbonamenti;
b) gli scatti alla risposta;
c) la tariffa a tempo;
d) l'interconnessione.
Le prime tre voci possono essere combinate in percentuali diverse, e si può
rinunciare allo scatto alla risposta e/o all'abbonamento e/o alla tariffa a
tempo (come dimostrano molti operatori locali negli Stati Uniti): L'essenziale
è che alla fine i conti tornino, perché altrimenti l'operatore fa bancarotta.
Nel sistema italiano (ed europeo) la tariffa a tempo è una voce di bilancio
troppo importante perché se ne possa fare a meno, anche perché è alla base
della quarta, cioè dell'interconnessione.
Quest'ultima è il fondamento del libero mercato delle telecomunicazioni,
perché ogni operatore è obbligato a "terminare" le connessioni che
provengono da un suo concorrente, e per questo il concorrente gli deve
riconoscere una "tassa", che è appunto la tariffa di
interconnessione, calcolata sulla base dei minuti di traffico. Senza
l'interconnessione non c'è il libero mercato.
Invece i ricavi dei fornitori di servizi di
telecomunicazioni derivano (fino a oggi) solo dal prezzo che i clienti pagano
per i diversi servizi. Si prospetta però una nuova fonte di introiti, non
trascurabile, che è una percentuale pagata dagli operatori che guadagnano sul
traffico generato dai fornitori di servizi: una sorta di "interconnessione
impropria". In parole povere: "io provider genero un traffico che
parte dalla tua rete, dammi una parte dei soldi che ti faccio guadagnare"
(vedi l'articolo
su Repubblica.it).
Ora la situazione è questa:
1. i provider che fino a oggi hanno (bene o male) tratto i loro
guadagni dalla vendita del servizio di accesso, vedono sfumare questa fonte di
reddito, perché gli operatori di telecomunicazioni possono dare gli accessi
"gratis" (le virgolette sono necessarie...) perché guadagnano con
l'interconnessione, con il traffico dei dati personali e con altri servizi, come
la vendita di spazi pubblicitari e le percentuali sulle vendite telematiche;
2. nel prossimo futuro, quando sarà liberalizzato anche il
mercato delle chiamate urbane, gli operatori di telecomunicazioni incasseranno
non solo l'interconnessione per i collegamenti originati dai concorrenti, ma
anche l'intera tariffa a tempo per i collegamenti degli abbonati al proprio
servizio telefonico;
3. i proventi dell'interconnessione, ovvero la corrispondente
quota della tariffa a tempo per i casi descritti al secondo punto, secondo
calcoli attendibili possono coprire solo il costo della fornitura dell'accesso
alla rete e dei servizi direttamente connessi (e-mail, spazi web).
Ed ecco la chiave per risolvere il problema. Il
terzo punto significa che restano "scoperti" tutti gli altri servizi,
che possono essere fonte di introiti superiori a quelli del semplice accesso.
Per esempio:
1. gli abbonamenti "domestici" di fascia alta, con
ampiezza di banda e qualità garantita, a cominciare dall'assistenza agli utenti
(che deve essere reale, e non consistere in un numero verde "teorico",
perché sempre occupato o con operatori troppo impegnati);
2. gli abbonamenti alle imprese, con la fornitura di intranet e
la relativa assistenza (questo settore dovrebbe registrare una formidabile
espansione);
3. la predisposizione delle "vetrine" per il
commercio elettronico, con la personalizzazione delle procedure distanza, la
preparazione dei cataloghi, la "triangolazione" tra venditori,
compratori e banche e via discorrendo (un altro settore per i quale è prevista
una crescita sostanziosa);
4. l'hosting di contenuti di ogni genere, che
significa anche l'assistenza tecnica per la preparazione e la diffusione dei
contenuti stessi.
A ben guardare, questi servizi costituiscono
l'evoluzione del semplice "accesso ai naviganti" che ha caratterizzato
la prima fase dello sviluppo della rete, sono il vero "valore
aggiunto" dell'internet di domani.
La realtà è che l'internet cresce non solo nel numero dei soggetti connessi,
ma soprattutto nella natura e nella qualità dei servizi. Il semplice
abbonamento costituisce una mera condizione di partenza per l'accesso ai servizi
a valore aggiunto, e può anche essere gratuito, perché il vero guadagno viene
dalla produzione e dalla vendita dei servizi e dei contenuti.
Se questa è l'evoluzione del mercato, anche i suoi operatori devono evolvere
nella stessa direzione, oppure chiudere bottega.
Ecco perché, come ho scritto all'inizio di
questo articolo, le preoccupazioni dei fornitori di servizi sono giustificate:
si sono attrezzati, con investimenti notevoli e spesso con un impegno personale
smisurato, per soddisfare un mercato che improvvisamente non c'è più. Ma non
si può sperare che ritorni, non si deve cercare di frenare l'evoluzione,
perché il nuovo mercato che si sta formando è molto più ricco e offre
maggiori opportunità.
L'accesso gratuito alla rete sta generando, anche se con problemi di eccesso di
traffico, un considerevole aumento del numero degli utenti. Questi utenti non
sono - non saranno, ci vuole un po' di pazienza - solo "abbonati"
all'accesso, ma soprattutto acquirenti di contenuti e di servizi a valore
aggiunto. Quindi le opportunità di vendere o mediare contenuti e servizi
aumenteranno con la crescita del numero degli abbonati.
Il futuro dell'internet
Il futuro dell'internet non può essere che questo. Cercare di frenarlo
sarebbe puro luddismo , mentre è necessario prepararsi a soddisfare le esigenze
di un mercato più vasto e più maturo (l'operaio Ned Ludd, alla fine del '700,
combatteva la nascente società industriale distruggendo i telai per la
tessitura meccanica).
Alcuni provider dicono: io voglio continuare a vendere accessi, si devono
impedire le offerte free internet.
E ' un atteggiamento perdente, come se ai tempi della prima diffusione
dell'automobile i maniscalchi avessero cercato di imporre ad oltranza la
ferratura dei cavalli.
Tutto questo non significa che i provider che oggi protestano possano essere
abbandonati a se stessi in attesa di tempi migliori. Ma proprio qui si vedrà se
veramente il Governo ha capito quali incentivi o quali agevolazioni sono
realmente utili, se non indispensabili, per lo sviluppo della società
dell'informazione e quale può essere il ruolo dei provider indipendenti nel
favorire questo sviluppo.
Dunque: prima di tutto una secca diminuzione dei
prezzi delle "code urbane", il primo cappio che strozza i fornitori
dei servizi, eventualmente con qualche forma di agevolazione, ma anche con
l'apertura di canali nuovi, come la radiotrasmissione ad altissima frequenza;
poi incentivi - sotto forma di finanziamenti - per i contenuti. Questi generano
interesse, quindi abbonamenti, quindi richiesta di servizi, quindi traffico
telefonico, quindi guadagni per tutti ed espansione economica.
Poi, ancora, incentivi per l'acquisto dei PC da parte delle famiglie, per lo
"sbarco" sull'internet delle imprese, per gli investimenti dei
fornitori di servizi telematici a valore aggiunto, e tutto questo sotto forma di
sconti fiscali (che, come si è visto con la "rottamazione" delle
auto, non costano nulla allo Stato, anzi, generano maggiori introiti).
La protesta che in questi giorni unisce un numero
non trascurabile di internet provider può essere molto utile, ma deve essere
rivolta a ottenere condizioni migliori per il futuro, non a reclamare il ritorno
a un passato che certo non è da rimpiangere.
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