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Attualità

L'Europa deve difendere anche la sua cultura

di Manlio Cammarata - 05.04.04

 
Non è stato ancora pubblicato il testo integrale della decisione della Commissione europea sulle sanzioni imposte a Microsoft al termine della procedura antitrust condotta da Mario Monti, ma il dispositivo è noto in sintesi: una multa di 497,2 milioni di euro, l'obbligo di distribuire entro tre mesi una versione di Windows senza il Media Player e di fornire entro quattro mesi le specifiche per l'integrazione di prodotti concorrenti nei sistemi operativi Microsoft.
La multa è poca cosa per le tasche di Bill Gates, ma gli altri due punti colpiscono pesantemente la politica di integrazione e di chiusura del codice seguita dalla casa americana. E' probabile che l'annunciato ricorso alla Corte di giustizia europea verta soprattutto sulla terza "sanzione": staremo a vedere.

Le posizioni delle due parti sono state illustrate con chiarezza sabato scorso su La7 nella trasmissione L'Infedele di Gad Lerner. Hanno illustrato le contrapposte argomentazioni il commissario Monti e il supermanager Umberto Paolucci, sono intervenuti giornalisti esperti come Giuseppe Caravita e Franco Carlini, ha parlato Lucio Stanca, che il problema lo conosce bene: prima da alto dirigente di IBM, poi come il ministro dell'innovazione che ha emanato la direttiva sull'open source nella pubblica amministrazione.
Naturalmente i punti sui quali vale la pena di soffermarsi sono quelli addotti dalla casa "condannata", ma è importante ricordare che ci sono altri aspetti che non potevano essere presi in considerazione nella procedura antitrust, ma che sono strettamente connessi allo strapotere commerciale di Microsoft.

Sostiene Microsoft che la vasta diffusione del suo sistema operativo contribuisce a tenere bassi i prezzi. Nella trasmissione di sabato sera il boss Paolucci affermava che il sistema operativo costa poco, "meno di cinquanta di dollari".
Non è vero, o è almeno in parte inesatto: il 13 settembre scorso una copia di Windows XP Professional, versione OEM acquistata insieme a un PC nuovo, costava € 141,66 più IVA, presso un fornitore noto per i prezzi ridotti all'osso.
Nel valutare questo aspetto va tenuta presente la dichiarazione della stessa Microsoft all'antitrust degli USA, la SEC: l'utile di Microsoft sulle vendite di software è pari all'85 per cento circa (vedi l'articolo di Giancarlo Fornari Un’arma contro l’imperialismo informatico americano). Una percentuale che può esistere solo in condizioni di reale monopolio sul mercato.

Sostiene ancora Microsoft che la pressoché totale penetrazione del suo sistema operativo sul mercato ha favorito la diffusione del personal computing ai livelli che conosciamo, grazie alla presenza di uno standard di fatto, fattore principale dell'interoperabilità. Questo è vero solo in parte, perché la grande spinta alla crescita del settore del PC si deve in prima battuta a IBM, che ha lasciato aperto il suo sistema di interfacce, consentendo negli anni '80 la proliferazione dei "cloni" orientali a prezzi molto bassi.

Il "merito" della crescita globale delle tecnologie dell'informazione non è di Microsoft. Il primo sistema operativo dei PC IBM, l'MS-DOS, non è stato inventato, come a volte si dice, da Gates e dal suo socio Allen: avevano semplicemente adattato un sistema operativo acquistato dalla Seattle Computer Products, che l’aveva sviluppato per poter "portare" facilmente sui nuovi microprocessori Intel a 16 bit (usati da IBM nel suo PC) i propri programmi scritti per quello che all’epoca era il più diffuso sistema operativo per sistemi a 8 bit, il CP/M della Digital Research.
L'interfaccia grafica e il mouse, alla base delle varie versioni di Windows, sono stati inventati in quella formidabile fabbrica di idee che fu il PARC (Palo Alto Research Center) di Xerox e ripresi prima da Apple (con il Lisa, precursore del Macintosh) e poi da Microsoft.

E qui vale la pena di aprire una parentesi. Il vero "motore" della diffusione del personal computing e, in ultima analisi, dello stesso sviluppo della società dell'informazione, è stato il principio della non brevettabilità delle idee e delle interfacce: se Xerox avesse brevettato l'interfaccia grafica e il mouse, oggi il mondo sarebbe diverso e forse il personal computing non avrebbe la diffusione che ha oggi. D'accordo che la storia non si fa con i "se", ma quello che è accaduto dal 1981 a oggi è la dimostrazione più evidente che l'apertura è l'elemento essenziale del progresso, e non il brevetto o il copyright.
L'interoperabilità non si ottiene solo con un fornitore unico, ma con la disclosure delle specifiche di interfacciamento e almeno di una parte del codice sorgente. Tutto il resto non è che la strenua difesa di un monopolio di fronte alle pressioni del mercato.

Ma ci sono altri due elementi significativi che la sentenza europea non considera (e, almeno per il secondo, non può considerare).
Il primo è che la qualità dei prodotti non corrisponde all'alto prezzo di vendita. Le patch e i service pack che sistematicamente seguono la commercializzazione dei sistemi operativi e dei programmi applicativi dimostrano che i prodotti vengono immessi sul mercato ben prima di avere raggiunto la necessaria affidabilità. E' vero che il problema non riguarda solo Microsoft ed è in qualche modo connesso alla natura stessa del software, ma è vero anche che i prodotti di Seattle, proprio per la loro universale diffusione, non soddisfano l'utenza sotto il profilo della stabilità e della sicurezza.

Il secondo aspetto è culturale. Con la diffusione globale di Windows e dei suoi accessori si verifica una "globalizzazione" dei modi di lavorare e di pensare, si costruisce una sorta di "pensiero unico" per il quale il primo desiderio di un utente dovrebbe essere quello di scaricare musica e filmati (si veda come è costruita l'interfaccia del motore di ricerca di Windows XP nella versione di default), naturalmente pagando fior di diritti all'industria delle idee. E non solo: con buona pace delle leggi sulla privacy, questi prodotti segnalano alla stessa industria tutto quello che un utente fa con il suo computer e occorre una discreta pratica per proteggersi da queste inaccettabili intrusioni.

L'industria delle idee, della quale Microsoft è un importante protagonista, sta conducendo una colossale operazione di marketing tesa a omologare comportamenti, desideri, decisioni di spesa. La società dell'informazione si rivela sempre più un mercato globale in cui si devono comprare film, videogiochi e canzonette attraverso qualsiasi strumento, dal PC al telefonino. Opportune azioni di lobbying cercano di blindare il sistema, fino all'incredibile "decreto Urbani", che prospetta contro il mercato illegale del software l'impiego delle strutture dedicate alla difesa dello Stato e alla lotta contro il terrorismo (vedi Nemmeno il più elementare senso della misura).

Alla fine dei conti, nell'attuale assetto del mercato globale al monopolio commerciale si affianca un monopolio culturale. L'America impone la propria visione della società dell'informazione attraverso la "intelligenza" del  software, con una mentalità non molto distante dalle azioni tese a imporre la democrazia con le bombe "intelligenti".
Le procedure antitrust non bastano per contrastare queste tendenze, ma possono costituire un'arma non trascurabile se accompagnate e seguite da azioni in positivo sul piano commerciale e culturale.

 

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