Meglio tardi che mai
Osservazioni sul convegno AIIP del 27 novembre
di Giancarlo
Livraghi - 02.12.98
Meglio tardi che mai, pensavo fra me e me
mentre seguivo le relazioni e gli interventi al secondo convegno dell'Associazione
Italiana Internet Provider, che si è
tenuto a Napoli il 27 novembre. Dopo aver ascoltato in infiniti convegni e
congressi ogni sorta di sbandieramenti trionfalistici sulla crescita
"esponenziale", sull'imminente "decollo" del cosiddetto
"commercio elettronico"... o tante terrificanti previsioni sulla morte
dei libri e della conversazione umana... è confortante vedere come anche le
grandi imprese del settore comincino ad accorgersi che la realtà è un po'
diversa.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché mi sembra
preoccupante sentir parlare di trionfi, e confortante sentir parlare di
problemi. La risposta è semplice. Se ci si illude di volare verso il sole con
ali di cera digitale, si fa la fine di Icaro: e la botta quando si stramazza al
suolo non è affatto "virtuale". Se si appoggiano i piedi su una
realtà poco esaltante, ma concreta, si può costruire.
Non è sorprendente, e mi sembra legittimo, che
gli Internet Provider si preoccupino soprattutto di un problema: le limitazioni
e deformazioni della concorrenza che derivano dalle politiche della Telecom e da
norme e sistemi che ostacolano un sano e libero sviluppo della rete. La loro
"battaglia" è giusta e va sostenuta, perché senza buoni provider che
svolgano bene il loro compito, in un mercato aperto e trasparente, la rete non
può crescere. Ma è apparso evidente nel convegno di Napoli ciò che alcuni di
noi (oggi un po' meno clamantes in deserto) stanno dicendo da anni: il
problema dev'essere visto in una prospettiva più ampia; oltre agli ostacoli
strutturali, economici e tecnici occorre superare anche quelli culturali. Non è
sorprendente, in questo contesto, che per la prima volta si sia ascoltata in un
convegno come questo la voce di un'associazione come ALCEI,
che da quattro anni lavora per la libertà e la cultura della rete.
Prima di cercare di trarne qualche significato
generale, mi sembra opportuno soffermarmi brevemente su alcune delle relazioni.
Purtroppo devo citarle a memoria, perché solo due (quella del presidente di
AIIP e quella
di ALCEI) sono state distribuite per
iscritto al convegno e nessun'altra (almeno per ora) è reperibile online.
"Emergenza internet": le malefatte
della Telecom
Nella sua relazione introduttiva Marco Barbuti,
presidente di AIIP, ha rilevato il grave stato di arretratezza dell'Italia in
fatto di uso dell'informatica e telematica - e in particolare di uso dell'internet.
Ha messo in evidenza sei fattori:
- Il mercato va verso il monopolio
- I provider rischiano di scomparire
- L'utenza è abbandonata a formule sbagliate
- La scuola è più ignorante degli alunni
- Le nuove professioni non decollano
- Il quadro normativo è contraddittorio
Forse è un po' eccessivo dire che "i
provider rischiano di scomparire".. Come ha rilevato, in un intervento
successivo, Roberto Galimberti, presidente di I.net, ci sono provider che
offrono un servizio qualificato (specialmente alle imprese) e che grazie a una
gestione efficiente e a un'alta qualità di servizio hanno successo e fanno
profitti - e non temono la concorrenza di nessuno, compresa la Telecom. Ma il
"mercato" non si può limitare solo a poche imprese forti e orientate
al business.. Se mancano servizi aperti e accessibili alla "gente
comune" non si allargano quegli spazi di scambio umano, di sviluppo sociale
e culturale, senza cui la rete rischia di diventare un giocattolo privato di
pochi grandi interessi. Il che non solo non giova al (per ora ipotetico) mercato
consumer ma rischia di rendere sterile tutto il sistema, con conseguenze
gravi non solo per la nostra cultura, ma anche per la nostra economia. Ma di
questo vorrei riparlare alla fine.
Quanto alla Telecom... mi sembra curioso che
nessuno, in quel convegno, abbia rilevato la sua forte spinta ad allargare la
sua già pesante penetrazione nel mercato internet (considero sempre poco
credibili i numeri che non siano ben documentati, ma "si parla" di una
dichiarata intenzione di passare dal 50 al 70 per cento del mercato). Molti
osservatori considerano "ingannevole" l'attuale pubblicità di TIN,
ma non è questa la sede per approfondire quell'aspetto. Non siamo ancora in
grado di misurare la dimensione dell'investimento, ma è probabile che si
tratti di decine di miliardi... una dimensione paragonabile a quella della
balorda campagna di qualche mese fa sul "prefisso" - e che si va ad
aggiungere all'intensa attività promozionale in corso da più di un anno.
Insomma la Telecom, proprio mentre è in corso un'istruttoria
presso l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato (vulgo
antitrust) e l'AIIP affila pubblicamente le armi contro la sua "posizione
dominante", sta investendo pesantemente per occupare il territorio più
ampio possibile e così affrontare eventuali problemi in una posizione ancora
più "dominante". Cosa di cui nessuno, credo, si può rallegrare;
forse neppure gli azionisti della Telecom.
Quali "agevolazioni"?
Nella relazione introduttiva, come in altri
interventi, si è parlato di "agevolazioni". Un argomento che merita
di essere approfondito, perché ridurre i costi e facilitare gli accessi può
certamente essere utile, ma non è sufficiente. Per fortuna si è sentito
affiorare, in questo convegno, il tema della "cultura"; che non è e
non può essere, secondo me, solo banale "alfabetizzazione" tecnica,
ma una ben più profonda comprensione diffusa dei reali valori umani e culturali
della comunicazione interattiva.
Si è parlato delle disposizioni (molto vaghe)
nel "collegato" alla Legge Finanziaria "che favoriscano, per l'utenza
residenziale, un uso prolungato della rete". Si tratterà di capire come l'Autorità
preposta svilupperà queste iniziative, ma credo che occorra un'attenta
sorveglianza per evitare che si imbocchino strade sbagliate. Che cosa vuol dire
"uso prolungato"? Si vogliono favorire solo alcuni usi particolari
dell'internet, come le chat (che possono essere piacevoli e
interessanti, ma non sono l'unico modo di dialogare in rete) o più o meno
insulse "navigazioni" alla ricerca di "non si sa cosa"? Si
vuole così penalizzare un uso intelligente della rete, basato su attività
prevalentemente offline e collegamenti brevi e frequenti? Si vuole comunque
premiare chi tiene inutilmente occupate le linee o provoca un non necessario
"carico di banda"? Come saranno offerti questi servizi? Chi ne
pagherà il costo? Rischiamo un aumento dei costi (per esempio di abbonamento
fisso o di "primo scatto") a favore di chi fa collegamenti inutilmente
lunghi e a danno di chi non ha tempo da perdere? O forse si prevede un
finanziamento pubblico, a spese dei contribuenti e a vantaggio della Telecom?
Qualcuno dirà che sono sospettoso... ma esperienze precedenti in fatto di
"incentivi" inducono a una certa diffidenza.
Un'idea balzana: la "rottamazione"
Si è parlato ripetutamente, in questo convegno,
di "rottamazione". Immagino (o almeno spero) che il termine non vada
preso alla lettera, ma credo che anche questo argomento meriti di essere
approfondito.
Offrire incentivi per sostituire vecchi computer
con nuovi sarebbe non solo inutile, ma dannoso. Già oggi troppi sono convinti
che per collegarsi all'internet occorrano macchine potenti e costose. Le
famiglie (o imprese) che possiedono un computer non hanno alcun problema a
collegarsi alla rete: basta che comprino un modem e un accesso. Indurle a
sostituire buone macchine perfettamente efficienti con aggeggi più complicati e
costosi non giova a nessuno, se non ai fabbricanti e venditori di hardware
inutilmente caro (o di software inutilmente pesante).
Secondo me occorre fare il contrario. Diffondere
la conoscenza del fatto che ci si può collegare all'internet anche con un
vecchio computer comprato al mercatino delle pulci per meno di quanto costa un
telefono cellulare. E semmai incoraggiare produttori e rivenditori a non
continuare nella folle politica dell'obsolescenza continua, ma mettere sul
mercato computer a basso prezzo, con software semplice, poco costoso e non
soggetto a continui inutili "aggiornamenti". Ne guadagnerebbero
moltissimo tutte quelle persone che oggi sono lontane dalla rete (e in generale
dall'informatica) per problemi di costo e di incompatibilità tecnica; e ne
guadagnerebbero anche produttori e rivenditori, perché venderebbero forse
qualche esemplare in meno delle macchine più costose, ma un numero molto
maggiore di macchine efficienti a prezzo più basso.
Regole, repressione e libertà
Per fortuna in questo convegno si è parlato
molto meno di censura e repressione, e un po' più di libertà e
responsabilità dei cittadini. Si è anche levata qualche voce chiara contro la
continua "criminalizzazione" e "demonizzazione" della rete e
contro le infelici leggi che, partendo da buone intenzioni, si traducono in
repressione o in inutili appesantimenti burocratici: come quella sulla
"tutela dei minori" e quella sulla "tutela dei dati
personali".
Ma il problema è tutt'altro che risolto. Mi
sembra piuttosto preoccupante l'intervento del Prof. Gustavo Ghidini,
presidente del movimento consumatori. Potrò capirlo meglio se e quando ne avrò
il testo scritto, ma vedo (non solo in questo intervento, ma anche in molte
altre situazioni) una tendenza ad affastellare norme e codicilli, documenti e
burocrazia, su qualcosa come il "commercio elettronico" che è ancora
ai primi vagiti e molto difficile da definire. Nessuno, credo, mette in
discussione la difesa dei "consumatori" e dei loro diritti (cosa che
conviene non solo a tutti noi quando compriamo qualcosa, ma anche a tutte le
imprese che si comportano correttamente). Ma credo che debba essere seriamente
contestata la tendenza a eccedere con la "tutela", a scapito dell'informazione
e acculturazione dei cittadini; e ad ammucchiare norme e procedure là dove
probabilmente è più che sufficiente la legge ordinaria. In questo senso mi
sembrano preoccupanti anche alcune tendenze "ipernormative" dell'Unione
Europea (ma di questo sarà opportuno parlare in altra sede).
Questo pericolo è stato colto, nel dibattito, da
Ernesto Staiano (presidente della commissione trasporti e telecomunicazioni
della Camera) che ha giustamente sottolineato la necessità di non strangolare
il mercato con norme inutili ma aiutare le imprese oneste ad affermarsi e
guadagnare la fiducia dei loro clienti. Ma se l'On. Staiano è stato chiaro
nella difesa delle libertà economiche, mi è sembrato meno nitido nella difesa
delle libertà civili. Probabilmente anche lui un po' "ottenebrato"
dalle sciagurate campagne di stampa sulla "pornografia" e sulla
"pedofilia" in rete, di cui si è già ampiamente parlato in InterLex.
Vedi per esempio Internet,
il bambino e l'acqua sporca, Storia
della crociata infame e Alice
nel paese delle ipocrisie.
Il problema delle "Authority"
Molti altri interventi meriterebbero un commento,
ma questo articolo è già troppo lungo. Vorrei soffermarmi su due, di
rappresentanti delle pubbliche autorità.
Vincenzo Vita, sottosegretario al Ministero delle
comunicazioni, ha ripetuto quelle generiche promesse di benevolenza che sono
tanto care ai politici quanto poco ci aiutano a capire le loro reali intenzioni.
Ma ha detto, con un candore di cui gli va dato merito, due cose molto precise.
Ha ammesso sinceramente che il Governo e il
Parlamento non hanno le conoscenze necessarie per poter prendere provvedimenti
davvero efficaci; perciò hanno bisogno di un contributo serio dagli operatori
del settore; che però non dovrebbe essere solo lobbying mirato alla
difesa di particolari interessi, ma anche un impegno per meglio operare nell'interesse
di tutti.
Ha anche osservato che le autorità preposte alle
telecomunicazioni tendono a occuparsi dei fenomeni più pesanti e ingombranti,
cioè della televisione (e magari di fatti "grossi" ma molto
settoriali, come i diritti delle trasmissioni delle partite di calcio) e perciò
dedicano alla rete meno attenzione di quanto meriterebbe. E quando si tratta di
telecomunicazioni, si occupano più attentamente della telefonia (leggi Telecom)
che di noi "cittadini della rete". Siamo stati, ancora una volta,
avvisati... sarà meglio tenerne conto.
È stata applaudita Paola Manacorda, dell'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, quando ha affrontato con impegno e serietà
il problema dei molti italiani che non si collegano alla rete perché "non
sanno cosa farne"; e ha messo in evidenza come questo sia dovuto alla quasi
totale mancanza di servizi e di offerte significative e utili, sia da parte
della pubblica amministrazione, sia delle imprese private. L'impostazione è
chiara; si tratterà di vedere se, come e quando le sue giuste osservazioni si
tradurranno in fatti.
Ma mi sembra che neppure persone attente ed
esperte, come i partecipanti a questo convegno, si rendano conto si quanto
abbiano ragione le persone che dicono "non so cosa farmene dell'internet".
La rete, così come viene presentata abitualmente (talvolta come il covo di ogni
malvagità; talaltra come un giocattolo per tecnomani, una raccolta di cartoline
illustrate o un ossessivo mondo "virtuale" popolato di androidi e di
incubi) è una cosa che non interessa alla maggior parte delle persone
ragionevoli. Le tecnologie falsamente "amichevoli" e inutilmente
complesse sono scomode, fastidiose, irritanti. Il processo di
"alfabetizzazione" è spesso un indottrinamento tecnico ostico e
sgradevole.
Così arriviamo a quella che mi sembra la
conclusione fondamentale. L'emergenza internet sta nel fatto che la
rete è mal capita, poco e male usata. Le nostre (giustamente famose)
"piccole e medie imprese" ne diffidano e ne stanno lontane; o la usano
in modo approssimativo e distratto, e poi dicono "vedi, non funziona".
Un circolo vizioso di false promesse, diffidenze e delusioni che tende a
inchiodarci nella nostra arretratezza. Vorrei ricordare, a questo proposito, che
quando parliamo di sviluppo e di occupazione non è ragionevole pensare che un
numero sufficiente di posti di lavoro possa essere creato solo nell'informatica
o fra gli "addetti ai lavori" per la comunicazione in rete. Un numero
enormemente maggiore di posti di lavoro può essere creato dall'attività di
imprese grandi o piccole, in qualsiasi settore di prodotto o di servizio, che
sappiano usare la rete per sviluppare la loro attività - specialmente all'esportazione.
Infine, se quasi un anno fa un sociologo attento
e informato come Gabriele Calvi parlava di "generazione
perduta" a proposito della mancata
acculturazione informatica dei nostri giovani, abbiamo tuttora un rischio,
ancora più grande. Giovani o vecchi, adolescenti o adulti, gli italiani stanno
perdendo occasioni di lavoro e di vita culturale perché non sanno l'inglese;
e perché non conoscono quella che sta diventando l'altra lingua
internazionale, cioè la comunicazione in rete. Che non è fatta di giochetti
"multimediali", di elucubrazioni formali o di tecnologismi fine a se
stessi. È fatta di dialogo e scambio umano, che si impara solo con l'esperienza.
Se non troveremo un modo per diffondere questa, che è la vera cultura della
rete, non potremo mai uscire dalla pericolosa arretratezza in cui ci troviamo.
Le conseguenze possono essere molto gravi: per la nostra economia, per la nostra
cultura e per la nostra società civile.
|