Telecommuting e infrastrutture
di chiacchiere
di Manlio Cammarata - 31.01.02
Commuter per gli americani è il nostro "lavoratore
pendolare" e telecommuting è il telelavoro: con notevole
pragmatismo negli USA si identifica nel problema della mobilità l'essenza del
lavoro a distanza, anche se esso presenta diversi altri aspetti significativi.
Da noi la questione è stata riproposta
contemporaneamente dai ministri per l'innovazione e per l'ambiente di fronte
all'emergenza ambientale delle ultime settimane, che ha prodotto i soliti
provvedimenti restrittivi della mobilità dei cittadini e, come al solito, un
aumento del traffico di parole al limite della congestione. E' stato
puntualmente rispolverato l'armamentario pseudo-ambientalista dei motori
"puliti" (che non ci sono o costano troppo), dell'incentivo all'uso
dei mezzi pubblici (che non sono sufficienti), della costruzione di parcheggi
"di scambio" (con i medesimi, insufficienti, mezzi pubblici) e via
parlando.
La proposta non è nuova, ma è importante perché affronta il problema alla
radice prevedendo una diminuzione strutturale della richiesta di mobilità,
invece di limitare la mobilità necessaria. Per valutare il significato e la
praticabilità di questa soluzione è necessario stabilire alcuni punti fermi
sul telelavoro, e capire se, e perché, può essere realmente utile.
Prima di tutto va detto che il telelavoro è possibile solo se l'attività
consiste nel trattamento di informazioni, purché le informazioni stesse siano
in formato digitale. Dunque non si può costruire a distanza
un'automobile, ma si possono controllare le fasi della produzione, si possono
trattare gli ordinativi dei pezzi, si possono elaborare conteggi di ogni genere
legati alla costruzione stessa, si possono compiere tutte le operazioni di
fatturazione e pagamento e così via.
Dunque è evidente che sono moltissime le attività lavorative che potrebbero
essere svolte a distanza e in particolare quelle della pubblica amministrazione.
Gran parte del lavoro degli uffici pubblici si risolve infatti in un trattamento
di informazioni. Spostando le informazioni digitalizzate sui cavi telefonici,
invece che muovere le persone in automobile, si ottengono diversi vantaggi. Uno
di questi è, appunto, la riduzione dell'inquinamento atmosferico generato dal
traffico.
Ma c'è un problema tutt'altro che trascurabile: la pubblica amministrazione
funziona ancora per lo più con carte e faldoni e la maggior parte delle
informazioni non è ancora in formato digitale: il telelavoro è quindi
possibile solo per gli uffici che hanno informatizzato documenti e procedure.
Dunque non è realistica a breve scadenza la prospettiva del telelavoro su larga
scala nella pubblica amministrazione.
Come tutte le innovazioni, anche il telelavoro ha i suoi nemici. L'obiezione
che viene più spesso sollevata è relativa alla perdita del contatto personale
con il colleghi, che porterebbe a all'isolamento del telelavoratore. Per lungo
tempo anche i sindacati non hanno visto di buon occhio il lavoro a distanza,
ritenendo che le minori possibilità di contatti diretti fra i dipendenti
diminuiscano l'adesione e riducano l'efficacia delle azioni sindacali. Ma oggi
l'atmosfera sembra più favorevole.
L'aspetto negativo dell'isolamento dei telelavoratori si attenua molto con la
rotazione dei dipendenti impegnati nell'attività a distanza: a questo
sembra riferirsi il discorso del ministro Stanca, quando parla di pendolari che
potrebbero arrivare a Milano solo una o due volte alla settimana.
E chi ha già esperienze di telelavoro dice che il tempo risparmiato sugli
spostamenti serve anche a costruire nuovi rapporti sociali o a stare di più in
famiglia. E questo è un fatto positivo.
Sono ormai superate anche le incertezze normative: il quadro delle regole per
il telelavoro nel pubblico impiego è completo (DPR
70/99, Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri
28 ottobre 1999); nel settore privato i contratti contengono clausole
che tutelano il lavoratore a distanza come quello che opera all'interno
dell'azienda. Chi vuole saperne di più trova molte informazioni nel libro di
Cassano e Lopatriello Il Telelavoro,
aspetti giuridici e sociologici.
Resta però l'aspetto più importante: quale forma di telelavoro sia
opportuno adottare, nell'alternativa tra l'attività svolta tra le mura
domestiche e quella che si può realizzare all'interno dei cosiddetti "telecentri".
Per i liberi professionisti il lavoro casalingo è sempre più diffuso e si
rivela spesso un'ottima scelta, mentre per il lavoro dipendente si tende a
trovare la soluzione nell'uso di centri attrezzati, situati in zone periferiche
o addirittura lontane dalle città, e dotati di tutte le strutture necessarie.
La tendenza attuale è di costruire telecentri disponibili a rotazione, 24 ore
su 24, per diverse aziende o gruppi di lavoro (vedi l'articolo di Giuseppe Silvi
"Piazze telematiche", un progetto sempre più
attuale).
Ed è a questo punto che incominciano i problemi. Lo spostamento delle
attività lavorative dai luoghi tradizionali ai telecentri, e anche lo
svolgimento delle attività professionali nell'abitazione privata, richiedono
che siano soddisfatte alcune condizioni essenziali. La prima, ovvia da
identificare ma forse non facile da ottenere, è che il telelavoratore ha non
solo bisogno di una serie di attrezzature, ma anche delle conoscenze tecniche e
soprattutto di una "cultura informatica" che gli consenta di
integrarsi in un ambiente del tutto nuovo e diverso da quello tradizionale.
Occorrono poi le infrastrutture. Per i telecentri occorre costruire appositi
edifici o adattare costruzioni esistenti. E soprattutto servono reti elettriche
efficienti e collegamenti telematici a larga banda, a basso costo e attivi 24
ore su 24 (questo requisito è importante anche per le postazioni domestiche o i
piccoli uffici). E qui, come abbiamo visto una settimana fa, sorgono le
questioni più serie (vedi Dopo la "flat"
pensiamo al digital divide).
Infatti le reti dei servizi sono meno efficienti proprio nelle zone in cui
sarebbe più utile collocare attività di telelavoro, per il noto e perverso
principio che porta gli investimenti là dove ci sono soldi in quantità,
accentuando il divario con le zone in cui i soldi sono scarsi. Le conseguenze
sono evidenti. Un esempio è dato proprio da questa rivista, frutto di
un'attività svolta esclusivamente on line da persone che risiedono in diverse
parti dello Stivale. La "redazione" si trova in un paese a soli venti
chilometri in linea d'aria dal centro di Roma: aria pulita, silenzio, non serve
usare l'automobile per le normali incombenze quotidiane...
Però questo modesto paradiso si trova a Nord della capitale, mentre tutte le
attività commerciali e industriali si trovano a Sud, dove le imprese hanno
potuto sfruttare per decenni le agevolazioni a favore del Mezzogiorno. Con la
conseguenza che qui la rete dell'Enel è decrepita, mentre per quella telefonica
non è neanche prevista la futura disponibilità di connessioni xDSL. Ebbene,
nelle ultime due settimane l'energia elettrica è mancata o è stata disponibile
"a singhiozzo" complessivamente per più di una ventina di ore
(con la conseguente inattività della linea telefonica ISDN per quasi
altrettante, nell'impossibilità di caricare a sufficienza il gruppo di
continuità). La stessa linea ISDN è rimasta muta, tra il 27 e il 28 gennaio,
per oltre quindici ore.
Se queste sono le condizioni in cui dovrebbe svilupparsi il telelavoro in
Italia, allora prepariamoci a vivere (e morire) un bel po' di anni nello smog
sempre più fitto. Perché le reti non si fanno con le dichiarazioni dei
ministri e il progresso non si può fondare su un'infrastruttura di chiacchiere.
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