Il “lodo Corasaniti”, la bozza di
una proposta per la riforma del diritto d’autore (materia più volte
martoriata da interventi di alta macelleria giuridica) è finalmente pubblica. E’
dunque ora possibile cercare di capire “cosa” abbia suscitato la reazione
violenta e arrogante della Presidenza del consiglio di cui parla Manlio
Cammarata nel suo articolo La "bozza Corasaniti" è solo un piccolo passo.
Ad una prima lettura (e sono condivisibili i rilievi di
Cammarata in tal senso) le preoccupazioni di Palazzo Chigi e delle major dell’audiovisivo
sembrano realmente infondate. Certo, la proposta di abbandonare la
perseguibilità d’ufficio di almeno una parte dei reati di abusivo
sfruttamento delle opere protette, in favore di quella a querela di parte (vedi Bloccate le audizioni per la riforma della
legge sul diritto d'autore) è sicuramente un passo avanti rispetto alle
rigidità integraliste e forcaiole degli anni passati. Ma si deve registrare che
i fondamenti della bozza Corasaniti rimangono ispirati alla conservazione di un
sostanziale controllo duopolistico (SIAE-major) sulle opere dell’ingegno a
discapito degli autori e dei fruitori delle opere stesse.
Molto ci sarebbe da commentare, infatti, sulla sostanziale
assenza – nel testo della bozza – di queste due ultime categorie di soggetti
che rappresentano, al contrario, i due fuochi dell’ellisse artistica. E
dunque, per esempio, spicca la “norma che non c’è”: quella che applica (o
dovrebbe applicare) concretamente un principio di ragionevolezza nel
bilanciamento degli interessi del padre dell’opera, dello sfruttatore dell’uno
e dell’altra e dell’incolpevole innamorato dell’opera stessa.
Con la scusa dei “pirati” e dei “ladri”, infatti,
ogni occasione è stata buona per rinforzare l’arsenale penalistico a
disposizione delle lobby dell’audiovisivo e del software, ma buono anche per
“altre stagioni”. Come nel caso della modifica del dolo specifico da “scopo
di lucro” in “scopo di profitto” nell’art. 171-bis (imposta per
annullare gli effetti dell’orientamento giurisprudenziale creato dalla Pretura
di Cagliari nel dicembre 1996). O come l’instaurazione del regime “pentitismo
elettronico” con l’art. 171-novies LDA – inserito dalla l. 248/00 -
o con l’altalena sulla penalizzazione/depenalizzazione in materia di
smart-card per accesso condizionato, le cui sanzioni penali vengono prima
depenalizzate con il DLgv 373/00, per poi tornare – una volta scoperta la
svista – ad essere nuovamente reato.
Sicuramente la bozza Corasaniti tiene conto di questo “dibattito interno” e
adotta un approccio interessante – ma non ancora sufficiente - al tema dell’uso
personale di opere duplicate al di là delle prescrizioni imposte dall’avente
diritto. L’uso personale cessa infatti di essere un fugace passaggio annegato
in un oceano di cavilli e diventa un vero e proprio (embrione di) “sistema di
diritti e prerogative”.
Viceversa è assolutamente, irrinunciabilmente e
graniticamente inaccettabile l’estensione alle violazioni del diritto d’autore
dei poteri di azione sotto copertura della polizia. Si tratta di sistemi
pericolosi per l’ordinamento e le libertà civili, che giustamente il
legislatore, prima di cadere vittima delle “sirene antipedofili”, aveva
esclusivamente consentito per indagare su fatti di droga e traffico d’armi.
Ora, rotto l’argine faticosamente costruito della graduazione dei poteri di
polizia in funzione dell’attività criminale oggetto di attenzione, con la
scusa dei “pedofili”, si vorrebbero estesi questi metodi anche a canzonette
e filmetti natalizi, e poi domani chissà a cosa altro.
C’è da pensare con terrore al giorno in cui le montagne di carta dei
procedimenti per pornografia minorile (sempre più finalizzati a tutto tranne
che alla protezione dei deboli) si accatasteranno su tutte quelle dei
procedimenti per duplicazione abusiva (???) di software. Sarà la paralisi. Ed
è questo un punto in cui la proposta di Corasaniti avrebbe realmente potuto –
se accolta – contribuire seriamente a ristabilire un equilibrio sociale e
giudiziario.
Eliminando la perseguibilità automatica (“d’ufficio”
in termini tecnici) di certi fatti, l’indagine giudiziaria si aprirebbe solo
se la vittima sporgesse querela entro 90 giorni dal fatto. Altrimenti, anche in
presenza di indizi o prove, non sarebbe possibile procedere oltre.
La polizia giudiziaria – in questo schema - non sarebbe più (volente o
nolente) il “braccio secolare” di questa o quella major o associazione di
categoria, mentre – nello stesso tempo – avrebbe la possibilità di dedicare
le proprie attenzioni a chi commette reati di ben altra natura. E le “parti
offese”, dovendo cercare in proprio le “prove” di quanto vanno strillando
a destra e a manca, sarebbero forzatamente costrette a limitare il proprio
operato agli eventi realmente consistenti.
Comunque, il solo fatto che con la querelle
Masi-Corasaniti la bozza sia diventata di dominio pubblico rende ora molto
difficile ritornare a trattare l’argomento nelle segrete stanze del Palazzo,
fingendo di ignorare che migliorare le leggi è sempre possibile, soprattutto
alla luce del sole.
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