Che cosa c'è di tanto sovversivo nella bozza di decreto legislativo, elaborata
dal Comitato consultivo per la proprietà intellettuale del Ministero dei beni
culturali, per suscitare le ire della Presidenza del consiglio e provocare una reazione tanto secca da sembrare un'aggressione?
Quali retroscena si nascondono dietro la querelle tra il professor
Masi e il professor Corasaniti? Cerchiamo di capirlo leggendo la bozza, che InterLex pubblica oggi in anteprima. Un
testo che a prima vista sembra solo l'ennesimo lifting per spianare le
rughe di una legge decrepita, la 633 del 1941, sfigurata da ripetuti e spesso
maldestri interventi di plastica facciale.In realtà la bozza è qualcosa di più, perché riporta sul piano della
coerenza giuridica alcuni discutibili aggiornamenti e tiene conto
sia della realtà tecnologica sia del contesto internazionale a cui il nostro
ordinamento deve conformarsi. Ma, come vedremo tra poco, non risolve tutti i problemi e le
contraddizioni della normativa attuale e resta troppo legata a un modello che ha
più di sessant'anni.
Ma prima di entrare nel merito vediamo le linee generali del sistema normativo
nel quale la proposta si inserisce.
L'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 delega il Governo "ad adottare...
uno o più decreti legislativi per il riassetto... delle disposizioni
legislative in materia di... proprietà letteraria e diritto d'autore". Fra
l'altro, il "riassetto" deve comprendere l'"adeguamento alla
normativa comunitaria e agli accordi internazionali". Il riferimento è, in
particolare, alla Direttiva
2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (la cosiddetta IPR
Enforcement) e alla Convention on
Cybercrime firmata a Budapest nel 2001.
Questo il quadro di riferimento, al quale si devono aggiungere le forti critiche
che sono state rivolte all'attuale impianto della legge 633/41, in particolare
per quanto riguarda gli aspetti penali e il netto sbilanciamento dei del regime
dei diritti a sfavore degli utenti (soprattutto per le restrizioni al fair
use, cioè l'uso lecito dei diritti acquisiti).
La bozza tiene conto di questi aspetti e modifica alcune delle disposizioni
più contestate, eliminando le sanzioni penali per le violazioni senza scopo
commerciale e la procedibilità d'ufficio (per un'analisi di questi punti si
veda l'articolo di Andrea Monti Timide e insufficienti
proposte contro i padroni delle idee). In
realtà non si tratta di "innovazioni" particolarmente sorprendenti,
ma solo di un tardivo adeguamento delle norme sul diritto d'autore ai principi del
nostro ordinamento, nel quale la sanzione penale è riservata agli illeciti più
gravi e la procedibilità d'ufficio ai comportamenti che determinano un maggior
allarme sociale.
Non manca il tentativo di rendere più chiari i confini tra gli illeciti
colpiti da sanzione amministrativa e quelli che prevedono la sanzione penale:
importante, a questo scopo l'introduzione del concetto di "scala
commerciale" come indizio della gravità dell'illecito (concetto già
presente nella direttiva 2004/48/CE). L'esclusione della sanzione penale per
determinati comportamenti è "consentita" anche dall'art. 10 della
Convention on Cybercrime e tutto l'impianto della proposta sembra coerente con i
più recenti orientamenti a livello internazionale (vedi Gli orientamenti internazionali sul
diritto d’autore di Eugenio Prosperetti). Con buona pace del professor
Masi.
Ancora, la bozza esclude l'obbligatorietà del
"bollino" sul software (art. 187, c. 3), risolvendo così i problemi
del freeware e dell'open source. Cerca anche di operare un bilanciamento fra le opposte
esigenze del titolare dei diritti e dell'utente, stabilendo per esempio il diritto
di quest'ultimo di ottenere gratis gli
aggiornamenti del software (art. 67). Introduce poi qualche allargamento nelle
previsioni di fair use. In sostanza accoglie le critiche rivolte da più
parti agli inasprimenti introdotti con la legge 248/00, che sembrava dettata
parola per parola dai "padroni delle idee".
Dunque un passo avanti, ma non basta.
Lo sbilanciamento tra i diritti dei titolari e quelli degli utenti legittimi,
che trova riscontro anche nelle disposizioni europee, resta evidente nel campo
delle "misure tecnologiche" di protezione, i cosiddetti DRM (Digital
Rghts Management).
Per esempio, all'art. 115, si dice ancora che "Informazioni digitali sul regime dei diritti
possono essere inserite dai titolari...".
E' del tutto insufficiente. Dovrebbe essere imposto un obbligo inderogabile di apporre tutte le informazioni sulla presenza di dispositivi di DRM e sui limiti che ne derivano per
l'utilizzatore legittimo (in
primo luogo sulla confezione e con grande evidenza), affinché chi acquista l'opera protetta sappia che
cosa acquista e l'uso che può farne.
Poi non è risolta una contraddizione essenziale, che tante volte è stata
rilevata: da un parte si afferma che il legittimo acquirente ha diritto alla
copia personale (e sulla nozione di "uso personale" la bozza introduce
nuove e forse opportune precisazioni) e con questo si giustifica l'imposizione del balzello sui
supporti e sugli apparecchi di registrazione. Dall'altra si ribadisce la
liceità dei dispositivi anticopia e l'illiceità della loro elusione, con un
"regalino" ai titolari degli aventi diritto, quell'"anche
analogica" che al giorno d'oggi è una presa in giro, a causa della ormai
prossima scomparsa degli apparecchi di registrazione e riproduzione analogica.
Ora, tornando alle domande iniziali, tutto questo giustifica l'aggressione
compiuta dal professor Masi nei confronti del comitato presieduto da Corasaniti?
A prima vista, no. Il testo in questione è una proposta, potremmo definirla un
"lodo"
(con molti punti che appaiono ancora da rivedere), che era stata inviata a un
certo numero di "addetti ai lavori", invitati a una consultazione
proprio per giungere a una proposta coerente e condivisa.
Ma per capire i termini della disputa si devono aggiungere alcuni elementi. Il
primo è una norma inserita in un decreto-legge, il 63/05, convertito con la
legge 25 giugno 2005, n. 109: l'art. 2 stabilisce che " Al fine di
consentire l'efficace coordinamento, anche a livello internazionale, delle
funzioni di contrasto delle attività illecite lesive della proprietà
intellettuale... i compiti del Ministero per i beni e le attività culturali...
sono esercitati d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri".
Ecco, la Presidenza del Consiglio! Presso la quale, a norma dell'art. 19 della legge
248/00, dovrebbe esistere un "Comitato per la tutela della proprietà
intellettuale" in evidente concorrenza con quello del Ministero dei beni
culturali. "Dovrebbe", perché sul sito www.governo.it non se ne trova
traccia. Il fantomatico comitato dovrebbe essere presieduto dal professor Masi.
E questo è il secondo elemento che aiuta a capire la vicenda. Ma ancora non
basta, perché si apprende - sempre da sito del Governo - che il Cavaliere di
Gran Croce prof. Mauro Masi,
oltre che ex-commissario straordinario della SIAE, è "estensore" proprio della legge 248,
che di fatto verrebbe in buona parte cancellata dalla "bozza Corasaniti".
Chiaro? Forse sì, forse no. Ma a questo punto possiamo smettere di occuparci
della diatriba e passare a questioni molto più concrete, come la notizia
recentissima di un sistema di DRM adottato dalla Sony che si insinua nei
computer all'insaputa dell'utente, crea una situazione di gravissimo rischio per
i dati, è invisibile ai normali strumenti di rimozione di malware e spyware
e, se si cerca di rimuoverlo, provoca un irrimediabile crash del sistema
(vedi l'articolo di Corrado Giustozzi Attenti all’hacker,
si chiama Sony/BMG…).
Viene da chiedersi se non siamo di fronte a un comportamento da codice penale:
Art. 635-bis. - (Danneggiamento di sistemi informatici e telematici). - Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Questi sono i veri, gravissimi problemi che dovrebbero essere risolti da una
normativa sul diritto d'autore veramente adeguata al progresso tecnologico.
Perché, a quanto pare, la "pirateria" informatica non è solo quella
di chi scarica o duplica abusivamente qualche canzonetta o qualche software, ma
anche quella che deriva dall'arroganza dei "padroni delle idee".
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