Brevetto software: una direttiva ambigua e inutile
di Guido Scorza - 20.11.03
L'approvazione del testo
emendato della proposta di direttiva sulla
brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici ha
rianimato un dibattito antico, iniziato nel lontano 1967 nell'ambito dei
lavori preparatori della Legge francese n° 68-1 del 2 gennaio 1968 sui brevetti
per invenzioni.
L'approvazione di detto provvedimento di legge, infatti, venne preceduta da un
vivace confronto tra fautori dell'opportunità di vietare espressamente la
brevettabilità dei programmi per elaboratore e sostenitori della tesi opposta,
secondo cui tale decisione avrebbe dovuto essere rimessa, caso per caso, alle
autorità chiamate a valutare la brevettabilità di un determinato trovato o,
piuttosto, a pronunziarsi sulla validità di un brevetto relativo ad un
programma per elaboratore.
All'esito di tale discussione, prevalse il primo dei due richiamati
orientamenti e l'art. 7 della legge 68-1 divenne così la prima disposizione
al mondo a stabilire che ne constituent pas, en particulier, des inventions
industrielles: 1°les principes, découvertes et conceptions theoriques ou
purement scientifiques; 2° les creations de caractère exclusivement ornemental;
les méthodes financières ou comptables, les règles de jeux et tous autres
systèmes de caractère abstrait, et notamment les programmes ou séries d'instructions
pour le déroulement des opérations d'une machine calculatrice.
Successivamente, come è noto, analoga previsione è stata inserita all'art.
52.2 della Convenzione di Monaco sul brevetto europeo stabilendo che i programmi
per elaboratore "in quanto tali" non avrebbero dovuto essere
considerati come invenzioni brevettabili.
Sono trascorsi oltre trent'anni da allora, eppure, a leggere i lavori
preparatori che accompagnano l'iter normativo della proposta di direttiva ed
il dibattito in corso nelle più diverse sedi ad opera di addetti ai lavori,
giuristi ed economisti sembra che poco o nulla sia cambiato e ciò, nonostante,
il software, all'epoca cenerentola di un'industria informatica appena agli
albori, sia oggi divenuto l'indiscusso protagonista della società dell'informazione
e di un settore industriale che costituisce il motore dell'economia di gran
parte dei Paesi industrializzati.
A tali profondi cambiamenti nel mercato e nell'industria informatica si
sono poi accompagnati altrettanto significativi mutamenti sul piano della
brevettabilità del software: dapprima negli Stati Uniti e, quindi, anche in
Europa, infatti, ormai da decenni si è fatto strada - almeno a livello di
uffici brevetti - il convincimento che anche il software, o meglio le
invenzioni contenenti software, possano e debbano essere brevettate qualora
ricorrano tutti i presupposti di brevettabilità richiesti dalla normativa
vigente.
In tali condizioni continuare ad interrogarsi - proprio come si faceva nei
primi anni '70 - sulla brevettabilità dei programmi per elaboratore,
costituisce un esercizio sterile, poco produttivo e, anzi, deleterio per la
stabilità e l'equilibrio di un mercato e di un'industria che in ragione del
proprio dinamismo hanno, per contro, bisogno di regole certe e precise.
D'altro canto che il software disponga delle caratteristiche ontologiche
proprie di ogni altra invenzione industriale è circostanza pacifica ed
indiscutibile, confermata - qualora ve ne fosse bisogno - proprio dalla
circostanza che, in passato, si sia avvertita l'esigenza di escludere detto
trovato dalla brevettabilità, esigenza che non è stata avvertita per altri
prodotti dell'ingegno umano palesemente estranei al mondo brevettuale: basti
pensare alle opere letterarie, a quelle musicali o a quelle cinematografiche.
Egualmente pacifico - almeno nell'orientamento dell'Ufficio europeo dei
brevetti e del Patent Office statunitense - è che, qualora ricorrano i
presupposti previsti nella vigente normativa in tema di invenzioni industriali
- i trovati contenenti software possano e debbano formare oggetto di brevetto
per invenzione industriale.
In tale contesto, a ben vedere, il dibattito ormai da tempo in corso dovrebbe
semmai essere spostato sull'opportunità o meno che - in ragione delle
innegabili peculiarità dei programmi per elaboratore nell'universo delle
invenzioni industriali - in relazione al software vengano adottati, ex lege,
parametri e criteri di accesso alla privativa industriale diversi da quelli
utilizzati in altri domini della tecnica o, piuttosto, meccanismi e procedure di
funzionamento del sistema brevettuale più rispondenti alle specifiche esigenze
del mercato, dell'industria e degli operatori del settore.
Il problema, infatti, non è se il software possa o meno essere brevettato
perché la risposta a questa domanda è, evidentemente, positiva non essendo
neppure ipotizzabile che un'industria dinamica ed innovativa quale quella
informatica sia privata di uno strumento, quale quello brevettuale, che negli
ultimi 600 anni ha garantito il progresso scientifico e tecnologico dell'industria
mondiale, ma, piuttosto, come a ciò si debba procedere.
In questa prospettiva l'impostazione ed il contenuto della proposta di
direttiva non appaiono condivisibili ed, anzi, risultano ambigui ed inutili.
Ciò, tuttavia, non per le ragioni che, ormai da anni commentatori ed addetti
ai lavori, si affannano a sostenere nel tentativo di fermare la corsa delle
istituzioni comunitarie - e, forse, di una parte dell'industria informatica
- verso la definitiva approvazione della direttiva ma, piuttosto, perché tale
provvedimento non affronta - ed evidentemente non risolve - i reali termini
del problema rischiando, anzi, di crearne di nuovi su di un piano interpretativo
ed attuativo così come accade ogni qualvolta il legislatore "edifica"
costruzioni normative inutili e non richieste.
Più in particolare, l'ambiguità della proposta di direttiva deriva dalla
circostanza che le istituzioni comunitarie continuano a manifestare una sorta di
timore riverenziale nel sancire in modo chiaro ed univoco che i programmi per
elaboratore appartengono all'universo delle invenzioni industriali ed al
ricorrere di determinati presupposti devono essere brevettati.
L'inutilità, invece, discende dall'incapacità - ma forse sarebbe più
corretto parlare di mancanza di volontà - di enucleare in modo altrettanto
chiaro, se e quali ulteriori e specifici presupposti - rispetto a quelli
richiesti per il brevetto di ogni altro trovato - debbono ricorrere perché
possa procedersi al riconoscimento di una privativa industriale in relazione ad
una invenzione attuata attraverso un programma per elaboratore.
A ben vedere, infatti, l'articolato della Proposta di Direttiva e l'insieme
dei considerando, che lo precedono non aggiungono nulla a limiti e
criteri individuati sin dall'ottobre del 2001 (ed in realtà in gran parte sin
dalla seconda metà degli anni '80) dall'Ufficio europeo brevetti nell'ambito
delle direttive sull'esame delle domande di brevetto contenenti invenzioni di
software.
In tali direttive, infatti, ormai da tempo, l'Ufficio brevetti, ricorda
che, un'invenzione, per poter essere brevettata deve essere nuova, suscettibile
di applicazione industriale, implicante un'attività inventiva e
disporre di carattere tecnico ovvero rapportarsi ad un dominio della
tecnica, risolvere un problema tecnico o, piuttosto, possedere caratteristiche
tecniche.
Secondo le medesime direttive, inoltre, la domanda di brevetto deve essere
formulata in modo tale da consentire - conformemente al disposto dell'art.
83 della Convenzione di Monaco - ad un uomo di media esperienza nel settore,
di attuare, sulla base delle sole informazioni ricavabili dalla predetta domanda
- il trovato di cui si chiede il brevetto.
Sebbene, la circostanza, possa ritenersi pacifica, il documento richiama,
inoltre, l'attenzione degli esaminatori sulla necessità di prendere in
considerazione il trovato nel suo complesso senza compiere valutazioni circa la
brevettabilità dei singoli elementi che lo compongono.
Con più specifico riferimento alle domande di brevetto concernenti trovati
contenenti software, le stesse direttive chiariscono che la procedura da
seguire allorquando si tratta di valutare la brevettabilità (di un trovato
contenente software) è - in line a di principio - la stessa da adottare per
ogni altra categoria brevettuale. Nonostante i 'programmi per elaboratore'
figurino tra gli elementi esclusi dalla brevettabilità che sono individuati all'art.
52(2), se il trovato rivendicato presenta un carattere tecnico, questo non
potrà essere considerato escluso dalla brevettabilità a norma dell'art.
52(2) e (3).
Al riguardo, peraltro, nelle direttive si precisa che ai fini del
riconoscimento del brevetto, detto carattere tecnico deve essere rintracciato in
aspetti diversi ed ulteriori rispetto alla semplice interazione tra il software
ed il computer sul quale esso viene fatto girare.
A ben vedere ed a scorrere con attenzione l'intero testo di tale documento
risulta chiaro quanto poco la proposta di direttiva aggiunga "allo stato
dell'arte" e quanto, pertanto, essa appaia inutile.
Se non si vuole sprecare un'eccezionale occasione per tentare di
"mettere ordine" nella disciplina del brevetto software, occorre
concentrare gli sforzi nello spostare l'attenzione dall'alternativa tra
brevettabilità e non brevettabilità dei programmi per elaboratore all'individuazione
di chiari e stringenti modalità e criteri di accesso al regime brevettuale per
le invenzioni contenti software.
In questa prospettiva occorrerebbe, tra l'altro, prestare particolare
attenzione: a) alla circostanza che il riconoscimento del brevetto sia
effettivamente subordinato alla messa a disposizione della collettività di
informazioni ed elementi sufficienti ad attuare l'invenzione brevettata, b)
all'organizzazione ed alla gestione di un database che consenta l'effettuazione
di ricerche di anteriorità in tempi brevi ed in modo puntuale ed efficace, c)
ai costi della procedura brevettuale, da più parti additati come una delle
principali ragioni per le quali il brevetto software rischierebbe di consegnare
il destino della relativa industria nelle mani della sole grandi imprese.
L'interesse al progresso tecnologico costituisce un fattore trasversale che
dovrebbe valere a superare ogni diversità di vedute e consentire, dunque, ai
diversi schieramenti che, sino ad oggi, si sono contrapposti sull'argomento di
dar vita ad un confronto aperto e costruttivo nel nome di tale comune interesse
che, peraltro, dipende largamente dal destino dell'industria del software e da
quanto essa verrà posta nella condizione di continuare a crescere e rinnovarsi.
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