Il software tra brevetto e copyright
27.11.03L'articolo di Guido Scorza pubblicato una settimana fa, Brevetto software: una direttiva ambigua e inutile,
ha suscitato alcune reazioni contrarie, delle quali è giusto dare conto prima
di affrontare le argomentazioni svolte dall'autore.
Per rendere l'idea del tono di diverse e-mail ricevute, leggiamo alcune
frasi di un messaggio, il cui autore chiede l'anonimato: ... se c'è qualcosa di ambiguo e inutile è proprio
l'articolo in questione. Ambiguo perché da una parte sostiene la pacifica
brevettabilità del software e nello stesso tempo riconosce che da tempo ne è
stata esclusa la brevettabilità, inutile perché i più autorevoli esponenti
del mondo dell'informatica si oppongono all'approvazione della direttiva...
anche il professor Angelo Raffaele Meo in un convegno che si è svolto a Bologna
alcuni giorni fa si è vivacemente dichiarato contrario alla direttiva... senza
contare la presa di posizione di un organismo autorevole come la FTC, citata
proprio da Interlex... Ricordiamo che il professor Meo, paladino del
software libero, è stato il presidente della Commissione per l'open source
nella pubblica amministrazione, che ha prodotto un rapporto
sulla base del quale il ministro Stanca ha emanato una direttiva in materia (il cui testo non è ancora
noto). La citazione del rapporto della Federal Trade Commission è
nell'articolo Brevetti software, anche gli USA ci ripensano? Ciò
premesso, va detto che l'intervento di Scorza, fondato su serie argomentazioni,
costituisce un utile contributo alla discussione, e per questo lo abbiamo
pubblicato, anche se non ne condividiamo le conclusioni.
E' bene ricordare che la direttiva 91/250/CEE, recepita in Italia con il DLgv
518/92, fu preceduta da un lungo dibattito su una questione fondamentale: se per
i programmi per elaboratore fosse più indicato il regime brevettuale o quello
del diritto d'autore, posto che comunque una forma di protezione doveva essere
trovata. Non fu presa in considerazione la soluzione più ovvia, quella di una
forma intermedia e specifica. Furono gli stessi interessi che oggi premono per
l'approvazione della nuova proposta di direttiva a sostenere la soluzione del
copyright, in quanto più "comoda" e semplice. Ora come allora, non
c'è dubbio che il software è un prodotto industriale e che accordare a Office
o a Photoshop lo stesso tipo di tutela prevista per un romanzo o per un'opera
lirica è alquanto stravagante. Ma è altrettanto chiaro che non si può
accettare la doppia protezione, perché i due istituti sono in totale reciproco
contrasto (vedi La brevettabilità del software: perché non può funzionare
di N. W. Palmieri).
Infatti il diritto d'autore protegge l'opera dell'ingegno nella sua espressione
finale, mentre il brevetto è posto a protezione di un'idea che esplica il suo
valore economico solo nel momento in cui viene applicata per realizzare un
prodotto. Sotto un altro punto di vista, l'istituto brevettuale è una specie di
contratto tra lo Stato e l'inventore: lo Stato si impegna ad assicurare
all'inventore il diritto di sfruttare l'idea per vent'anni, al termine dei quali
essa deve divenire patrimonio comune, grazie anche alla dettagliata descrizione
che è alla base della richiesta del brevetto. Ora non è improprio immaginare
che questo tipo di contratto possa essere applicato al software, con tutti i
suoi vincoli, a partire dalla descrizione dettagliata del funzionamento
dell'invenzione, del deposito del codice sorgente e della durata limitata
dell'esclusiva.
Ma allora si abolisca la protezione del copyright: o l'una o l'altra.
Nell'attuale situazione, la proposta di direttiva che di fatto attribuisce
all'ideatore la scelta tra la sola protezione derivante dal copyright e
l'aggiunta del brevetto è perniciosa per le piccole software house, deleteria
per lo sviluppo del software libero e, di conseguenza, per il progresso della
stessa società dell'informazione.
(M. C.)
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