Se non ci sono garanzie di rispondenza all'originale e di riferibilità
temporale, la stampa su carta di una pagina web non può avere il valore di una
prova. Così, in sintesi, la Corte di cassazione (sezione lavoro, sentenza n.
2912/04 del 2 dicembre 2003) si è pronunciata incidentalmente su su un tema di
notevole importanza nel processo civile e penale: il valore probatorio di una
pagina web e la sua rilevanza processuale. Sempre più spesso, infatti, stampe
di contenuti on line, riproduzioni cartacee e quant'altro costituiscono
elementi essenziali dei teoremi accusatori o difensivi delle parti e non è
sempre chiaro se e in quali termini sia possibile riconoscere un qualche valore
alla riproduzione fisica di un file.
A questa necessità risponde appunto la sentenza commentata, stabilendo che
Si deve soltanto evidenziare che non è corretto il richiamo dei principi
relativi alla produzione in appello di documenti precostituiti, in relazione ad
una pagina Web depositata dall'A. nel corso del giudizio di rinvio, poiché le
informazioni tratte da una rete telematica sono per natura volatili e
suscettibili di continua trasformazione e, a prescindere dalla ritualità della
produzione, va esclusa la qualità di documento in una copia su supporto
cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzie di rispondenza
all'originale e di riferibilità a un ben individuato momento.
Dunque, se da un lato la Corte ammette la possibilità teorica di qualificare
"documento" una pagina web, anzi, meglio, le informazioni tratte da
una rete telematica, dall'altro ne stabilisce - sinteticamente ma in termini
molto chiari - i requisiti ontologici perché la copia possa tenere luogo dell'originale,
producendo, così, gli effetti probatori di cui all'art. 2719 c.c.
L'applicazione della norma invocata ai contenuti telematici, tuttavia, non è
così semplice per almeno tre ordini di motivi:
1. assenza, fra le tecniche di riproduzione del documento individuate dalla
norma e ammesse analogicamente dalla giurisprudenza, della stampa da un
computer;
2. difficoltà di individuazione e individuabilità dell'originale;
3. difficoltà di considerare il "pezzo di carta" come copia
"fedele" di quanto visualizzato su un monitor, in assenza di
"garanzia di rispondenza all'originale e di riferibilità a un ben
individuato momento".
Quanto alla prima questione, va considerato che l'art. 2719 c.c. disciplina
il valore delle copie di scritture effettuate tramite la fotografia e, per
pacifica estensione, tramite l'utilizzo di tecnologie fotostatiche e
eliografiche. La ratio è evidente: attribuire valore a tecniche di
riproduzione che, eseguendo la duplicazione "in un sol colpo",
escludono radicalmente qualsiasi intervento manipolatorio sul documento da
copiare. E che quindi presentano un maggiore grado di fedeltà all'originale
rispetto alle copie dattiloscritte, stampate o scritte a mano.
Ma, e veniamo al secondo punto, quando oggetto delle stampe è una serie di
file, cioè di oggetti informatici che veicolano, in forma utilizzabile da un
computer, dei contenuti rappresentabili ma, nel contempo, proteiformi, è
difficile parlare di "originale" elettronico e di "copia"
cartacea.
I file si compongono, infatti, di due elementi: il contenuto rappresentativo,
cioè la "esplicitazione" della volontà del soggetto, e i parametri
che consentono al computer di visualizzare il suddetto contenuto rappresentativo
secondo le modalità prescelte dall'autore. In più, il terzo che accede al
documento elettronico in questione può, a propria volta e in piena autonomia,
modificare sia il contenuto rappresentativo del documento, sia - intervenendo
sul programma per elaboratore che lo legge - la modalità di visualizzazione. E'
quindi possibile - senza voler scomodare la distinzione kantiana fra noumeno e
fenomeno - avere una pluralità di versioni che rappresentano, ciascuna in modo
differente, lo stesso documento elettronico.
Viene così meno la "consacrazione", a opera della tecnologia
fotostatica, del rapporto inscindibile fra originale e copia posta a base dell'art.
2719 c.c.
E' evidente che - date queste premesse - il documento elettronico in sé non
può avere valore. E che non può essere considerato "originale" dal
quale estrarre una copia cartacea rilevante ai sensi dell'art. 2719 c.c.
Questo è particolarmente vero per le pagine HTML, che possono essere
visualizzate con diverse modalità che prescindono del tutto dalla volontà dell'autore
dei contenuti. Come è noto, i browser possono essere personalizzati da chi li
usa in modo da escludere la visualizzazione di eventuali immagini, delle
sottolineature o delle animazioni, oppure cambiando tipo e dimensione dei
caratteri tipografici. Circostanze non irrilevanti, ad esempio, nei casi di
plagio o diffamazione on line.
Ma non basta, perché c'è il terzo punto, essenziale anche se non
espressamente affrontato nella decisione della suprema Corte: le copie
fotografiche di scritture, secondo il citato art. 2719 c.c., hanno la stessa
efficacia delle autentiche "se la loro conformità con l'originale è
attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente
disconosciuta".
Tralasciamo in questa sede le questioni relative al valore probatorio "fino
a querela di falso" del documento informatico con firma elettronica
qualificata (previsione introdotta dal DLgs 10/02 e contestata da più parti -
vedi i due interventi di Gianni Buonomo Lo schema governativo
stravolge il processo civile e Il magistrato: scritto e
trascritto, ma non sottoscritto), perché stiamo parlando di una copia
cartacea.
Basta ricordare che l'art. 20, comma
1, del DPR 445/2000 stabilisce che "I duplicati, le copie, gli estratti del
documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, sono
validi a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente
testo unico". Aggiunge il comma 3: "Le copie su supporto informatico
di documenti, formati in origine su supporto cartaceo o, comunque, non
informatico, sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono
tratte se la loro conformità all'originale è autenticata da un notaio o da
altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, con dichiarazione allegata al
documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche di cui all'articolo
8, comma 2".
Queste disposizioni si raccordano con il primo comma dell'art. 18: "Le copie autentiche, totali o
parziali, di atti e documenti possono essere ottenute con qualsiasi procedimento
che dia garanzia della riproduzione fedele e duratura dell'atto o documento.
Esse possono essere validamente prodotte in luogo degli originali".
Breve: in assenza di una autenticazione che attesti la rispondenza
all'originale (e in un dato momento, nel caso di una pagina web), la copia
cartacea di un originale informatico non può avere il valore probatorio della
riproduzione fotografica autenticata di un documento cartaceo.
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