Sulle pagine di InterLex è in corso un acceso dibattito
sulla bozza di "Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione
amministrativa" approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri
del 29 agosto scorso.
Com'è noto, con questo provvedimento si comincia a dare attuazione a quanto
previsto dall'art. 7 della legge di semplificazione 1998 (n. 50/99), che
prevede un programma di riordino delle norme legislative e regolamentari,
mediante l'emanazione di testi unici riguardanti settori omogenei.
Tra i criteri cui il Governo deve attenersi nella redazione
dei testi figura quello del
coordinamento formale del testo delle disposizioni
vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie
per garantire la coerenza logica e sistematica nella normativa anche al fine di
adeguare e semplificare il linguaggio normativo.
Ora è evidente che il punto centrale dell'operazione sta
proprio nella ricerca dell'equilibrio ottimale tra le esigenze di modifica
necessarie a garantire la coerenza di un "testo unico" e i limiti di
fedeltà alla normativa vigente che un'opera di coordinamento, e non di
riscrittura, impone, come sono evidenti le difficoltà che derivano dalla stratificazione
delle norme legislative e regolamentari da riordinare.
Per questo è necessario un confronto approfondito del testo redatto dalla
Funzione pubblica con la normativa preesistente, per individuare sia i casi nei
quali la fedeltà al testo vigente rischia di riprodurre le stesse difficoltà
preesistenti, sia i casi nei quali le modifiche apportate rischiano di
stravolgere quanto il legislatore ha inteso sancire.
A quest'ultima fattispecie sembra appartenere la questione
degli "accertamenti d'ufficio", affrontata dall'art.
43 della bozza di testo unico, in particolare dal comma 1, che recita:
Le amministrazioni pubbliche non possono richiedere atti o
certificati concernenti stati, qualità personali e fatti di cui all'articolo
46, per i quali sono tenute o ad acquisire d'ufficio le relative informazioni,
previa indicazione, da parte dell'interessato, dell'amministrazione
competente e degli estremi indispensabili per il reperimento delle informazioni
o dei dati richiesti, o ad accettare la dichiarazione sostitutiva dell'interessato.
La nuova formulazione sembra voler mettere assieme le
previsioni dell'art. 18, comma 2, della legge 241/90:
Qualora l'interessato dichiari che fatti, stati e
qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa
amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile
del procedimento provvede d'ufficio all'acquisizione dei documenti stessi o
di copia di essi
con quelle dell'art. 7, comma 1, del dpr 403/98
Qualora l'interessato non intenda o non sia in grado di
utilizzare gli strumenti di cui agli articoli 1 e 2, i certificati relativi a
stati, fatti o qualità personali risultanti da albi o da pubblici registri
tenuti o conservati da una pubblica amministrazione sono sempre acquisiti d'ufficio
dall'amministrazione procedente, anche con la procedura di cui al comma 2, su
semplice indicazione dell'interessato della specifica amministrazione che
conserva l'albo o il registro
E qui già appare evidente un primo errore in quanto non
risulta corretto il riferimento esclusivo alla norma regolamentare segnalato
dalla bozza di testo unico (R), laddove il riferimento ad una norma di legge è
con tutta evidenza confermato dalla esplicita abrogazione dell'art. 18 della
legge 241/90, prevista all'art. 75
della stessa bozza di testo unico.
Nel merito della questione, si possono formulare alcune
osservazioni.
- il nuovo testo recato dall'art. 43 appare restrittivo già rispetto al
solo regolamento 403/98, laddove quest'ultimo affermava il dovere delle
amministrazioni di procedere all'acquisizione d'ufficio non solo dei
certificati elencati dall'art. 1, ma anche di quelli previsti dall'art. 2,
mentre il nuovo testo fa riferimento esclusivo alle certificazioni elencate nell'art.
46 (che recepisce l'art. 1 del dpr 403/98), e non a quelle previste dall'art.
47 (che recepisce l'art. 2 del dpr 403/98);
- la nuova formulazione appare più confusa della precedente, che all'art.
7, comma 1 del regolamento individuava il criterio di alternatività tra i due
strumenti (dichiarazione sostitutiva o accertamento d'ufficio) nella mancanza
di volontà o nella impossibilità dell'interessato di utilizzare la
dichiarazione sostitutiva;
- l'elemento più preoccupante è l'inserimento, assolutamente non
richiesto da alcuna esigenza di coordinamento e che assume al contrario una
connotazione esclusivamente restrittiva delle possibilità di utilizzo della
norma, della indicazione da parte dell'interessato non solo dell'amministrazione
competente, che già era contenuta nella norma preesistente, ma finanche "degli
estremi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati
richiesti", che rappresenta una sorta di pietra tombale sulla
possibilità di utilizzo di tale procedura.
Ma il problema più grave è l'abrogazione operata dal
testo unico di tutto l'art. 18 della legge 241/90, che, oltre al già
citato comma 2, prevede, al comma 3:
Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del
procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione
procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.
Infatti, mentre il comma 2 individua una procedura di
acquisizione d'ufficio attivata a richiesta della parte interessata, il comma
3 stabilisce tout court un principio di organizzazione di carattere
generale, un dovere delle pubbliche amministrazioni di scambiarsi le
informazioni tra di loro e non utilizzare il cittadino utente come una sorta di
fattorino.
Si può dire senz'altro che il principio affermato dal comma 3 dell'art. 18
non è mai stato appieno realizzato, o addirittura che non è stato per nulla
realizzato, ma questo non può comportare che esso debba essere cancellato dalla
normativa, implica semmai la constatazione che il ritardo delle pubbliche
amministrazioni ad adeguarsi ammonta già a dieci anni.
Che il principio affermato dall'art. 18 della legge 241/90
sia di grande valenza nei rapporti tra gli utenti e la pubblica amministrazione
è peraltro stato recentemente riaffermato dall'esplicito riferimento a quella
norma contenuto nello "Statuto dei diritti del contribuente" (legge n.
212 del 27 luglio 2000), che, all'art. 6 comma 4, ha inteso confermare appieno
quel dovere di accertamento d'ufficio purtroppo ancora scarsamente praticato.
Per di più, l'intervento modificativo proposto nel testo unico sarebbe - di
già - il primo caso di specie di verifica della affermata inderogabilità
dei principi sanciti dallo Statuto del contribuente.
Se infine l'ipotesi di abrogare il principio statuito dall'art.
18 della legge 241/90 solleva perplessità sul piano giuridico, ancor meno
comprensibile appare sul piano politico, se è vero che tale principio è stato
con grande enfasi riaffermato recentissimamente nel piano
di azione per l'e-government (22 giugno 2000).
In tale documento è possibile leggere in premessa (pag. 5, "La
visione dell'amministrazione elettronica del Paese") che la "visione
dell'Amministrazione che si propone al Paese, e che può essere concretamente
realizzata proprio grazie alle possibilità oggi offerte dalle tecnologie ICT,
si può sintetizzare nelle seguenti proposizioni:
- il cittadino potrà ottenere ogni servizio pubblico, cui ha titolo,
rivolgendosi ad una qualsiasi amministrazione di front-office abilitata al
servizio, indipendentemente da ogni vincolo di competenza territoriale o di
residenza;
- all'atto della richiesta di un servizio, il cittadino, oltre agli
strumenti di identificazione personale, non dovrà fornire alcuna informazione
che lo riguarda e che sia già in possesso di una qualsiasi amministrazione
dello Stato.;
- il cittadino non dovrà conoscere come lo Stato è organizzato per la
erogazione dei servizi o a quali amministrazioni si deve rivolgere, ma potrà
richiedere servizi esclusivamente in base alle proprie esigenze, non in base
alla conoscenza di quale amministrazione fa che cosa;"
Proprio l'enfasi con la quale viene proposta tale visione
dell'amministrazione impone che non venga cancellato dall'ordinamento un
principio che, quasi fortunosamente, già da dieci anni è stato affermato dal
legislatore.
* Funzionario del Ministero delle
finanze