Per incominciare, leggete attentamente questa definizione:
firma elettronica: l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati
oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici,
utilizzati come metodo di validazione dell'insieme di dati
attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne distinguono l'identità
nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie al fine di
garantire la sicurezza dell'accesso;
Siamo impazziti? Forse, perché c'è da perdere la ragione a leggere certe
cose. Ma l'insensata tiritera che avete appena letto è nel testo del codice
dell'amministrazione digitale, approvato da Governo il 4 marzo scorso e in
attesa della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Si ricava semplicemente
dalla
definizione di "firma elettronica" (art. 1, c. 1, lett. q): "l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati
oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici,
utilizzati come metodo di autenticazione informatica", sostituendo
l'espressione
"autenticazione informatica" con la relativa definizione (art. 1,
comma 1, lett. b), cioè "la validazione dell'insieme di dati
attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne distinguono l'identità
nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie al fine di
garantire la sicurezza dell'accesso".
Abbiamo compiuto una delle operazioni più elementari dell'interpretazione di
un testo normativo, il "combinato disposto". E abbiamo ottenuto un
risultato demenziale. Ma come si è giunti a questa assurdità?
I lettori più attenti ricorderanno come la parola "autenticazione" sia
spuntata nel decreto legislativo 10/02 (che recepiva la sgangherata direttiva
1999/93/CE sulle cosiddette "firme elettroniche"), come traduzione del
termine inglese authentication che, nel testo comunitario, sembra la
principale funzione delle electronic signatures. Peccato che authentication
sia una parola della lingua inglese che significa molte cose, tranne che
"autenticazione". Essa infatti nel nostro ordinamento "consiste
nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata
apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare
l'identità della persona che sottoscrive" (art. 2703 c.c.).
Dunque il computer fa concorrenza al notaio. Questa è l'assurda conseguenza di un
errore di traduzione e del suo sconsiderato inserimento in un testo normativo. Per di più, come abbiamo più volte osservato, anche la traduzione di signatures con "firme"
è in molti casi inesatta: così si capisce quale pasticcio sia stato combinato con le
modifiche alla prima versione del testo unico sulla documentazione
amministrativa introdotte con il
recepimento della normativa comunitaria.
Nella seconda versione del TUDA le
nuove definizioni, insieme ad altri passaggi incoerenti con il nostro
ordinamento, erano state oggetto di molte critiche, e anche di seri dubbi di
costituzionalità (se ne trova ampia documentazione nell'indice di questa
sezione di InterLex, in particolare gli articoli dal n. 96 in poi).
Erano state anche all'origine di interpretazioni scombinate, fino all'emanazione di decreti
ingiuntivi sulla base di semplici messaggi e-mail da parte di qualche giudice
distratto.
Ma con le bozze del "codice dell'amministrazione
digitale" i diversi frammenti del puzzle erano stati rimessi a posto
dall'ufficio legislativo del ministro Stanca, con un paziente lavoro di
ricostruzione del quadro normativo al quale anche gli estensori di questo
articolo avevano dato il loro piccolo contributo. Nel testo finale (diramato
alle amministrazioni interessate il 16 luglio 2004) era finalmente scomparsa la
parola "autenticazione", sostituita da espressioni più precise dal punto di
vista tecnico e coerenti con il nostro ordinamento, come
"identificazione" e "autorizzazione".
Poi la prima sorpresa: nella versione
approvata in via preliminare dal Governo l'11 dicembre 2004 compariva la
definizione di "autenticazione informatica", peraltro inutile perché del tutto
assente nel contesto. La sua eliminazione appariva ovvia, anche in seguito alle
osservazioni del Consiglio di Stato, come appariva ovvia la correzione
dell'errore materiale (solo apparente?) della definizione di firma elettronica come
"metodo di identificazione informatica":
come tutti dovrebbero sapere, in assenza di un certificato qualificato la firma
elettronica consente un'identificazione molto "debole" del firmatario. Invece il testo è stato modificato spargendo qua e là
l'espressione "autenticazione informatica" con i risultati disastrosi
che abbiamo visto all'inizio di questo articolo.
Ora la situazione è questa: sulla Gazzetta ufficiale sarà pubblicato un
decreto legislativo che, a detta di tutti, contiene molti errori. Siccome
entrerà in vigore solo il 1. gennaio del prossimo, c'è tutto il tempo di
rimediare, come ha scritto anche il Consiglio di Stato nel suo parere.
Avremo quindi un codice rattoppato, pieno articoli di articoli bis, ter
e quater, altri abrogati o sostituiti, con il conseguente imbarazzo di
chi dovrà applicarlo, perché si farà sempre riferimento al numero del decreto
e alla data di pubblicazione della prima versione "e successive
modificazioni". Modificazioni che sarà difficile trovare fino a quando
gli standard di Norme in Rete non saranno imposti anche al Poligrafico dello
Stato (vedi La Gazzetta on line si può e si deve fare), con l'obbligo di pubblicare
on line anche i testi vigenti.
Comunque si dovrà evitare l'errore che è stato commesso in questa
occasione, con la stesura delle successive versioni dello schema affidata solo all'ufficio legislativo del Ministro per l'innovazione, con il contributo
informale di diversi esperti delle singole materie e modifiche
chieste (o imposte) a posteriori dalle altre amministrazioni coinvolte.
Per elaborare le indispensabili modifiche si deve formalmente costituire
all'interno del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie una commissione
di esperti, che dovrà giungere a un testo coordinato condiviso da tutti gli
enti interessati. Testo che non potrà subire modifiche successive, a meno di un
riesame da parte della stessa commissione, che accerti la coerenza delle nuove
proposte.
Il codice dell'amministrazione digitale è uno strumento molto importante per
lo sviluppo del buon governo e i suoi effetti saranno determinanti anche per il
settore privato: non può essere oggetto di un'attività legislativa informale,
basata esclusivamente sulla buona volontà di pochi ed esposta ad interventi
estemporanei o dell'ultimo minuto. Si deve ricordare l'esempio del DPR 513/97, che fu sviluppato da un'apposita
commissione costituita in seno all'AIPA, tenendo conto dei numerosi contributi
giunti in seguito alla pubblicazione preventiva di due bozze sul sito della
stessa autorità. Il risultato fu un testo che, a parte qualche imprecisione
dovuta all'assoluta novità della materia, resta ancora oggi di esemplare
chiarezza e coerenza.
Ritorneremo su questi argomenti nei prossimi numeri, per mettere il luce gli aspetti
critici e avanzare qualche proposta di soluzione. Naturalmente tutti possono
contribuire alla discussione.
|