Dalla stampa e da comunicati di varia fonte apprendiamo che
nel disegno di legge che anticipa la manovra finanziaria 2008 (e del quale non
è stato a tutt’oggi depositato o pubblicato un testo definitivo) è compresa
la seguente disposizione:
Il secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile è
sostituito dal seguente:
L'atto di trasferimento, sottoscritto digitalmente nel rispetto della normativa
anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici,
ovvero con sottoscrizione autenticata, dal notaio, deve essere depositato entro
trenta giorni, a cura di un intermediario abilitato al deposito degli atti al
registro delle imprese di cui all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24
novembre 2000, n. 340, ovvero a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio
del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede
sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su
richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui
risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dal professionista
che vi ha provveduto ai sensi del precedente periodo.
Così come formulata, si tratta di una norma dirompente e
della quale non è dato comprendere appieno financo il fine politico, che appare
ben diverso da quello fin qui indicato o addirittura esaltato da quanti hanno
proposto o favorevolmente commentato l’iniziativa.
Al di là delle considerazioni di natura politica e della
facile polemica, desidero provare a far chiarezza a me stesso ed a chi avrà la
bontà di leggermi sulla effettiva portata giuridica della norma proposta, non
potendo fare a meno, comunque, di sottolineare l’inidoneità della scelta
operata dal legislatore di inserire la stessa all’interno di un provvedimento
finanziario anziché nell’ambito più appropriato e consono della normativa di
riforma delle professioni.
L’art. 2470 vigente del codice civile recita:
Efficacia e pubblicità
[1] Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal
momento dell'iscrizione nel libro dei soci secondo quanto previsto nel
successivo comma.
[2] L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere
depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio
del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede
sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su
richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui
risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a
causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede
o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per
l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di
società per azioni.
[3] Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra
esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle
imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
[4] Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona
dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel
registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e
nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di
costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.
[5] Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli
amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel
registro delle imprese.
[6] L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla
pubblicità prevista nei commi precedenti.
[7] Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e
quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel
libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.”
In maniera del tutto evidente, la norma attuale prevede che
per l’opponibilità e validità del trasferimento di una quota di srl debbono
eseguirsi, nell’ordine:
- la sottoscrizione di un atto autentico di trasferimento (senza distinzione tra
atto pubblico o scrittura privata autenticata)
- il deposito dell’atto così formato presso il registro delle imprese, a cura
del notaio rogante o autenticante
- l'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci, su richiesta dell'alienante
o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento
e l'avvenuto deposito.
A ciò debbono poi aggiungersi tutti gli altri adempimenti
prescritti dalla legge notarile (conservazione dell’originale presso il
notaio), dalla normativa fiscale (assolvimento imposte di bollo e registro) e
dalle leggi speciali in tema di privacy ed antiriciclaggio e, non ultimo, il
pagamento dei diritti e delle imposte di bollo da versare al registro delle
imprese
Ulteriore elemento qualificante per la bontà e validità del
deposito è dato dall’invio telematico attraverso sistemi protetti (non a caso
definiti dal Ministero dell’interno come infrastrutture critiche
informatiche di interesse nazionale – DM 9 gennaio 2008) e dall’utilizzo del sistema di firma digitale del notariato
che, attraverso il Consiglio nazionale in veste di certificatore
accreditato, garantisce appieno ed in via esclusiva la pubblica funzione del
notaio sottoscrittore, al contrario di quanto avviene con altri certificatori ed
ordini professionali.
Cosa cambia con la novella proposta ?
Per il notaio, proprio nulla; per gli utenti e per la certezza del sistema
molto, e in peggio.
Una prima riflessione deve farsi su quello che, da civilista
e notaio, definirei un “attentato” alla “autoreferenzialità” del codice
civile.
Scorrendone tutti gli articoli, e fatti salvi un paio di essi da tempo abrogati,
non ho trovato da alcuna parte ed al loro interno alcun richiamo a norme
estranee al codice civile stesso. Se nel codice esiste un richiamo, esso è ad
altre sue norme e mai a leggi o regolamenti.
Il richiamo all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000,
n. 340 laddove approvato costituirebbe quindi una eccezione, una anomalia
grave e difficilmente sanabile del sistema codicistico.
Altra riflessione deve farsi sul concetto di atto sottoscritto
digitalmente nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la
sottoscrizione dei documenti informatici.
La definizione è pleonastica. Sarebbe stato sufficiente dire … “sottoscritto
digitalmente” senza ulteriori specificazioni per individuare una
fattispecie giuridicamente ben individuata e già ampiamente disciplinata dalla
legge.
Ciò giustifica il malizioso sospetto che l’estensore materiale della norma
abbia ben poca dimestichezza con la disciplina giuridica della firma digitale e
con gli effetti che alla utilizzazione di quest’ultima vengono riconosciuti
dal nostro ordinamento.
L’allocuzione “sottoscritto digitalmente” richiama,
come già accennato, una fattispecie ben precisa e chiaramente disciplinata all’interno
del codice dell’amministrazione digitale (CAD) approvato con decreto
legislativo 5 marzo 2005, n. 82 e successivamente modificato con decreto
legislativo 4 aprile 2006, n. 259.
Siamo cioè nell’ipotesi di documento informatico sottoscritto mediante
utilizzo di firma digitale “a norma” (art. 24 CAD) ed al quale l’ordinamento
riconosce valenza di scrittura privata non autenticata (art. 21 CAD), valida
fino a prova contraria.
Una valenza, è bene precisarlo, un buon gradino sopra quella riconosciuta al
documento sottoscritto con firma “elettronica” (liberamente valutabile dal
giudice) ma anche, come sostenuto dai migliori studiosi non solo italiani, un
piccolo gradino sotto il documento cartaceo sottoscritto con firma autografa
(non autenticata).
Sempre a norma dell’art. 24 CAD, per la generazione
della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento
della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti
revocato o sospeso.
Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole
tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71, la validità del certificato
stesso, nonché gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e
gli eventuali limiti d'uso.
Ben diversa è l’ipotesi di “firma digitale autenticata”
disciplinata dall’art. 25 CAD ed alla quale la norma in esame non fa alcun
riferimento, così contraddicendo e totalmente sconfessando quanti vogliono
fare intendere che con la novella proposta si attribuisce potere di autentica a
qualsiasi “intermediario abilitato al deposito degli atti al registro delle
imprese di cui all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000,
n. 340”.
Il potere che la novella attribuisce a questi ultimi è,
quindi, soltanto quello di fungere da meri “postini” (sia detto col massimo
rispetto per gli uni e per gli altri) abilitati soltanto alla trasmissione di
“documenti informatici con valenza di scritture private non autenticate” al
registro delle imprese.
E proprio in questo è il pericolo che la novella porta con sé: quello di far
considerare un semplice documento informatico, sottoscritto con firma digitale
“a norma”, alla stessa stregua di un documento informatico autenticato.
Si confonde cioè il dettato dell’art. 24 CAD con la particolare previsione di
cui al successivo art. 25 stesso CAD.
Una confusione imperdonabile ed inaccettabile se fatta da un
legislatore che della innovazione digitale intende fare un cavallo di battaglia
ed un vessillo della propria attività di governo.
Ammesso e non concesso il potere del legislatore di rivedere
verso il basso il sistema delle garanzie civilistiche, sconvolgendo al contempo
la validità e attendibilità dei pubblici registri (introducendo il principio
della loro modificabilità mediante invio di semplici scritture private non
autenticate, quali i documenti informatici), non è affatto chiaro come
collocare la novella all’interno del nostro sistema fiscale e, ancor di più,
nell’ambito della normativa antiriciclaggio e della lotta all’evasione
fiscale.
La proposta di legge non prevede alcun onere o obbligo a carico dell’intermediario:
sistematicamente non può certo prevederlo all’interno di una norma
codicistica, ma, singolarmente, non lo prevede neanche in norme accessorie o
collegate.
E' noto che il notaio è obbligato al pagamento delle imposte
di bollo e di registro nascenti dall’atto ricevuto o autenticato, un pagamento
che viene garantito sempre e in ogni caso allo Stato: nella proposta di legge
nulla si dice a tal proposito per gli atti di trasferimento di quote di srl da
depositarsi a cura degli intermediari, il che, trattandosi in questa ipotesi di
imposte da pagare in caso d’uso, giustifica il timore di una prevedibile e
massiccia evasione fiscale, non quantificabile, ma sicuramente ingente.
Se non vi è responsabilità personale, di certo l’evasione è garantita, non
per malizia ma nei fatti.
Altrettanto dicasi per la tracciabilità dei pagamenti e per
il rispetto della normativa antiriciclaggio cui l’intermediario “postino”
non è assolutamente obbligato: nell’ipotesi in esame egli è soltanto un nuncius
e come tale non esplica alcuna attività professionale tra quelle contemplate
dalle norme antielusione.
Nasce il dubbio, se non la certezza, che per soddisfare una promessa politica si
è involontariamente incorsi in un macroscopico errore, e cioè nella creazione
di un doppio binario.
Così come argutamente e correttamente evidenziato da Manlio
Cammarata il 26 giugno scorso (Un "baco" che non c'è e una scorciatoia per i
disonesti) “se questa norma dovesse passare, per i trasferimenti delle
quote delle società a responsabilità limitata ci sarebbe un doppio binario: il
primo, più lento e costoso, per le persone oneste, che ricorrerebbero al notaio
per attestare la regolarità del trasferimento; il secondo, più economico e
rapido, per i disonesti, con la firma digitale e la trasmissione da parte
dell'intermediario abilitato (di solito un commercialista, quello che molte
volte detiene illecitamente il dispositivo di firma del cliente, vedi E' illecito affidare il dispositivo
di firma al commercialista)”.
E ben noto che il sistema delle società a responsabilità
limitata costituisce, non solo in Italia, uno dei rifugi preferiti per ripararsi
dalla morsa fiscale e che molto spesso un trasferimento di quota di modesto
valore nominale (sul quale viene applicata la vigente tariffa notarile) nasconde
in realtà un movimento di denaro per nulla irrilevante (sul quale, peraltro,
viene liquidata la parcella di altri professionisti).
Ciò non significa necessariamente che ogni trasferimento di
quota sociale debba considerarsi atto elusivo, ma a mio giudizio meglio avrebbe
fatto il legislatore a proporre non tanto la modifica del vigente art. 2470
C.C., quanto la necessità di allegare ad ogni atto di trasferimento un
documento comprovante l’effettivo valore della quota trasferita, meglio ancora
se a firma di uno dei soggetti oggi promossi “postini” sul campo.
Ma chi conserverebbe i documenti informatici “originali”?
Il Notariato già possiede un sistema di archiviazione “a norma”. E gli
altri ordini professionali?
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