Europa: a che punto sono le firme elettroniche?
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di Roberto Manno - 09.12.03
Proseguiamo la lettura dello studio comparato sulla firma digitale in Europa
richiesto dalla Commissione europea al gruppo di esperti coordinato dall'università
di Leuven (il voluminoso documento in PDF - 1,5 MB - può essere scaricato
dal sito di eEurope).
Gli studiosi ascrivono agli Stati membri la responsabilità del caos nella quale
versa oggi la firma digitale: si tratterebbe di un caos interpretativo di una
direttiva che, invece, viene assolta da ogni accusa. In ogni caso, l'eventualità
di una revisione generale della stessa direttiva, anche se presentata come estrema
ratio, viene fatta salva.
Vediamo le osservazioni a proposito dell'utilizzo della firma digitale da
parte del "Settore pubblico".
La direttiva, nel suo articolo 3.7, prevede
la facoltà per gli Stati membri di prevedere requisiti supplementari per
l'uso delle firme digitali nel settore pubblico, a condizione che tali
requisiti siano ragionevoli, specifici e compatibili con l'esercizio concreto
e transfrontaliero delle libertà fondamentali dei cittadini dell'Unione
europea. Si tratta della famosa Public Sector Exception.
Ebbene, le modalità con cui gli Stati membri hanno interpretato ed applicato
tale disposizione hanno suscitato le perplessità degli analisti: Member
States need to be reminded that applying additional conditions can only be
justified by objective reasons and should be relate to the specific
characteristics of the application concerned.
Il gruppo raccomanda quindi le seguenti azioni:
- dare maggiore importanza alle condizioni che consentono il ricorso alla public
sector exception; anche ai fini dell'art. 5.2
della direttiva (principio di non discriminazione, valido non solo per il
settore privato, ma anche per quello pubblico);
- analisi approfondita delle iniziative nazionali in materia di e-government
non solo in relazione alla direttiva sulla firma digitale ma anche alla libera
circolazione delle merci, ex art. 86 del Trattato, nella misura in cui si
sfrutta una posizione dominante di mercato ostacolando le libertà dei
consumatori o imponendo prestazioni supplementari;
- necessità di condurre uno studio dettagliato sulle conseguenze per il Mercato
interno dei programmi di e-government degli Stati membri, controllo dei rischi
di nuove barriere, frammentazione e interoperabilità;
- necessità di coordinare a livello europeo l'interoperabilità delle azioni
di e-government nazionali e le applicazioni delle firme digitali.
Passando in rassegna le azioni nazionali in materia di recepimento dell'art.
3.7 della direttiva, lo studio dell'università osserva che:
- in molti casi sono state previste e imposte ulteriori condizioni procedurali e
tecnologiche, anche con leggi e regolamenti ad hoc che prevedono tali condizioni
e le particolari forme di firme digitali da utilizzare. La maggior parte ricorre
a firma elettroniche basate su certificati qualificati rilasciati da
certificatori accreditati;
- per un ristretto numero di servizi di PA on line, in Germania è obbligatorio
l'uso di firme elettroniche di lunga validità;
- in Spagna e Lituania è previsto che alcuni documenti utilizzati nel settore
pubblico siano firmati elettronicamente con firma digitale qualificata e time-stamped;
- In alcuni Stati membri (Italia; Irlanda; Portogallo; Repubblica Ceca) le PA
restringono le applicazioni della firma digitale alle firme avanzate basate su
certificati qualificati e accreditati e create da un dispositivo di firma
"sicuro".
La possibilità che vangano preferiti CSProvider nazionali concreta il
pericolo di violazione dell'art. 3.7 nella parte in cui proibisce l'introduzione
di ostacoli ai servizi transfrontalieri per i cittadini dell'Unione europea.Osserva
ancora il rapporto che, insieme all'e-banking, l'e-government costituisce il
settore che più di ogni altro contribuisce allo sviluppo delle firme
elettroniche in Europa: mentre il primo non prevede il ricorso a firme
qualificate, il secondo lo presuppone nella quasi totalità dei casi.
In Italia, come sappiamo, la carta d'identità elettronica (CIE) e la carta
nazionale dei servizi (CNS) rappresentano i progetti-perno della semplificazione
del rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione.
L'inclusione della firma digitale in tali servizi, nonostante il ricorso a
procedure standard che consentono quindi di raggiungere un'elevata
interoperabilità tra le varie applicazioni, potrebbe risultare problematica, in
un momento in cui si avverte il bisogno di fermarsi e fare il punto della
situazione.
Sono numerose le applicazioni della firma elettronica univocamente legate ad
una certification authority: questi sistemi chiusi non raccolgono grande
consenso.
È questo il senso dell'avvertimento
agli Stati membri di non abusare della public sector exception e dell'invito
rivolto alla Commissione di seguire le iniziative nazionali al fine di
coordinarle verso la realizzazione del vero obiettivo della firma elettronica:
permettere la sottoscrizione di documenti informatici.
Da parte nostra possiamo a questo punto avanzare qualche osservazione: se è
vero che in Europa c'è confusione, è necessario stabilire (e con urgenza)
chi confonde e chi invece sviluppa.
In Italia, paese all'avanguardia in materia di firma digitale, una
continua ed attenta discussione condotta ai massimi livelli assicura quelle
correzioni di rotta che portano ai risultati importanti che ci aspettiamo.
Ora, delle due l'una: o l'Italia si è distinta per una disinvolta e
arbitraria lettura delle disposizioni della direttiva o invece è proprio il
nostro Paese ad aver saputo anticipare soluzioni giuridiche che altrove non sono
state ancora recepite.
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