Europa: a che punto sono le firme elettroniche?
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di Roberto Manno - 27.11.03
E' stato pubblicato nei giorni scorsi un importante studio svolto dal centro
interdisciplinare ICT dell'Università di Leuven (Belgio),
commissionato dalla Direzione generale per la società dell'informazione della
Commissione europea, sul recepimento da parte degli Stati membri della direttiva
99/93/CE sulle firme elettroniche (il voluminoso documento può essere scaricato
dal sito di e-Europe).
Il gruppo di lavoro ha esaminato le legislazioni nazionali degli Stati membri,
dei paesi aderenti e dei candidati.
Lo studio, di ben 263 pagine, oltre alle questioni giuridiche
affronta anche questioni legate all'uso commerciale delle firme elettroniche,
con particolare attenzione alle tecnologie adottate, ai problemi dell'interoperabilità
tra prodotti e servizi e all'uso di standard comuni.
Si tratta di un documento di grande interesse, che consente di comprendere
meglio alcune importanti tematiche legate alle firme elettroniche, attraverso un
percorso di analisi comparata.
Una prima importante constatazione è come tutti gli Stati membri, più o meno
superficialmente, abbiano trasposto la direttiva nei loro ordinamenti nazionali.
Questo ha determinato un effetto-domino che ha coinvolto gli altri Stati
(aderenti e candidati), la IEFT e la sua opera di standardizzazione.
Molti dei problemi di applicazione delle firme elettroniche sono quindi
attribuiti all'imprecisa traduzione dell'articolato della direttiva, che ha
prodotto e produce divergenze nelle norme nazionali e nella loro applicazione
concreta.
Vengono criticate alcune forme di schemi di supervisione (quasi contrari allo
spirito dell'art. 3.1 della direttiva, che vieta la prior authorization)
e viene stigmatizzata la frustrazione dell'accreditamento volontario
attraverso la preferenza accordata da alcuni Stati membri a firme basate su
certificati qualificati (che tagliano fuori quelle basate su certificati
"semplici").
Interessanti sono le riflessioni relative alle problematiche poste dall'art.
5 della direttiva.
E' su questo terreno, sul quale avevamo scritto alcune riflessioni (vedi Valore probatorio: in Francia
hanno fatto così e La firma digitale nel Regno
Unito), che concentreremo la nostra
attenzione.
Il gruppo di lavoro belga considera che su questo punto sia necessaria un'opera
di chiarificazione a livello comunitario su due punti essenziali:
1. Firma elettronica qualificata non è sinonimo di firma elettronica legalmente
rilevante;
2. Soddisfare i requisiti della firma elettronica qualificata è un modo, ma non
l'unico, che consente l'applicazione delle regole proprie delle firme
autografe.
Si auspica quindi l'avvento di una firma elettronica qualificata
standardizzata; riconoscibile a livello europeo e non definita solo da criteri
relativi agli strumenti di generazione e relativi certificati, ma a tutte le
fasi di sottoscrizione e verifica.
In una prospettiva europea, ancor più pericolose delle scelte (consapevoli o
meno) operate dai singoli Stati membri è quindi il quadro disomogeneo che viene
a determinarsi: tali distorsioni possono essere superate da standard pubblicati
nella Gazzetta ufficiale dell'UE.
Uno degli aspetti più interessanti dell'analisi comparata delle
trasposizioni della direttiva, è quello relativo all'art. 5 e alle modalità
con le quali si è data rilevanza legale alle firme elettroniche: come abbiamo
visto, le scelte sono diverse.
In alcuni casi (Svezia; Norvegia) è il legislatore a stabilire come le firme
digitali non possano essere accettate in tutte le circostanze; mentre in altri
(Italia; Portogallo; Belgio), la rilevanza legale delle firme elettroniche è
espressa in termini generici: la posizione italiana è la più radicale in tal
senso, giungendo all'equiparazione del documento scritto a quello informatico
(sottoscritto digitalmente) ad ogni effetto di legge.
Nei paesi di common law (UK e Irlanda), in cui la questione della forma della
sottoscrizione non ha particolare rilevanza, la rilevanza giuridica della firma
elettronica è affidata solo all'assolvimento delle funzioni di questa
(elettronica o autografa che dir si voglia).
Il gruppo di lavoro riscontra, tra gli Stati membri, la tendenza generale a
riconoscere espressamente l'equivalenza tra la firma autografa e uno specifico
tipo di firma, rifacendosi alle disposizioni dell'art. 5 della direttiva.
Le tecniche con cui tale trasposizione è stata effettuata sono varie: dalla
trasposizione in verbatim alla modifica dei testi di legge generali
(codici civili e di procedura civile) allo scopo di introdurre l'equivalenza
giuridica (anche sul piano dell'efficacia probatoria) di un certo tipo di
firma elettronica a quella autografa, e/o di stabilire un generale principio di
ammissibilità e rilevanza giuridica dei documenti informatici (elettronici).
In Italia la firma elettronica qualificata della direttiva si trasforma nella
firma digitale, che ha confini più estesi e che, in seguito all'equivalenza
operata giuridicamente, ha un'efficacia probatoria addirittura maggiore della
firma autografa (ma, come sappiamo, la disposizione è da più parti giudicata
in contrasto con l'ordinamento e ne è stata annunciata la revisione).
Nei prossimi numeri esamineremo più in dettaglio alcuni aspetti del
rapporto, che sembrano di grande interesse anche in vista della revisione della
normativa italiana, secondo la delega contenuta nella legge comunitaria per il
2001.
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