Nel dibattito sul ricorso per decreto ingiuntivo
accolto dal tribunale di Cuneo
possono essere utili alcune indicazioni contenute nello studio dell'università
di Leuven, che abbiamo commentato nello scorso mese di novembre, sullo
stato dell'attuazione in Europa della direttiva sulle firme elettroniche
1999/93/CE.
Infatti le contraddittorie e controverse disposizioni contenute nell'art. 10 del novellato testo unico sulla documentazione amministrativa dovrebbero attuare
l'art. 5.2 della direttiva: in realtà vanno ben oltre il dettato
comunitario. Recitano infatti le disposizioni europee:
Articolo 5 - Effetti giuridici delle firme elettroniche
1. Gli Stati membri provvedono a che le firme elettroniche avanzate basate su un
certificato qualificato e create mediante un dispositivo per la creazione di una
firma sicura:
a) posseggano i requisiti legali di una firma in relazione ai dati in forma
elettronica così come una firma autografa li possiede per dati cartacei; e
b) siano ammesse come prova in giudizio.
2. Gli Stati membri provvedono affinché una firma elettronica non sia
considerata legalmente inefficace e inammissibile come prova in giudizio
unicamente a causa del fatto che è
- in forma elettronica, o
- non basata su un certificato qualificato, o
- non basata su un certificato qualificato rilasciato da un prestatore di
servizi di certificazione accreditato, ovvero
- non creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura.
Sembrano norme semplici e condivisibili: le firme qualificate hanno gli
effetti legali delle firme autografe sui documenti cartecei, mentre per le firme
non qualificate vale un generale principio di non discriminazione. Di fatto l'art.
5.2 ha creato non pochi problemi negli Stati membri e non è un caso che proprio
su questa disposizone si sia concentata l'attenzione del gruppo di studio
dell'Università di Leuven.
Lo studio (pagg. 77 e ss.), dopo aver esaminato le procedure nazionali di
trasposizione della direttiva e le poche pronunce giudiziali, rileva pericolose
disarmonie sulla trasposizione dell'art. 5.2 della direttiva e
sull'interpretazione giurisprudenziale (peraltro finora non corposa) dello
stesso: vi sono Stati che hanno trasposto la disposizione in modo letterale,
esplicito, tra cui Austria, Belgio, Francia, Grecia, Lussemburgo, Olanda,
Irlanda e Italia. In particolare, Belgio e Francia confermano la rilevanza
probatoria della firma elettronica che assicura la paternità del documento e
l'integrità del suo contenuto, mentre l'Irlanda attribuisce generale
rilevanza alle informazioni in forma elettronica.
Altri Stati hanno operato una trasposizione implicita, tra cui Danimarca,
Germania, Portogallo, Spagna, Finlandia e Svezia. Ciò risponde ad una scelta
deliberata, avendo gli stessi Stati riconosciuto il valore legale dei documenti
informatici sottoscritti digitalmente già prima della direttiva.
In Germania, è la sicurezza effettiva, valutata caso per caso, che attribuisce
alle firme elettroniche di qualsiasi tipo un valore legale e probatorio.
Infine vi sono Stati che hanno optato per una trasposizione parziale, come il
Regno Unito.
Indice dell'incertezza interpretativa, a quattro anni dall'emanazione
della direttiva, è il contrastante indirizzo seguito dai giudici di fronte alla
rilevanza probatoria dell'e-mail: in un caso (Corte di prima istanza di Atene,
decisione 1337/2001) è stato affermato che l'indirizzo di posta elettronica
soddisfa le funzioni della sottoscrizione manuale (identificazione univoca del
firmatario e nesso tra questi e il suo indirizzo di posta); mentre in un altro
(AG Bonn, decisione 25 ottobre 2001) il disconoscimento è stato pieno, avendo
il giudice escluso la rilevanza probatoria dell'e-mail, per gli evidenti rischi
di sicurezza delle comunicazioni attraverso la posta elettronica, specialmente
in un sistema aperto come Internet.
Queste disarmonie, secondo lo studio, sembrano inevitabili, stante l'ambigua
formulazione dell'art. 5.2: la valutazione del valore legale delle firme
elettroniche diventa così un terreno irto di difficoltà per i giudizi
nazionali. L'approccio funzionale della direttiva si presta ad interpretazioni
diverse e in alcuni casi opposte, come dimostrano i casi in materia di posta
elettronica. Proprio tali clamorose divergenze spingono gli estensori del
rapporto a chiedersi se queste siano dovute a circostanze fortuite, tra cui
l'inesperienza degli stessi giudici nazionali di fronte a tali nuove questioni,
ovvero a radicate e difficilmente conciliabili tradizioni giuridiche.
Alla luce di tale scenario, il decreto ingiuntivo del tribunale di Cuneo,
anche se non è una sentenza, e quindi costituisce in alcun modo un precedente
interpretativo sull'impossibile valore probatorio dell'email, sicuramente
offre l'occasione per approfondire anche in una prospettiva internazionale le
varie questioni aperte, soprattutto in vista dell'imminente revisione della
disciplina italiana.
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