Efficacia probatoria: la gerarchia
delle fonti normative
di Paolo Ricchiuto* - 18.03.03
Il percorso normativo diretto alla creazione di una organica e
sufficientemente chiara disciplina in materia di sottoscrizione elettronica
affronterà nei prossimi mesi un passaggio cruciale, in virtù dell'iter
tracciato dalla legge di semplificazione 2001, mediante la quale il Governo è
delegato a risistemare l'intera materia.
Uno degli aspetti più importanti riguarda ovviamente la individuazione della
efficacia probatoria del documento informatico.
Ora, anche in relazione ai contenuti dell'intervista
al responsabile dell'ufficio legislativo del Dipartimento per l'innovazione e le
tecnologie, recentemente pubblicata da InterLex, appare quanto mai opportuno
evidenziare un problema di ordine istituzionale, che, fin dall'inizio, ha
costituito (e rischia di continuare a costituire) una sorta di bomba ad
orologeria piazzata sotto l'intero edificio della disciplina sulla firma
digitale.
Ripartiamo da capo.
L'art. 15 comma 2 L. 59/97 (che tutti conosciamo a memoria, ma che credo sia
opportuno rileggere con estrema attenzione,) così recitava:
Gli atti dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai
privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle
medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti
informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge. I criteri e
le modalità di applicazione del presente comma sono stabiliti, per la pubblica
amministrazione e per i privati, con specifici regolamenti da emanare entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi
dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.400.
Dal punto di vista della gerarchia delle fonti, il meccanismo è dunque il
seguente: il Parlamento, con una legge, detta un principio, che è sic et
simpliciter quello della "validità e rilevanza"dei documenti
formati con strumenti informatici e telematici. Il legislatore, poi, rimette al
Consiglio dei Ministri il compito di fissare "criteri e modalità" per
dare sostanza a quel principio. La domanda da porsi è la seguente: nel redigere
il DPR ai sensi della L. 400/88, il Consiglio dei ministri ha le mani
completamente libere?, Può, cioè, andare ad intaccare e modificare assetti
normativi già consolidati? La risposta, a parere di chi scrive, è la seguente:
assolutamente no!
Esiste un confine ben preciso, che, ove varcato, comporterebbe una aberrante
anomalia.
Era esattamente questo uno degli argomenti sulla scorta dei quali chi scrive,
insieme a tanti altri, aveva sostenuto la impossibilità di leggere l'art. 5
DPR 513/97 (poi rifluito nell'art. 10 DPR
445/00), come strumento attraverso il quale attribuire al documento
informatico sottoscritto con firma digitale una efficacia probatoria diversa e
più forte rispetto al documento cartaceo sottoscritto "fisicamente":
se il Consiglio dei ministri avesse affermato tale principio, infatti, sarebbe
andato ben oltre le prerogative attribuitegli dall'art. 15 L. 59/97, atteso
che (e ripeto termini che ho già utilizzato in altri miei precedenti
interventi) in luogo di "equiparare" il documento informatico a quello
cartaceo, il DPR avrebbe creato una nuova categoria (quella cd. della scrittura
privata informatica), con ciò incappando in una sorta di ultra-utilizzazione
della potestà regolamentare allo stesso riconosciuta a norma della L. 400/88. I
regolamenti quindi, avrebbero dovuto esser letti cercando di dare agli stessi
una interpretazione che fosse anche istituzionalmente sostenibile, di tal che
dall'art. 5 DPR 513/97 (e dall'art. 10 DPR 445/00) si sarebbe potuto
inferire solo ed esclusivamente che il documento sottoscritto con firma digitale
avesse gli stessi identici effetti probatori di quello sottoscritto con firma
autografa.
Come tutti sappiamo, la macchina non si è fermata... Anzi, se è
possibile il problema si è ancor di più aggravato con il DLgs 10/02. Vediamo perché.
Che cos'è, dal punto di vista della ricognizione delle fonti, quel decreto
legislativo? E' l'atto attraverso il quale il Governo è chiamato, in virtù
della cosiddetta "legge comunitaria" (L. 29.12.00 n. 422) a dare
attuazione alla direttiva 1999/93/CE. Stessa domanda di prima: nel redigere quel
decreto legislativo, il Governo è libero da qualsiasi vincolo, e può inserirvi
ciò che vuole? Risposta: assolutamente no!
Ed infatti l'art. 2 della legge comunitaria esplicitamente prevede, fra i
principi e criteri direttivi generali cui si deve informare il recepimento, la
possibilità, per evitare disarmonie con le discipline vigenti, di introdurre
alle stesse "modifiche o integrazioni": non credo vi siano dubbi sul
fatto che introdurre una categoria ex novo come quella della scrittura
privata informatica, non possa esser considerato un intervento atto ad evitare
disarmonie, essendo, al contrario, teso a. creare una asimmetria rispetto alla
disciplina sul documento cartaceo. Creazione inibita proprio dai vincoli fissati
dalla legge comunitaria.
Ecco uno dei vari motivi, per i quali si è evidenziata da più parti la
illegittimità costituzionale delle modifiche apportate all'art. 10 DPR 445/00
dal DLgs 10/02 : prevedere che il documento informatico sottoscritto con firma
digitale "fa piena prova fino a querela di falso" ha significato, e
continua a significare lo sfondamento di una ben precisa staccionata normativa,
atteso che né la direttiva europea prevedeva nulla del genere, né tanto meno
la legge comunitaria abilitava alla immissione nel sistema di una disciplina di
tal fatta (senza poi considerare tutte le perplessità, anche relative alla
sicurezza delle procedure, emerse negli ultimi tempi),
Alla asimmetria tra L. 59/97 e DPR 513/97, si era dunque sovrapposta una
ancor più pesante divaricazione tra legge comunitaria e DLgs 10/02. Problema
che (quantomeno ai fini della individuazione della efficacia probatoria) non
sembra aver trovato alcuna soluzione nel recente regolamento emanato a norma dell'art. 13
DLgs 10/02.
E veniamo ad oggi, sempre ponendoci dal punto di prospettiva della verifica
circa la tenuta istituzionale dell'intero impianto.
La legge di semplificazione, nel testo finora reso noto, prevede quanto segue:
Il Governo è delegato ad adottare entro 18 mesi uno o più decreti
legislativi e regolamenti su proposta del Ministro per l'innovazione e le
tecnologie e dei ministri competenti per materia, per il coordinamento ed il
riassetto delle norme in materia di società dell'informazione [...] nel
rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) graduare la rilevanza giuridica e l'efficacia probatoria dei diversi tipi
di firma elettronica in relazione al tipo di utilizzo ed al grado di sicurezza
della firma;
[...]
d) realizzare il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti,
apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per
garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di
adeguare o semplificare il linguaggio normativo;
e) adeguare la normativa alle disposizioni comunitarie.
Domanda: cosa può fare, dunque, il Governo? Quando il Parlamento lo abilita
a "graduare l'efficacia probatoria", gli da anche il potere di
introdurre (o meglio, di ribadire l'introduzione) di istituti nuovi come la
scrittura privata informatica (che fa piena prova fino a querela di falso anche
al di là ed al di fuori dei casi previsti dagli artt. 2702 e 2703 c.c.)?
A modesto avviso di chi scrive, la risposta è , ancora una volta: assolutamente
no!
Chi redigerà quei regolamenti, infatti, è tenuto ad agire nel quadro di
confini ben delimitati, costituiti da quei "principi e criteri
direttivi", nei quali non credo sia ravvisabile il potere di andare a
stravolgere tutto il sistema della prova documentale dettato dal nostro codice
civile (vedi anche Lo schema governativo stravolge il
processo civile di Gianni Buonomo).
Alla luce di ciò, e tirando le fila del ragionamento operato, possiamo ora
rileggere un passaggio dell'intervista al responsabile dell'ufficio
legislativo del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie
"nel dilemma se dare (al documento sottoscritto con firma digitale, ndr)
questa fortissima efficacia, o retrocederlo a un'efficacia probatoria più
ridotta, se si riuscisse a trovare una soluzione nuova, anche al di fuori di
quelle che sono le attuali previsioni del codice civile, probabilmente avremo
inventato uno strumento giuridicamente più aderente alla realtà dei
fatti".
Qui sta il problema: se si vuole "inventare" una soluzione nuova al di
fuori delle attuali previsioni del codice civile, non è certo attraverso lo
strumento dei regolamenti delegati che si può addivenire a questo risultato,
attese tutte le riflessioni sopra riportate.
Il rischio, quindi, ove si continui ad operare mediante il mero strumento
regolamentare, è che le perplessità istituzionali che attraversavano
sotterraneamente la normativa fin qui emanata, abbiano a perpetuarsi (se non ad
aggravarsi ulteriormente).
Personalmente, lo vado sostenendo da tempo: la inconciliabilità
logico-giuridica dei vari regolamenti, ed il problematico allineamento alla
direttiva comunitaria, avrebbero consigliato di ricostruire la struttura fin
dalle sue fondamenta, mediante una nuova legge di rango primario, che, abrogando
tutto ciò che è stato scritto fino ad oggi, consenta di avere realmente le
mani libere (id est: inventare) per poter operare su una materia così
ostica. Ciò consentirebbe anche di introdurre istituti nuovi, che seppur
discutibilissimi dal punto di vista sostanziale (come la scrittura privata
informatica), avrebbero quantomeno la prerogativa di esser pienamente affidabili
sotto il profilo formale.
La scelta che sta dietro alla legge di semplificazione, non sembra muoversi in
questa direzione: e sarà molto difficile, percorrendo il sentiero dalla stessa
tracciato, arrivare ad una disciplina tanto chiara, limpida, semplice e sicura,
da costituire il vero punto d'avvio per la tanto auspicata rivoluzione
digitale.
|