La "nuova" efficacia
probatoria della firma digitale
di Paolo Ricchiuto* - 14.02.02
Il vero e proprio tiro al bersaglio che si è scatenato dopo la diffusione
dello schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva
1999/93/CE, è rappresentativo delle sacrosante preoccupazioni che animano gli
operatori del settore.
Leggo con interesse, e condivido per buonissima parte tutti gli interventi
intesi ad evidenziare le anomalie introdotte dalle sconcertanti novità
contenute nel nuovo testo dell'art. 10 TU 445/00, così come improvvidamente
modificato dall'art. 6 del famigerato schema di decreto legislativo del 21
dicembre scorso (vedi Una breve sintesi delle questioni
aperte dallo schema del decreto).
Accanto alle preoccupazioni relative alla nuova fisionomia della firma
elettronica debole (o.insicura), cui, sorprendentemente, vengono associate
caratteristiche che nel DPR 513/97 e nel TU erano senza dubbio riservate al
documento informatico sottoscritto con firma digitale sicura (prima fra tutte,
la forma scritta) , altre e ben fondate inquietudini esegetiche colgono l'interprete
sotto un diverso profilo (vedi Lo schema governativo
stravolge il processo civile di Gianni Buonomo).
Il nuovo testo dell'art. 10 TU (se
lo schema di decreto legislativo si dovesse tradurre in realtà normativa, come
sembra dalle ultime notizie) , al comma 3, prevede: "il documento
informatico, quando è sottoscritto con firma digitale o con altro tipo di firma
elettronica avanzata, e la firma è basata su di un certificato qualificato ed
è generata mediante un dispositivo per la creazione della firma sicura, fa
piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi
l'ha sottoscritto"
Si tratta di un intervento di enorme portata, che sembra risolvere alla
radice l'appassionato (a volte quasi violento) dibattito che si era scatenato
in ordine alla interpretazione del vecchio testo dell'art. 10 (secondo il
quale: il documento informatico sottoscritto con firma digitale aveva
"efficacia di scrittura privata ai sensi dell'art. 2702 c.c.").
Facciamo un passo indietro: erano due le tesi che si contendevano il campo.
Molti e autorevoli autori leggevano la norma attribuendo alla stessa un
significato rivoluzionario: mentre la sottoscrizione autografa, fa piena prova
fino a querela di falso soltanto laddove la medesima venga riconosciuta
(tacitamente o esplicitamente) o possa considerarsi legalmente riconosciuta
(perché autenticata da un notaio), ed è sempre esposta, in mancanza di detti
requisiti, al disconoscimento a norma dell'art. 214 cpc, al contrario, la
sottoscrizione con firma digitale avrebbe in sé l'efficacia probatoria della
scrittura privata riconosciuta: la stessa cioè non sarebbe disconoscibile, e
per attaccarne la rilevanza istruttoria sarebbe necessario l'esperimento (da
parte del sottoscrittore) della querela di falso.
Gli argomenti a sostegno di questa tesi possono compendiarsi in tre punti
cardine:
- il richiamo all'art. 2702 sarebbe da intendersi riferito soltanto alla
prima parte della norma: il documento sottoscritto con firma digitale, cioè,
farebbe piena prova fino a querela di falso.punto (non essendo necessario a
tal fine il riconoscimento);
- è impossibile disconoscere una firma digitale: I) perché è tecnicamente
quasi impossibile che esistano due firme digitali uguali; II) perché gli
strumenti che il codice di rito prevede per la verificazione, ed in particolare
le scritture di comparazione, sono incompatibili con le caratteristiche proprie
della firma digitale;
- se fosse possibile disconoscere la firma digitale, la parte che intenda
farla valere in giudizio dovrebbe fornire la prova che il documento proviene dal
sottoscrittore e che egli ne è materialmente l'autore. Prove che questo
orientamento considerava troppo gravose, e tali da vanificare la portata
innovativa del DPR 513/97.
Alla luce di tutto ciò, non è mancato chi ha avuto il coraggio di portare
alle estreme conseguenze il ragionamento, parlando esplicitamente di un nuovo
istituto introdotto nel nostro ordinamento: la cosiddetta scrittura privata
informatica, avente caratteristiche, ma soprattutto effetti probatori diversi ed
ulteriori rispetto alla normale scrittura privata.
Altrettanto autorevoli autori, hanno invece sostenuto la tesi opposta :il
documento sottoscritto con firma digitale, cioè, non può che produrre gli
stessi identici effetti probatori della scrittura privata del mondo fisico.
Chi scrive, ha sempre aderito (sommessamente) a questo orientamento, sulla base
di una serie di considerazioni che elencherò in breve:
- non esistono argomenti testuali per ritenere che l'art. 10 TU faccia un
rinvio.monco all'art. 2702. Se quella norma viene richiamata nella sua
interezza, è nella sua interezza che deve operare : dire che il documento
sottoscritto con firma digitale ha efficacia di scrittura privata ex art. 2702,
quindi, equivale a dire che lo stesso fa sì piena prova fino a querela di
falso, ma soltanto laddove lo stesso sia riconosciuto, o legalmente riconosciuto
a norma dell'art. 2703 cc;
- l'art. 24 TU (ex art. 16 DPR 513/97) espressamente prevede : "si
ha per riconosciuta ai sensi dell'art. 2703 c.c. la firma digitale la cui
apposizione è autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale". Se
dunque esiste una norma che espressamente subordina gli effetti dell'art. 2703
(e quindi indirettamente dell'art. 2702 c.c.) alla autentica della firma
digitale da parte di un notaio, non sembra possibile sostenere che quegli
effetti derivino dalla mera apposizione della firma digitale, non accompagnata
da detta autenticazione;
- nell'ambito di un procedimento di querela di falso, gli strumenti
probatori per l'accertamento del falso sono i medesimi previsti dal codice
nell'ambito del procedimento verificazione (e cioè a dire: I - le scritture
di comparazione; II - gli altri mezzi di prova intesi a supportare l'azione
che tenda ad accertare la veridicità (nella verificazione) o la falsità (nel
procedimento per querela) della sottoscrizione. Se dunque si sostiene che la
firma digitale , per le sue caratteristiche tecniche è incompatibile con gli
strumenti per l'accertamento della veridicità della sottoscrizione, nello
stesso tempo si afferma anche che la stessa non può esser fatta oggetto nemmeno
di una querela di falso, ciò che comporterebbe uno sconvolgimento dell'assetto
ordinamentale in materia di falso e prova documentale, che è difficilmente
riscontrabile negli intenti del legislatore delegante, e negli approdi cui è
giunto il legislatore delegato.
A ciò si aggiungeva l'argomento che, personalmente, ritengo fondamentale,
e che ha natura squisitamente istituzionale: tanto il DPR 513/97 quanto il TU
hanno la natura di fonti regolamentari, emanate dal Governo a norma dell'art.
17 della legge. 400/98: è il Parlamento che delega al Consiglio dei ministri l'esercizio
della potestà regolamentare, potestà che certo non è libera e svincolata,
dovendo muoversi necessariamente negli ambiti dei principi guida dettati dalla
legge di delega. Ora, per quanto attiene alla firma digitale, l'autorizzazione
era contenuta nell'art. 15 comma 2 della
legge 59/97 che testualmente recita:
"Gli atti i dati ed i documenti formati dalla PA e dai privati con
strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme,
nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono
validi e rilevanti a tutti gli effetti di Legge. I criteri e le modalità di
applicazione del presente comma, sono stabiliti, per la PA e per i privati, con
specifici regolamenti da emanare ai sensi dell'art. 17 comma 2 della legge
23.08.88 n. 400".
In nessuno modo, pertanto, è stato conferito al Governo il potere di
sconvolgere l'assetto normativo previsto dall'art. 2699 e ss. c.c.: il fine
dichiarato dei regolamenti, consisteva esclusivamente nel dettare criteri e
modalità attraverso le quali perseguire un unico scopo, che era quello di equiparare
il documento informatico, sotto il profilo della validità e dell'efficacia
probatoria, al documento formato su supporto cartaceo.
Equiparare, non già creare categorie ex novo in nessun modo previste
dalla legge autorizzativa.
Ecco il motivo (o meglio, i motivi) per i quali, a parere di chi scrive, non
si poteva derivare dalla normativa sulla firma digitale la realizzazione di un
nuovo istituto (quello della scrittura privata informatica), che avesse effetti
probatori ulteriori e diversi rispetto alla normalissima scrittura privata (per
una analisi più approfondita, rimando ad altri miei scritti, ed in particolare
al capitolo relativo alla firma digitale di Paolo Ricchiuto e Silvia Ricchiuto,
inserito in "Il diritto della Nuova Economia" ed. Cedam, di prossima
pubblicazione).
Bene. Su questa divaricazione interpretativa, piomba il nuovo testo dell'art.
10, caratterizzato da due elementi fondamentali: I) la espunzione di qualsiasi
riferimento all'art. 2702 c.c.; II) la netta affermazione secondo la quale la
firma digitale trasforma la efficacia probatoria della scrittura privata, di tal
che la stessa, a prescindere da qualsiasi riconoscimento e da qualsiasi
autentica notarile, produce gli stessi effetti della scrittura privata
riconosciuta o legalmentetriconosciuta, facendo quindi "piena prova fino a
querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha
sottoscritta".
Solo l'esame della relazione di accompagnamento al decreto legislativo
consentirà di verificare se si tratti di una scelta cosciente , se cioè il
Governo abbia inteso, con la nuova formulazione, dare una soluzione al contrasto
interpretativo sopra rappresentato.
Se così fosse, si tratterebbe di una..vittoria a tutto campo del primo
orientamento: con la firma digitale, quindi, era esegeticamente giusto, ed è
oggi doveroso, parlare di una rivoluzione delle norme relative alla prova
documentale, attestata dal fatto che la sottoscrizione digitale produce effetti
sconosciuti al mondo fisico: essa fa piena prova fino a querela di falso...punto,
senza bisogno di alcun riconoscimento e di alcuna autenticazione, in deroga ai
principi guida fissati dagli artt. 2702 e 2703.
Tutti coloro che la pensavano diversamente..me compreso, sarebbero dunque
costretti a render onore ai vincitori!
Ma la domanda è: siamo veramente convinti che ci sia da festeggiare?
Molte, moltissime sono infatti le perplessità che continuano ad accompagnare la
faccenda. Ne evidenzio, a caldo, almeno tre:
- il ruolo dei certificatori, gli unici ad avere un contatto diretto con colui
che chieda la validazione della propria chiave privata, viene di fatto
affiancato, a livello sistemico, a quello di un Pubblico Ufficiale (sarebbero
quindi oggi superate le argomentazioni che avevo addotto nel mio articolo
"Ancora sulla identificazione con certezza", scritto molto tempo prima
dello schema di recepimento). Siamo certi di poter innalzare canti di gioia per
il fatto che società private, il cui scopo è (giustamente) quello di fare un
business (come dimostrano le campagne di marketing sempre più aggressive di
molti Certificatori) svolgano un compito del genere? E siamo così sicuri (come
sostiene Dalla Riva nell'articolo I mille problemi
della firma digitale - 2) che un impiegato di un certificatore possa esser
paragonato, per la funzione che svolge, ad un pubblico ufficiale?
- Il decreto legislativo non prevede alcun appesantimento degli obblighi di
identificazione a carico dei certificatori. Come ho evidenziato su queste pagine
in precedenti interventi (seppure sotto il diverso profilo del rispetto della
legge antirigiclaggio), c'è da esser tranquilli nel fatto che il
certificatore sia semplicemente vincolato ad identificare "con
certezza" l'utente?
- Colui che richiederà ed utilizzerà la firma digitale, si troverà nella
condizione di poter scardinare l'efficacia probatoria della sottoscrizione
(anche se apposta da un terzo che gli abbia sottratto la smart card e che abbia
abusivamente utilizzato il dispositivo di firma) , esclusivamente promovendo una
querela di falso (e non semplicemente disconoscendo la firma). Siamo certi che
un effetto così pesante (e così lontano,enormemente lontano dalle legislazioni
degli altri paesi europei, nelle quali non è previsto nulla del genere), se
doverosamente pubblicizzato, non possa porsi come un vero e proprio freno alla
rivoluzione informatica che sta a cuore a tutti noi?
Sono solo alcune delle perplessità, che metto sul piatto della discussione
con il solito fine di riuscire a reperire negli scritti di altri argomenti tanto
convincenti da poterle fugare (argomenti che ad oggi, sinceramente, non vedo
negli interventi che ho avuto modo di leggere).
La firma digitale non serve a niente,
titolava InterLex giustamente evidenziando le storture del decreto legislativo
rispetto alla firma elettronica debole.
Spostando il piano di discussione sul nuovo testo dell'art. 10 e sul
profilo della efficacia probatoria, chiedo a me stesso e a tutti noi: e se la
firma digitale servisse... a troppo ?
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