Firma digitale, forma scritta e
requisiti formali
di Pasquale Russolillo - 10.07.03
Il polverone sollevato dall'abrogazione dell'art.
23, c. 2, TU, che
equiparava la firma digitale alla firma autografa, ha riaperto una questione
credo mai risolta fino ad oggi.
Provo formularla in breve. Posto che la firma digitale italiana, che oggi è un
particolare tipo di firma elettronica qualificata, ha un valore analogo a quello
di una scrittura privata legalmente riconosciuta (art.
10, c. 3., TU), ci si
domanda se sia idonea anche a soddisfare i requisiti di forma richiesti dalla
legge ad substantiam o ad probationem per la conclusione di
contratti di vendita immobiliare, di assicurazione, di transazione, ecc...
La prima norma che ha equiparato la forma digitale a quella scritta è stato
l'art. 4 del DPR 513/97, poi recepito
dall'art. 10 del TU sulla documentazione
amministrativa. Si è discusso se questa norma comportasse l'equiparazione del
documento informatico con firma digitale alla forma scritta come forma negoziale
(richiesta dalla legge a pena di validità o come requisito necessario ad
evitare limitazioni istruttorie alla prova del contratto), oppure attribuisse
più semplicemente al documento informatico la dignità di prova scritta nel
sistema delle prove civili, secondo un modello analogo a quello di altri Stati
europei come la Francia.
Probabilmente tale ultima soluzione, che consente di considerare il documento
informatico, comunque sottoscritto, un principio di prova per iscritto (che
favorisce l'ammissione della prova testimoniale anche nei casi in cui essa è
esclusa dalla legge per la prova dei contratti), o un documento scritto
suscettibile di libero apprezzamento da parte del giudice allo stesso modo delle
delle altre prove scritte libere (es. carte e registri domestici oppure estratti
di libri e scritture contabili), corrisponde alla migliore interpretazione anche
dell'art. 10, c. 2, TU. Questa norma, dopo l'attuazione della direttiva europea
sulle firme elettroniche, 99/93/CE, dice che il requisito legale della forma
scritta è soddisfatto dal documento informatico con firma elettronica. Si
intende, naturalmente, sia firma elettronica qualificata che non qualificata.
Se questa formula venisse interpretata nel senso che anche il documento
informatico validato con l'immissione di una semplice password o di un PIN in un
software di firma possa soddisfare i requisiti della forma scritta ad
substantiam o ad probationem, ci si esporrebbe ad un capovolgimento delle
certezze che le forme solenni intendono soddisfare. Esse mirano non solo a fare
in modo che che chi sottoscrive prenda coscienza dell'importanza dell'atto che
si accinge a compiere, ma anche a salvaguardare l'interesse pubblico alla
certezza dei rapporti giuridici. Il requisito della forma vincolata è un limite
all'autonomia contrattuale.
Dunque solo una firma a cui la legge, e non l'autonomia delle parti,
attribuisce piena efficacia legale può soddisfarlo. Le firme non qualificate, o
generiche, sono firme diffuse soprattutto nel commercio elettronico e richiedono
un consenso delle parti per poter avere un'efficacia vincolante. Questi accordi
vengono fatti rientrare dalla dottrina nelle cosiddette convenzioni di firma,
ammesse dall'art. 1352 c.c.
Solo la firma qualificata ha ricevuto, invece, un riconoscimento sotto il
profilo della validità e rilevanza a tutti gli effetti di legge, perlomeno
nell'ambito dei rapporti negoziali, come conferma l'art. 11 del TU, dopo la
riforma del DPR 137/2003. Sembra allora che solo questa sottoscrizione può
essere utilizzata anche come valido requisito formale, fermo restando il valore
probatorio di ogni firma elettronica, dato il principio di non discriminazione
contenuto nell'art. 10, 4°, co. TU
Cosa ha comportato allora l'abrogazione dell'art. 23, c. 2, che equiparava in
ogni caso, e non solo nell'ambito dei negozi giuridici, la firma digitale alla
firma autografa? Una prima tesi, che definirei restrittiva, porta a negare anche
alla firma digitale l'idoneità a soddisfare i requisiti della forma scritta ad
substantiam e ad probationem.
Da una parte questa tesi pare non condivisibile, in quanto in tal modo il
legislatore nazionale, andando contro le intenzioni di quello comunitario,
avrebbe disapplicato l'art. 5.1 della direttiva europea che obbliga gli Stati
membri ad equiparare la firma qualificata, cioè rispondente ai requisiti degli
allegati, alla sottoscrizione autografa.
Dall'altra, però, pare semplicistico ritenere che il solo art. 10, c. 3, TU
sia oggi sufficiente ad attribuire alla firma digitale il valore formale, e non
solo probatorio, della sottoscrizione tradizionale. La norma in questione
riguarda infatti il valore probatorio delle firme qualificate. In altre parole,
sorge il sospetto che il legislatore abbia avvertito il pericolo di una piena
equiparazione, anche sotto il profilo dell'idoneità a soddisfare i requisiti di
forma solenne, di una firma come quella digitale che potrebbe perdere la sua
validità dopo la scadenza del certificato, a meno che non sia
"aggiornata" con una marca temporale. Infatti sarebbe possibile, dopo
2 o 3 anni, a seconda della durata dei certificati, eccepire la nullità del
negozio che richiede la scrittura privata ai fini della validità solo perché
concluso con una firma digitale ormai scaduta.
In questo senso la tesi restrittiva avrebbe un fondamento. La tesi estensiva,
viceversa, si basa sull'intuizione secondo cui l'abrogazione dell'art. 23, c. 2,
TU attribuisca ormai il valore legale della forma scritta, ai fini della
validità e della prova dei negozi giuridici, anche ai documenti firmati con
sottoscrizione elettronica non qualificata. Ritengo questa tesi sicuramente
infondata, anche perché la direttiva europea ha attribuito a questo tipo di
sottoscrizione "debole" una rilevanza giuridica limitata ai rapporti
inter partes. Ma allora perché l'art.10, c. 2, esordisce attribuendo al
documento informatico con firma elettronica, qualificato o non, l'idoneità a
soddisfare il requisito della forma scritta? A mio giudizio la norma si riferisce
ai soli casi in cui la forma scritta sia un requisito richiesto non per la forma
o la prova dei negozi giuridici, ma per la valida tenuta di documenti a fini
fiscali o probatori.
In altre parole la norma confermerebbe quanto si dice immediatamente dopo in
modo più specifico a proposito dell'idoneità delle firme elettroniche non
qualificate a costituire strumento per la tenuta di libri e registri contabili
per l'adempimento degli obblighi di cui agli artt. 2214 e ss. del codice civile.
In questi casi, infatti, non si è mai richiesta la forma scritta sottoscritta
con firma autografa. Anche in questi settori si devono però attendere regole
precise che garantiscano la sicurezza e integrità dei dati registrati su dischi
magnetici, visto anche l'orientamento della Corte di cassazione, che ammette
l'uso di strumenti "meccanografici" per la tenuta di libri e registri
contabili, purché idonei a soddisfare tali requisiti.
Fino ad allora, considerati anche i rischi di sanzioni fiscali, la diffusione
dell'uso di firme non qualificate anche per soddisfare questi adempimenti
formali non negoziali sarà molto limitata. Quando ciò accadrà, eventualmente
con l'introduzione di apposite regole tecniche, non si potrà di sicuro
contestare che un documento informatico, anche con firma non qualificata, possa
essere considerato una prova scritta ai fini processuali, ad es. per fondare un
ricorso per ingiunzione di pagamento.
|