Le Linee guida per l'utilizzo della firma digitale
pubblicate dal Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione
determinano un punto fermo nelle discussioni sulle cosiddette "firme
elettroniche". Infatti, se da una parte chiariscono alcuni punti oscuri
della normativa, in particolare sul piano tecnico-operativo, dall'altra riflettono
la confusione interpretativa generata dalle imprecisioni e dai veri e propri
errori giuridici commessi nell'attuazione della direttiva
1999/93/CE.
Il primo aspetto, quello tecnico-operativo, è affrontato con grande
chiarezza. Si vedano, per esempio, i primi due capitoli, rispettivamente
dedicati a un'introduzione sulle sottoscrizioni elettroniche e all'utilizzo
della firma digitale. O quello dedicato alla firma digitale con procedure
automatiche, un problema che suscita grandi perplessità in chi non ha una
conoscenza abbastanza profonda della tecnologia.
Dunque queste "linee guida" sono uno strumento di grande utilità,
anche per la fonte da cui provengono: si tratta infatti di una sorta di
"interpretazione autentica", essendo il CNIPA l'organismo al quale è
demandata la sorveglianza sulle attività dei certificatori.
Non abbastanza chiare, invece, sono le parti che affrontano i problemi
giuridici, tanto che una lettura affrettata ha riaperto la querelle sui
messaggi e-mail, confondendo ancora una volta gli effetti legali con l'efficacia
probatoria e facendo dire al documento del CNIPA il contrario di quello che dice
realmente (vedi La "firma elettronica" non basta per identificare
l'autore di Roberto Manno).
Questi punti saranno certamente chiariti nelle
future release delle linee guida (evidentemente già previste), ma è impossibile risolvere tutti i
dubbi se non si interviene a livello legislativo per eliminare le molte
questioni aperte dalla normativa attuale.
L'occasione per farlo è a portata di mano, con il "codice
dell'informatica nella pubblica amministrazione" al quale il Governo sta
lavorando in attuazione della delega contenuta nell'art. 10 della legge 229/03. Si dovrà
incominciare col mettere ordine nelle definizioni, elemento essenziale per la
comprensione di tutte le norme. A partire proprio da quelle che riguardano
le "firme elettroniche", come sono state definite nella
frettolosa e imprecisa traduzione della direttiva europea.
Il termine della lingua inglese signature, come abbiamo scritto altre
volte, non vuol dire solo "firma", ma ha molti altri significati.
Compreso l'italiano "segnatura", che significa anche "apposizione
di segni o contrassegni", quali sono appunto i metodi di validazione e
identificazione diversi dalla "firma". Allora perché non chiamare segnature
elettroniche questi sistemi, traducendo letteralmente la definizione della
direttiva?
Si eviterebbe così qualsiasi equivoco con la "firma elettronica
qualificata", che è l'unico metodo che consente sia la data
authentication sia la entity authentication, cioè il controllo
dell'integrità dei dati e l'identificazione del firmatario (si veda ancora il
già citato articolo La "firma elettronica" non basta per identificare
l'autore).
C'è, ancora, il problema costituito dalla presenza della firma elettronica
"avanzata", che dovrebbe essere quella che "garantisce la
connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con
mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata
ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi
siano stati successivamente modificati". Ma, in assenza del certificato
qualificato e del dispositivo sicuro per la creazione della
"segnatura", questa procedura non "garantisce" un bel nulla
sull'identità di chi l'ha generata, attesta solo l'integrità dei dati. E
allora non è una "firma" nel senso in cui è intesa nel nostro
ordinamento.
Nello stesso modo il termine authentication non deve essere
tradotto con "autenticazione". Questa parola deve sparire da tutti i
testi normativi (compreso il "codice della privacy") in tutti i casi
in cui non si riferisce alle specifiche attestazioni dei pubblici ufficiali. Va
sostituita, a seconda dei casi, con espressioni come "validazione",
"identificazione", "abilitazione" e così via.
Le definizioni devono essere il più possibile semplificate, anche per
evitare equivoci. Un esempio è quella del "documento informatico",
che adesso designa di volta in volta o il semplice file non segnato, o quello
con firma "debole", o quello sottoscritto con firma digitale o con
un altro tipo di firma elettronica avanzata, e la firma è basata su di un
certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione
di una firma sicura: definiamo quest'ultimo documento informatico
qualificato e tutto sarà chiaro, compresa la sua equiparazione alla forma
scritta e alla scrittura privata per quanto riguarda gli effetti legali e
il valore probatorio.
Né si devono dimenticare alcuni aspetti più generali, come le regole per
l'identificazione "certa" del soggetto che richiede il certificato e
la "certezza legale" della consegna del dispositivo sicuro nelle mani
del titolare. Abbiamo già accennato a questi problemi, presto li esamineremo
più a fondo.
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