Contratto telematico e mezzi di pagamento via
internet
di Giorgio Di Tomassi - 02.03.2000
Il contratto telematico si differenzia dal contratto
tradizionalmente inteso, disciplinato all'articolo 1321 c.c., solo per quanto
attiene le modalità informatiche adottate in tutto l'iter che porta
all'accordo, restando comunque invariata la struttura di base.
La sua ammissibilità nel nostro ordinamento è fuori discussione, considerato
che l'articolo 1322 c.c. lascia ampia libertà di contenuti alle parti, le
quali possono anche concludere contratti che non sono oggetto di una disciplina
particolare, purché questi siano diretti a realizzare interessi ritenuti
meritevoli di tutela nel nostro sistema giuridico. Il legislatore, inoltre,
richiede la forma ad substantiam actus solo in casi particolari,
tutti disciplinati da precise norme (articolo 1350 c.c.).
Una volta sancita la validità di una tale forma contrattuale,
si pone per l'interprete il problema dell'individuazione delle norme
applicabili a questo nuovo genus, in mancanza di una normativa ad hoc.
Nella fase delle trattative l'utilizzo del mezzo informatico e di Internet non
pone problemi particolari: l'articolo 1336 c.c. non vincola la validità dell'offerta
al pubblico a forme tipiche, e si applicherà senza difficoltà l'articolo
1337 con riferimento alla buona fede precontrattuale.
Problemi più pregnanti si verificano riguardo all'individuazione
dell'accettazione. In altri termini si tratta di stabilire in quale momento il
contratto telematico può dirsi validamente concluso tra le parti.
Gli articoli 1326 e 1335 c.c. dispongono che il contratto si considera concluso
quando l'accettazione perviene all'indirizzo del proponente, salvo che
questi dimostri di essere stato - senza sua colpa - nell'impossibilità
di averne notizia. La proposta modificata di direttiva in tema di commercio
elettronico COM99/247, invece, fa scattare la
presunzione di conoscenza dal momento in cui il destinatario del messaggio ha la
possibilità di accedervi.
Sin qui non ci sarebbero ostacoli insormontabili ad applicare la
disciplina prevista per i contratti tradizionali, ma la difficoltà sorge quando
si deve fornire una prova dell'avvenuta ricezione dell'accettazione da parte
del proponente. Nel caso in esame ciò può avvenire, tecnicamente, attraverso l'invio
di un e-mail all'accettante, con la quale il proponente conferma il
ricevimento dell'accettazione, spedendo una ricevuta di ritorno sui generis.
E' questa, del resto, la procedura seguita dalla citata proposta modificata di
direttiva, in cui si usa l'esempio di un clic su un'icona per l'accettazione
dell'offerta. Per concludere il contratto è poi sufficiente una conferma da
parte del venditore all'utente, non essendo più richiesta una conferma
ulteriore da parte dell'utente in merito al ricevimento della ricevuta di
ritorno, come invece stabiliva la prima proposta di direttiva.
Le incertezze permangono, però, per quanto riguarda l'individuazione
del luogo di conclusione del contratto. Il luogo in cui si scarica la posta,
infatti, è di regola diverso dall'ubicazione fisica del server, e sarebbe
davvero una forzatura applicare in Internet la presunzione di cui all'articolo
1335 c.c., ritenendo che l'indirizzo e-mail coincida con il luogo di ricezione
del messaggio. D'altro canto l'incertezza sul luogo della conclusione del
contratto non pone difficoltà nell'individuazione della giurisdizione
(localizzata dalla Convenzione di Bruxelles - in mancanza di espressa scelta
- nel domicilio del convenuto per il business to business e nel
domicilio del consumatore per il business to consumer), né dalla legge
applicabile (quella del Paese con il quale il contratto presenta il collegamento
più stretto, secondo la Convenzione di Roma, espressamente richiamata dalla
legge 218/1995).
Risvolti pratici sono però possibili per determinare la
competenza del giudice italiano o l'individuazione degli usi interpretativi ex
articolo 1368 c.c., secondo il quale "le clausole ambigue s'interpretano
secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato
concluso".
Per evitare dubbi i contraenti dovranno allora preoccuparsi di indicare
espressamente il luogo nel quale il contratto deve intendersi concluso.
I mezzi di pagamento
Le forme di pagamento offerte on-line sono le più
svariate: carta di credito, bonifico bancario, vaglia postale ecc. Il
legislatore comunitario, con la raccomandazione n. 1997/489/CE ha colto un'importante
distinzione tra gli strumenti di pagamento elettronico, differenziando in:
-
Strumenti che realizzano un accesso a distanza
Sono mezzi di pagamento tradizionale applicati alla Rete. Consentono di
effettuare pagamenti a favore del beneficiario con forme ordinarie: bonifico
bancario, c/c postale, contrassegno. Garantiscono un elevato grado di sicurezza,
ma fanno perdere al commercio elettronico una delle caratteristiche
fondamentali, che ne costituisce un vantaggio, la velocità e l'immediatezza
della transazione;
-
Moneta elettronica
Mezzi di pagamento che consentono un collegamento immediato tra debitore e
creditore, incorporando un credito acquistato contro contanti presso un istituto
emittente. I mezzi dell'ultima generazione hanno fatto parlare di moneta
virtuale, e sono:
-
- Assegni elettronici - dopo aver stipulato una
Convenzione con l'istituto emittente, il cliente emette un "assegno"
sottoscritto con firma digitale, presentato dopo la firma alla banca per l'incasso;
-
- Borsellino elettronico - carta prepagata e
ricaricabile, tecnicamente una smart card, ogni volta che si usa viene
scalata la somma spesa;
-
- E-cash (moneta elettronica in senso stretto)
- La logica di questo sistema è semplice: una società emette
"crediti" spendibili in rete, a fronte del pagamento di una somma
equivalente da parte dell'acquirente. Questo sistema rappresenta un mezzo
ideale per garantire l'anonimato dei compratori (poiché è basato sulla
stessa logica del denaro contante) e consente anche micro-pagamenti (per somme
inferiori alle 10.000 lire) ad oggi non effettuabili con carta di credito,
nonché antieconomici se effettuati con mezzi che realizzano un accesso a
distanza. L'e-cash è costituito materialmente da una stringa di bit
corrispondente alla somma di denaro, memorizzata direttamente sul computer.
L'utente paga in cyberdollar, che vengono verificati dalla banca con un
controllo sul numero di serie delle banconote digitali. Tutto il sistema è
gestito con la crittografia asimmetrica. La società olandese Digicash, leader
nel settore, è tuttavia fallita nel 1998 per motivazioni diverse, prima tra
tutte l'avversità degli organismi finanziari internazionali verso questa
forma di pagamento, potenzialmente destabilizzante e causa di squilibri al
sistema economico internazionale.
Quale che sia il mezzo di pagamento utilizzato, il problema
principale che si pone è quello della sicurezze nella transazione, tanto che
alcune banche ad esempio sconsigliano l'utilizzo "in chiaro" della
carta di credito per i pagamenti in Rete.
Si è specificato che ad essere sconsigliato è il pagamento "in
chiaro" perché, viceversa, esistono protocolli di sicurezza che - come
si vedrà - rendono l'utilizzo della carta di credito in Internet non più
pericoloso di un qualsiasi acquisto presso un esercizio convenzionale.
Uno dei protocolli più utilizzati, forse il più diffuso in assoluto, è lo SSL
(Secure Sockets Layer), ormai assurto a vero e proprio standard di
mercato. E' un sistema di crittografia che garantisce la sicurezza nel
trasferimento dei dati senza necessità di un software specifico, considerato
così affidabile da essere utilizzato anche nel settore dell'home banking.
La cifratura delle informazioni avviene con chiavi che possono raggiungere i 128
bit di lunghezza, rendendo improbo il compito dei pirati informatici.
Uno standard alternativo e ancora in via di diffusione in
Rete è il SET (Secure Electronic Transaction) sviluppato dai gestori di
carte di credito Visa e MasterCard. Si avvale anch'esso di una cifratura a
chiave pubblica, e garantisce un alto livello di privacy per gli utenti.
Il funzionamento prevede il rilascio da parte della banca di un certificato
cifrato al titolare, il quale dovrà caricarlo sul proprio computer ogni volta
che intende effettuare il pagamento. In sostanza la certificazione della banca
sostituisce l'onere di verifica della firma che incombe sul venditore nel caso
della carta di credito normale.
In conclusione si può affermare che una soluzione definitiva al
problema della sicurezza delle transazioni in Internet non è stata ancora
trovata, anche se con cautele minime è già possibile acquistare merci e
compiere pagamenti in Rete con rischi non superiori a quelli in cui s'incorre
nel commercio tradizionale, come dimostrano statistiche ufficiali di organi
internazionali di controllo. Esistono, infatti, rischi non direttamente
collegati alla natura della Rete, ma connessi all'uso delle carte di
pagamento. Ad esempio un qualsiasi commerciante può abusivamente trascrivere ed
utilizzare il numero della carta di credito fornita per il pagamento dal
cliente, così come un cameriere può trascrivere i dati della carta utilizzata
dall'avventore per pagare il conto. E' molto più sicuro, ancora,
trasmettere i dati della propria carta di credito in un sito che utilizza uno
dei sistemi crittografici su esposti, che non fornire gli stessi elementi ad un
commerciante per mezzo del telefono. Non è paradossale, allora, affermare che
Internet, se utilizzata correttamente, consente oggi all'utente di impiegare
le carte di pagamento nel modo tecnicamente meno rischioso che sia possibile.
La legge applicabile
Una volta accertate le modalità di conclusione del contratto
telematico, ed analizzati i possibili mezzi di pagamento, resta da risolvere il
problema dell'individuazione della legge applicabile ad un negozio concluso
tra interlocutori situati fisicamente in stati diversi.
La legge di riforma del diritto internazionale privato (L. 218/1995) in tema di
obbligazioni contrattuali rinvia alla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980. La
stessa legge riconosce efficacia generale alla Convenzione di Bruxelles in tema
di competenza giurisdizionale nei contratti conclusi da consumatori. Entrambe le
citate convenzioni dispongono che, nel caso di vendita di beni mobili materiali
o servizi, se vi è stata una forma di pubblicità nel paese del consumatore e
questi ha compiuto nel proprio paese gli atti necessari alla conclusione del
contratto, si devono rispettare le norme imperative e la giurisdizione del paese
di residenza abituale del consumatore . Si comprende subito come un sito
Internet realizzi innegabilmente una forma di comunicazione pubblicitaria, di
conseguenza non si possono eludere le norme imperative e di giurisdizione dello
stato di residenza del consumatore. In questo senso si è indirizzata anche l'Unione
europea con la direttiva 97/7/CE, che
con riferimento ai contratti di commercio elettronico dispone debba applicarsi
la legge dello stato di destinazione, ossia quello del consumatore.
Tutte queste considerazioni, comunque, cadono quando la vendita
è conclusa tra soggetti appartenenti a Stati non compresi nell'Unione europea
o non firmatari delle sopra menzionate convenzioni. Nel campo del business
to business non trova poi applicazione la disciplina a tutela del
consumatore, essendo entrambi i contraenti sullo stesso piano. In ogni caso la
Convenzione di Bruxelles dispone che nelle controversie giudiziarie nel business
to business si applica il criterio della giurisdizione dello stato del
convenuto.
Queste complicazioni, difficilmente risolvibili con le sole norme di
collegamento dettate dal sistema del diritto internazionale privato, si
risolvono nell'alternativa obbligata tra il country of destination rule e
il country of origin rule.
Si tratta quindi di scegliere se applicare la legge del paese di
origine o quella del paese di destinazione. L'aut-aut che si pone al
giurista non è privo di implicazioni. Scegliere la legge del paese di
destinazione, infatti, significa garantire la massima protezione al consumatore,
ma nello stesso tempo creare grandi difficoltà alle imprese che operano in
Rete, costrette a fronteggiare tanti sistemi normativi quanti sono i clienti
transfrontalieri.
La terza via, auspicata da molti, e scelta dagli USA, è quella della self
- regulation, soluzione che presenta l'indubbio vantaggio di potersi
muovere alla stessa velocità di Internet, senza la costrizione in un letto di
Procuste, cui inevitabilmente soggiace una legge nazionale in un contesto di
mercato per definizione internazionale.
Un esempio significativo di quest'indirizzo si è avuto con il
Memorandum of Understanding (MoU), firmato a Bruxelles il 25 febbraio
1998 da più di 100 piccole e medie imprese, società e associazioni. Si tratta
di un codice di autoregolamentazione sull'accesso delle piccole e medie
imprese al commercio elettronico, ed ha incontrato il plauso del Commissario
Europeo Martin Bangemann.
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