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InterLex - RIVISTA DI DIRITTO TECNOLOLOGIA INFORMAZIONE

L'archivista dà efficacia alla perfezione (giuridica)

- Gianni Penzo Doria* - 8 maggio 2017

Spesso il lavoro dell’archivista è scarsamente conosciuto e, più spesso, poco riconosciuto. Eppure, le organizzazioni che aspirano alla transizione digitale, nella piena consapevolezza metodologica e tecnica, hanno bisogno anche degli archivisti. Una professione che dà efficacia alla perfezione.

La professione di archivista non è mai stata semplice da spiegare ai non addetti ai lavori. Anzi, spesso è confusa con una esecuzione di procedure routinarie, prive di intelligenza emotiva. Al cambio di governance, soprattutto quando la percezione del lavoro da parte dei superiori e dei colleghi è di attività meccaniche e iterative – se non noiose – risulta necessario spiegare la concezione dell’archivio, esaltandone l’importanza e, in una parola, la semplice bellezza.

Già, ma in che modo? Facendo leva sul valore di fonte primaria per la nostra storia? Oppure impostando il ragionamento sulla trasversalità della gestione documentale come risorsa per le amministrazioni pubbliche, dalla formazione alla conservazione dei documenti?

L’indolenza non appartiene agli archivisti. Per riordinare un fondo, lasciato per anni in una cantina o in una soffitta, serve coraggio e forza propulsiva, uniti a sagacia, intelligenza e logica ricostruttiva di legami deboli. E i protocollisti? Sul solco della tradizione italiana del Dopoguerra, lavorare negli archivi correnti è considerato (oggi, invero, molto meno) un lavoro quasi degradante, se non punitivo.

Ma è solo colpa del mondo che non capisce o abbiamo qualche colpa? Diciamoci pure la verità. Noi archivisti siamo in larga misura convinti di valere di più di quello che il mondo ci attribuisce e spesso, nei nostri incontri, nelle nostre liste di discussione, amiamo parlarci addosso, lamentandoci di come un funzionario comunale non abbia ancora compreso cosa sia il vincolo archivistico o il principio di provenienza. Insomma, sappiamo essere maledettamente spocchiosi, nella convinzione che solo l’archivistica conosca questi principi. Impossibile poter parlare a un ingegnere gestionale di classificazione? Si deve adeguare il lessico e descrivere la "tassonomia gerarchica funzionale". Ontologicamente è la stessa cosa, ma l’effetto è profondamente diverso.

La dichiarazione di contesto, inoltre, appartiene a molte altre discipline che, apparentemente, non avrebbero affinità con la nostra. Ad esempio, quando un contabile descrive un impegno di spesa tramite il piano dei conti sta utilizzando un titolario. Non solo: una voce di contabilità analitica è intrinsecamente interrelazionata con la spesa corrispondente (vincolo interno) e con il bilancio, soprattutto in presenza di un finanziamento da parte di terzi (vincolo esterno).

Inoltre, sappiamo essere perniciosamente verticali (solo corrente, solo di deposito, solo storico), quando il resto del mondo che desidera lavorare nelle e per le organizzazioni pubbliche, deve necessariamente ragionare in maniera trasversale. I silos concettuali della logica organizzativa per funzioni omogenee, barricate negli steccati delle competenze, sono stati abbattuti dalla gestione documentale (tutti utilizzano documenti) e dal digitale (tutti utilizzano le risorse ICT).

La bellezza degli archivi risiede non tanto nelle miniature conservate nei codici medioevali, quando piuttosto nell’essere di tutti e a disposizione inderogabile di tutti, dall’archivio di Ebla all’archivio digitale federale degli Stati uniti.

In una congiuntura in cui l’opinione pubblica e la dirigenza discutono di trasparenza, nella vanagloria di conoscerne l’intima essenza, abbiamo un’endiadi formidabile: "archivio & trasparenza, perché archivio è trasparenza". Si tratta di un volano che il FOIA (D.Lgs. 33/2013, artt. 23 e 35) – pur declinato in modo italico, quindi migliorabile – ci mette magistralmente a disposizione. L’accesso (documentale, civico, generalizzato, potenziato, etc.) è legato alla trasparenza amministrativa, cioè a un mondo che ha ancora bisogno degli archivisti.

C’è di più. Anche il più modesto tra i dirigenti o tra gli amministratori ha un proprio archivio. Certo, nella piena inconsapevolezza e, probabilmente, nel disinteresse di averlo, ma lo possiede. E ne risponde anche penalmente, rischiando le sanzioni previste dall’art. 490 c.p. Risulta preferibile citare il codice penale, in luogo delle sanzioni previste dal Codice dei beni culturali, contenuto nel D.Lgs. 42/2004 anche perché dobbiamo fare cessare la proposopea dell’archivio come bene culturale.

Da un lato, l’amministrazione archivistica dovrebbe tornare sotto le cure del Ministero dell’interno, dall’altro sfumare l’enfasi e la retorica con la quale tentiamo inutilmente di rabbonire un dirigente. Troppo pochi coloro che hanno un bagaglio di letteratura scientifica collegato alla heritage. Servirebbe troppo tempo e convincerli, dunque, risulterebbe un’operazione antieconomica dall’esito incerto. Meglio, invece, puntare sulla gestione documentale in ambiente digitale nativo, con il collegamento oltremodo insostituibile dei rapporti tra processi, procedimenti e trasparenza amministrativa.

Mi spiego. Un buon archivista conosce a memoria 5 normative:

  • la legge 241/1990, autentico propedeutica giuridica e norma ponte tra l’azione amministrativa e la documentazione amministrativa
  • il DPR 445/2000, demiurgo del protocollo informatico e della gestione documentale
  • il D.Lgs. 82/2005, impalcatura (assieme alle rispettive regole tecniche) di tutta l’amministrazione digitale, che ha bisogno incredibilmente urgente di funzionari che sappiano di diplomatica e di informatica giuridica
  • il Reg. UE 910/2014 (eIDAS), semplicemente presupposto del futuro degli archivi in Europa
  • il Codice civile, buon ultimo ma primo in tutto, perché a livello metodologico e normativo, il concetto di atto, documento, scarto, perfezione, efficacia, trasparenza sono presenti qui in maniera pervasiva e assoluta, senza citare i necessari rinvii sul piano probatorio.

In conclusione, l’archivista è imprescindibile in ogni organizzazione degna di questo nome. Tuttavia, non può imporsi in una logica autoreferenziale, ma deve rendersi necessario attraverso le proprie conoscenze e abilità, continuamente messe in discussione e perciò necessariamente aggiornate. Per quanto possa sembrare una forzatura, può essere codificato come un "prodotto". Bisogna fargli pubblicità, ma attraverso spot intrisi di concretezza e renderlo indispensabile.

L’archivista, infatti, offre soluzioni specifiche a problemi generali e, visto che nelle amministrazioni pubbliche vige il principio di documentalità per gli atti amministrativi, deve essere in grado di spiegare che, in conseguenza di tale principio e per poter essere efficace, ogni atto deve essere registrato e conservato in maniera affidabile. Soltanto il pubblico ufficiale che gestisce il sistema documentale può ergersi a garante del prerequisito di affidabilità, in quanto terza parte fidata.

Nel concreto, un documento sottoscritto da un Ministro, da un Sindaco, da un Dirigente esiste quando si è conclusa la fase della perfezione giuridica. Tuttavia, è ancora inefficace, dal momento che non è stato ancora registrato (a protocollo o a repertorio). Quando viene apposta o associata la segnatura (numero di registrazione, data certificata e provenienza), il documento risulta perfetto ed efficace. Per queste ragioni, l’archivista dà efficacia alla perfezione giuridica. E lo fa rendendo persistente (attraverso un documento) ciò che per intrinseca natura risulta evanescente (l’atto giuridico).

Avremo modo di tornare sui temi della evanescenza e della persistenza, in un connubio tra diplomatica, diritto amministrativo e informatica giuridica, in un prossimo intervento in questo Forum.

* Direttore generale dell'Università degli Studi dell'Insubria

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