L’utilizzo sempre più massiccio dei social network
ha posto le basi per la diffusione di una forma di marketing non
facilmente percepita come tale dai consumatori, denominata influencer
marketing.
Con il termine influencer ci si riferisce solitamente
ad un soggetto che ha un gran numero (talvolta milioni) di seguaci (followers,
per l’appunto) con i quali, tramite vari social network (come Instagram,
Facebook, Twitter, Youtube etc.), riesce ad instaurare un rapporto di fiducia,
se non addirittura di identificazione e di dipendenza emotiva (da parte di
questi ultimi in taluni casi anche morbosa). Le opinioni espresse dall’influencer,
ma – ciò che più rileva ai nostri fini – persino gli atteggiamenti e l’immagine
di sé che veicolano, divengono così oggetto di attenzione, di discussione, ma
soprattutto, specie nei soggetti più influenzabili, di acritica emulazione e di
incontrollabile rimbalzo (secondo il noto fenomeno della condivisione dei post).
La notorietà sul web, condizione sine qua non perché
si possa parlare di influencer, può originarsi off-line, come
accade per gli attori, i giornalisti, i cantanti, i conduttori televisivi, gli
imprenditori, i personaggi politici di spicco etc., e riverberare nel web, ma
sono ben noti casi di blogger che hanno ottenuto visibilità proprio per
l’attenzione che sono riusciti a conquistare in rete.
È di particolare interesse un fenomeno, che si manifesta
soprattutto sui social network, secondo cui, ottenuto un certo grado di
notorietà, non è più solo l’interesse per i contenuti che desta l’attenzione
ed incrementa le fila dei followers. Al contrario è proprio la
numerosità dei fans a garantire esponenziale visibilità ai propri
beniamini.
Fatta questa doverosa premessa, dovrebbe essere più semplice
comprendere il fenomeno dell’influencer marketing.
Si pensi, ad esempio, al personaggio famoso che,
fotografandosi mentre è in partenza per un viaggio, sfoggia un set di valigie
di uno noto brand francese di alta moda; o ancora che, mentre è in
spiaggia, si immortala nell’istante in cui sta sorseggiando una bevanda
energizzante; o, infine, si ritrae mentre è intento a pettinarsi o truccarsi
nella toilette del proprio appartamento.
In tutti questi casi i followers più attenti e
affezionati saranno inevitabilmente portati a voler acquistare quel determinato
set di valigie, a voler assaggiare quella determinata bevanda o a comprare quel
determinato prodotto cosmetico, al fine di emulare il proprio beniamino o
sentirsi più coinvolti nella sua quotidianità.
Con il comunicato stampa del 24 luglio 2017, l’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato (di seguito, per brevità anche "AGCM")
si è espressa sul dilagante fenomeno dell’"influencer marketing"
nei social media, ossia la diffusione sempre più capillare di foto,
video, ma anche commenti da parte di bloggers - e più specificamente dei
c.d. influencers – che mostrano il proprio sostegno e il proprio
consenso a determinati prodotti o marchi, generando più o meno consapevolmente
un effetto pubblicitario, senza tuttavia rendere noto al consumatore/follower
la finalità pubblicitaria sottesa.
Tralasciando l’analisi psicologica e sociale del fenomeno,
sotto il profilo giuridico, come osservato dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, va posta l’attenzione all’effetto pubblicitario
che tipicamente esso origina. La pubblicità non viene percepita come tale dal
consumatore/follower. L’esibizione di certi beni viene al contrario
percepita dalla massa dei seguaci come un consiglio derivante dall’esperienza
personale e privata dell’influencer, a cui si desidera sempre più
assomigliare.
Non meraviglia che tale pratica abbia destato sospetti di
violazione dei principi enunciati dal D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206, Codice del
consumo, fra cui il divieto di pratiche commerciali scorrette.
Vengono in particolare in rilievo gli artt. 21 e 22 del
Codice del consumo, dedicati alle azioni ed omissioni ingannevoli, che, secondo
una convincente lettura, pretendono la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale
contenuto pubblicitario dei post o delle foto pubblicate.
Sulla scorta di tali premesse, l’AGCM, in collaborazione
con il Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato lettere di
moral suasion ad alcuni dei principali influencer nonché alle
relative società titolari dei brand mostrati e fotografati senza l’espressa
indicazione della potenziale natura promozionale del messaggio e/o della
fotografia in parola.
Con queste missive si invitano i soggetti coinvolti a vario
titolo nel fenomeno dell’influencer marketing a:
- conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo;
- rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, fornendo
adeguate indicazioni idonee a rivelare la reale natura del messaggio
pubblicitario, anche in caso di prodotti forniti gratuitamente,
attraverso, ad esempio, l’utilizzo di hashtag (quali
#pubblicità, #sponsorizzato, #sponsored #advertising #productsuppliedby,
#prodotto fornito da) che possano avvertire il consumatore della quanto
meno incerta genuinità dell’endorsement.
Ad avviso dell’AGCM (in conformità alla digital chart dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria), quindi, la
pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile e percepita dal consumatore
come tale, attesa la portata generale del divieto di pubblicità occulta (ovvero
delle omissioni ingannevoli). Tale divieto, secondo l’Autorità, deve essere
applicato anche alle comunicazioni diffuse mediante social network
"non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo
spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand"
(a maggior ragione, verrebbe da dire, quando le linee di prodotti sono a vario
titolo riconducibili ai medesimi influencer, come, nei casi
paradigmatici, accade).
Ove l’"invito" dell’Autorità non fosse
accolto, è probabile che la diffusione di foto e/o i video, per così dire,
"sponsorizzate/i" venga ritenuta integrare una pratica commerciale
scorretta ex art. 20 del Codice del Consumo. La conseguenza, ricorrendone i
presupposti, sarebbe la sospensione provvisoria e l’irrogazione di sanzioni
ammnistrative pecuniarie fino a 50.000,00 Euro. In caso di reiterata
inottemperanza, l’AGCM potrebbe persino disporre la sospensione dell’attività
d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni (ex art. 27 Codice del
Consumo).
Ciò detto, non ci si può non interrogare sull’efficacia
dell’inserimento di simili avvisi di ricorrenza di un messaggio pubblicitario.
Atteso che gli influencer sono soliti postare scene e
commenti tratti dalla propria vita quotidiana, è evidente che essi – seppur
involontariamente o inconsciamente – stiano continuativamente pubblicizzando
qualsivoglia prodotto con il quale si trovino ad interagire nella loro
quotidianità: dalla bottiglia d’acqua, all’orologio, dallo smartphone, all’animale
di compagnia (sic!).
In altre parole un messaggio pubblicitario potrebbe
riconoscersi in re ipsa in qualsiasi foto ove sia distinguibile un
marchio più o meno famoso.
Ma è altrettanto evidente che la presenza "fissa"
di un simile avviso al pubblico in calce ad ogni post determinerebbe il
depotenziamento di uno strumento di già dubbia efficacia: in luogo di
contribuire a mantenere desta l’attenzione critica del consumatore,
rischierebbe di "annegare" in quel mare magnum di hashtags
che riempie le bacheche dei social network.
Commendevole (e doveroso) appare questo tentativo dell’AGCM
di offrire maggiore tutela al consumatore. Atteso che il decreto Romani, D.Lgs.
15 marzo 2010 n. 44, che recepisce la direttiva 2007/65/CE, estende il proprio
campo di applicazione anche alle reti di comunicazioni elettroniche, questo
intervento dell’Autorità Garante sembra ricercare una coerenza con la
disciplina generale del product placement nell’ambito cinematografico e
televisivo.
Ma se in questi ultimi ambiti il Legislatore nazionale ha
autorizzato "inquadrature di marchi e prodotti, comunque coerenti con il
contesto narrativo" (progressivamente, con più disposizioni, a far data
dall’art. 9 ult.co., D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28 di Riforma della disciplina
in materia di attività cinematografiche, recentemente abrogato dalla L. 14
novembre 2016, n. 220 Disciplina del cinema e dell'audiovisivo), che ha superato
il divieto contenuto nel D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74, in ottemperanza alle
fonti europee, per consentire di coprire, almeno in parte, gli ingenti costi di
produzione e per porre rimedio alla "fuga all’estero" delle
produzioni, è lecito chiedersi se l’inserimento pubblicitario da parte dell’influencer
debba fruire di analoghe "agevolazioni" o se almeno in questo settore
al consumatore non debba essere garantita una protezione ancora più forte
* Avvocato del Foro di Milano,
cultrice della materia per la cattedra di Informatica giuridica all’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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