Il Governo americano ritiene di avere diritto di
accedere direttamente ai dati di chiunque, ovunque localizzati nel mondo, se
detenuti da una filiale di un’azienda americana.
Questa, in sintesi, è la materia del contendere nella causa Microsoft
Corp. v. United States che si sta discutendo in questi giorni davanti alla
Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.
Da un lato, dunque, l’amministrazione Trump che ritiene di avere il
diritto di accedere ai dati – posta elettronica, nel caso specifico – dei
clienti di Microsoft Irlanda ordinando a Microsoft Corp. di procurarsi i dati in
questione facendoseli dare direttamente dalla sua filiale europea. Con un
sofisma degno della migliore tradizione greca, infatti, sostiene il Governo che
gli investigatori metteranno le mani sui dati europei solo quando saranno
arrivati, "privatamente", in USA e dunque "tecnicamente" l’ordine
di accesso/consegna delle e-mail viene esercitato esclusivamente all’interno
dei confini americani.
Dall’altro i giudici di primo grado e – ovviamente – Microsoft, per i
quali un provvedimento dell’autorità giudiziaria statunitense ha effetto solo
all’interno dei confini USA e non può, anche solo per vie traverse,
superarli.
Per quanto possa sembrare strano, il caso Microsoft Corp. v. United States
non può essere affrontato in termini di trattamento dei dati personali, ma va
considerato dalla duplice prospettiva del diritto di difesa e della tutela dell’inviolabilità
del domicilio e della corrispondenza. Due diritti protetti dall’ombrello di
precise garanzie costituzionali.
Il Regolamento CE 679/2016 (GDPR) non è infatti applicabile alle indagini
giudiziarie per espressa previsione del Considerando n. 16 e la direttiva
680/2016 regola il trattamento dei dati personali in ambito giustizia, ma non
incide sulle indagini di polizia e sul potere giurisdizionale della
magistratura.
Ciononostante, queste norme sono state invocate a sproposito, senza
considerare che tutte le Costituzioni occidentali proteggono in vario modo la
riservatezza delle comunicazioni e condizionano la violazione dello spazio
privato di una persona solo ed esclusivamente sotto il controllo di un giudice
nazionale.
Tanto è vero che quando ci sono indagini da eseguire in altri Paesi
sovrani è possibile raccogliere prove solamente se sono stati stipulati – gli
MLAT, Mutual Legal Assistance Treaties – cioè i trattati di mutua
cooperazione giudiziaria, grazie ai quali si attivano le rogatorie
internazionali.
Questa è la stessa identica logica adottata dal legislatore comunitario con
la direttiva 2014/41/UE sull’ordine investigativo europeo, recepita in Italia
con il decreto legislativo 108/2017.
Quando un magistrato di uno Stato membro ha bisogno di compiere un atto di
indagine in un altro Stato, invia la richiesta alla Procura competente, la quale
valuta la conformità della richiesta alla legge locale e poi ordina, alla forza
di polizia nazionale di fare quanto necessario.
Applicando questi principi al caso Microsoft Corp. v. United States è
chiaro che il sofisma del Governo americano sul fatto che i dati richiesti
sarebbero acquisiti solo dopo il loro "rientro in patria", si rivela
per quello che è: appunto, un sofisma.
Quando si parla di diritto di difesa, ciò che conta è il suo rispetto
sostanziale, cioè concreto ed effettivo e non di contorsioni logiche. Se l’effetto
ultimo dell’ordine impartito dagli investigatori americani a Microsoft Corp.
in assenza di un MLAT costituisce una violazione delle garanzie processuali di
un cittadino di un altro Stato, questo ordine è illegittimo a monte e privo di
valore a valle.
Questo è ancora più vero se si considera che Microsoft Irlanda – come
qualsiasi altro fornitore di servizi di comunicazione elettronica europeo –
non è proprietario dei dati (personali e non) inseriti dal cliente o generati
dal cliente nell’utilizzo dei servizi internet. A maggior ragione, dunque,
Microsoft Irlanda non potrebbe accedere a proprietà altrui senza un ordine
legittimo di un giudice irlandese.
Ma questo caso, aspetti giuridici a parte, ha un clamoroso effetto
collaterale per l’industria IT extra-europea: l’incertezza strutturale sulla
inaccessibilità dei dati europei da parte di Stati extra-comunitari.
La giurisprudenza, infatti, cambia con il passare del tempo e quindi, anche
se Microsoft Corp. dovesse vincere questo round nulla garantisce che in
un’altra occasione qualche giudice americano – o di qualche altro Paese –
decidano in modo differente, consentendo domani ciò che oggi è stato negato.
Tradotto: non basta dire "siamo una società di diritto europeo"
per garantire che i dati dei clienti siano a disposizione dell’autorità
giudiziaria secondo le leggi del Paese ospitante. Bisogna anche vedere in quale
Paese è stabilito il "proprietario" della società in questione
per essere certi che non ci possano essere interpretazioni "creative"
delle leggi che si traducono in violazioni delle garanzie che l’Unione Europea
offre ai propri cittadini.
Morale: prima di scegliere di mettere la propria azienda nelle mani di un
soggetto (indirettamente) straniero, è meglio pensarci prima, e più di una
volta.
(da Key4biz
dell'11 dicembre 2017)
* Avvocato
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