Vent'anni dopo il primo numero di InterLex, ventidue dopo il primo Forum, ci
ritroviamo per parlare della "Cittadinanza digitale".
Devo a Stefano Rodotà questo titolo. Lo avevo incontrato in primavera, pochi
mesi prima della sua scomparsa, proprio mentre stavo pensando se lanciare un
nuovo Forum, in cui discutere ancora di quella che non chiamiamo più
"società dell'informazione", ma resta, sempre di più, "la società vulnerabile".
Il colloquio fu breve. Ma bastò per convincermi e trovare un tema dal quale
partire. Rodotà aveva scritto:
"La cittadinanza digitale è ormai parte della cittadinanza senza
aggettivi, del nucleo inscalfibile di diritti che ciascuno porta con sé quale
che sia il luogo dove si trova".
E molto tempo prima, pochi giorni dopo l'11 settembre:
"Trasferita nel ciberspazio, frammentata in una molteplicità di banche dati
dappertutto nel mondo, l'identità personale divisa esplode nella rete. Ciascuno
di noi è "uno, nessuno, centomila". La personalità corrisponde alle
molteplici finestre aperte sullo schermo. E si è potuto dire che 'queste
finestre sono divenute una potente metafora per pensare il sé come un sistema,
multiplo, distribuito'.
La possibilità per ciascuno di noi di ricostruire la propria identità, di
riconoscersi come unità, dipende sempre più chiaramente da regole di base
identiche dappertutto, dunque da uno statuto giuridico globale della persona
elettronica". (Uno statuto giuridico globale della
persona elettronica, InterLex dell'11 ottobre
2001).
Ma proprio in questi giorni, in quell'America che ci ha dato l'internet come
rete delle libertà – presupposto della libera cittadinanza digitale – si
annulla il principio della Net neutrality e si disegna un'asimmetria dei
poteri che nega quella stessa libertà.
Allora dobbiamo chiederci se tutto quello che abbiamo scritto in questi mesi nel
Forum coglie il senso delle sfide in atto, anche ripensando ai vent'anni della
legge 675.
Dovremmo rileggere, uno per uno, i contributi che sono stati pubblicati su
queste pagine dall'8 maggio scorso. Contributi pieni di spunti che vanno ben
oltre le incongruenze del Codice dell'amministrazione digitale, o le difficoltà
di interpretazione poste dal GDPR, o i rischi dell'Internet of Things.
Spunti che però sono rimasti tali. Non sono stati affrontati per inquadrare nel
suo contesto più ampio il tema di volta in volta trattato: il contesto,
appunto, della cittadinanza digitale
E' necessario alzare lo guardo dallo schermo del telefonino e guardare
lontano. Dobbiamo capire che cosa c'è all'orizzonte, nel baratto asimmetrico
tra i dati di ciascuno di noi da una parte, e l'accesso all'internet e ai
social, o al semplice uso della posta elettronica, dall'altra.
Accesso che si intende – o si intendeva – libero, non condizionato da
barriere commerciali o dall'uso subdolo del nostro "profilo". Non c'è
cittadinanza digitale se manca una vera libertà di scegliere, di decidere,
"di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni
mezzo e senza riguardo a frontiere", come recita la Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo.
* Direttore di InterLex
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