Molti pensano che pubblicare annunci di ricerca/offerta di
lavoro sia un’attività deregolata, equivalente a quella di chi pubblica un
annuncio per vendere un tavolo da cucina usato.
Nulla di più lontano dalla realtà, se a pubblicare l’annuncio
non è il diretto interessato, ma un soggetto terzo, quale un sito internet o un
quotidiano, specie se l’annuncio è anonimo.
Infatti l’articolo 9 della Legge Biagi (D.Lgs. 276/2003)
prevede che sono vietate le comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione
o altri mezzi di informazione, in qualunque forma effettuate, relative ad
attività di ricerca e selezione del personale, ricollocamento
professionale, intermediazione o somministrazione se effettuate in forma anonima
o da soggetti pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'incontro tra
domanda e offerta di lavoro.
E’ dunque necessaria per pubblicare annunci di
ricerca/offerta lavoro che non siano pubblicati direttamente dall’interessato
o dal datore di lavoro su un proprio sito una apposita autorizzazione che
comporta il rispetto di alcune condizioni e requisiti, che hanno a che fare,
come si vedrà, anche con il Codice Privacy e con normative tecniche.
Quel che qui interessa è descrivere come gli obblighi in
questione, a causa di scarsa manutenzione normativa, stiano, di fatto, causando
seri ostacoli all’attività di chi opera nel mercato dell’intermediazione
del lavoro, con rischi per l’utenza in un settore particolarmente delicato.
Vediamo anzitutto come sono contemplate le attività di
intermediazione lavoro su Internet nella Legge Biagi. Tale norma inquadra l’intermediazione,
in estrema sintesi come "l'attività di mediazione tra domanda e
offerta di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei disabili e
dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra l'altro: della raccolta
dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di
relativa banca dati; della promozione e gestione dell'incontro tra domanda e
offerta di lavoro; della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte
le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività
di intermediazione; dell'orientamento professionale; della progettazione ed
erogazione di attività formative finalizzate all'inserimento
lavorativo" e, dopo aver istituito l’albo dei soggetti autorizzati all’art.
4, prevede, al successivo art. 6, che sono autorizzati allo svolgimento delle
attività di intermediazione, tra le varie categorie, "i gestori di siti
internet a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di
lucro e che rendano pubblici sul sito medesimo i dati identificativi del legale
rappresentante".
Mentre per una agenzia che opera con sportelli fisici sono
previsti requisiti particolarmente onerosi, quali capitale sociale minimo,
numero di sedi, tipologia di personale ed altro, per un sito internet – in
sostanza - è prevista una autorizzazione d’ufficio, in base alla Legge,
condizionata solo ad alcuni adempimenti, il primo dei quali è l’iscrizione
nel suddetto Albo tenuto dal Ministero del Lavoro. Le ulteriori condizioni più
importanti sono "la interconnessione alla borsa continua nazionale del
lavoro per il tramite del portale clic lavoro" e "il rilascio alle
regioni e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di ogni informazione
utile relativa al monitoraggio dei fabbisogni professionali e al buon
funzionamento del mercato del lavoro".
La ratio della normativa (ormai ampiamente disattesa) era
quella di istituire un sistema in cui lo Stato gestiva un aggregatore di tutti i
dati ed annunci su chi offre e cerca lavoro, da ogni canale autorizzato, con un
imponente transito di dati personali verso un sito pubblico e pubblicamente
consultabile, le cui implicazioni non erano state probabilmente colte appieno
dalla normativa dell’epoca, che infatti non fu successivamente messa in
pratica sino in fondo, senza tuttavia essere formalmente modificata.
Il risultato è un sistema "zoppo" che regola il
funzionamento dei siti di intermediazione lavoro, prevedendo ancora obblighi e
sanzioni sull’errato presupposto del pieno funzionamento dei trasferimenti
dati alla borsa continua nazionale del lavoro.
Questo vuol dire che un sito che voglia pubblicare annunci di
ricerca/offerta di lavoro e curricula dei propri utenti che cercano lavoro non
solo si deve premunire della necessaria iscrizione all’albo ma anche, a pena
di sanzioni e revoca dell’autorizzazione, delle credenziali per conferire i
propri annunci a quello che la Legge indica come "Portale clic lavoro"
ed effettuare i relativi conferimenti di dati che, tuttavia, nella maggior parte
dei casi, sono tecnicamente impossibili.
Le regole tecniche a presidio della "borsa continua
nazionale" sono ferme ad un Decreto Interministeriale del 13 dicembre 2004
(!) il quale – disattendendo i pareri del Garante Privacy sul punto -
stabilisce in maniera molto ampia quali siano i dati minimi che ogni
contribuente alla borsa nazionale del lavoro deve conferire ed i relativi
standard: per ogni record occorre conferire i dati completi e non è possibile
un conferimento parziale di dati relativamente a un singolo utente/annuncio;
occorre cioè radunare per ogni utente una quantità notevolissima di
informazioni (ad esempio Codice Fiscale, numero di un documento di identità,
del permesso di soggiorno se straniero, ecc.) ben superiore a quella che chi
inserisce un annuncio è disposto a rilasciare, anche perché tutti questi dati
verrebbero, se conferiti, resi noti sul sito pubblico "cliclavoro".
Il risultato è che un sito di intermediazione lavoro, non ha
oggi chiarezza sulle condizioni minime per operare legittimamente e rischia
così la sanzione dal Ministero del Lavoro o dal Garante Privacy o da entrambi,
paradossalmente operando in condizioni similari a siti che pubblicano annunci di
ricerca/offerta lavoro senza alcuna autorizzazione ministeriale.
La materia riguarda infatti, in ampia parte l’operato del
Garante Privacy, poiché – con tutta evidenza – l’attività del sito che
tratti dati, in assenza di autorizzazione e non rispettando le condizioni
prescritte dalla legislazione sul lavoro potrebbe essere sanzionata dal Garante
Privacy (come in passato è avvenuto) come ipotesi di illecito trattamento dei
dati personali.
In alcuni casi, il Garante ha infatti considerato illecito e
sospeso il trattamento dei dati di ricerca/offerta lavoro compiuto da siti
internet carenti della autorizzazione ex art. 6, D.Lgs. 276/2003, o mancanti dei
requisiti ivi previsti e, dunque, il rispetto di tali norme lavoristiche ha
anche valenza di conformità privacy. Si tratta di casi in cui il Garante
contesta la violazione di norme privacy sulla base di accertamenti di violazioni
di norme settoriali. La particolarità è che, per i siti che trattano dati di
intermediazione lavoro, nei casi sino ad oggi trattati, è stato il Garante
stesso ad effettuare i rilievi e relative segnalazioni al Ministero del Lavoro,
in quanto la violazione riguarda direttamente trattamenti di dati. Il Ministero
del Lavoro ha poi valutato se aprire o meno un procedimento in base al proprio
apparato sanzionatorio.
Il Garante Privacy vigila infatti affinché la privacy policy
di un sito di intermediazione lavoro autorizzato ex art. 6, tenga direttamente
conto delle disposizioni della Legge Biagi e chiarisca che i dati lavoro
verranno trattati per attività di ricerca/offerta lavoro, prevalenti e non
aventi fine di lucro e, solo dietro espresso e distinto consenso non
obbligatorio, consenta ulteriori eventuali trattamenti e specifichi il
conferimento alla borsa continua nazionale del lavoro, dove gli annunci saranno
consultabili.
A questo si aggiunga che il sito della Borsa Continua
Nazionale del Lavoro è recentemente transitato da "cliclavoro.gov"
(il "cliclavoro" che indica l’attuale testo di Legge) ad un nuovo
ente, l’ANPAL, Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, che, tuttavia,
non appare aver avuto dalla Legge la formale attribuzione della titolarità
della borsa continua nazionale del lavoro e, dunque, a livello normativo, l’indicazione
del sito a cui conferire i dati (cliclavoro), nemmeno più corrisponde al sito
dove effettivamente i dati debbono essere inviati (anpal).
Il risultato è che, oggi, in un momento di particolare
rilevanza del tema dell’occupazione, la normativa che regola domanda/offerta
di lavoro su Internet ed il relativo trattamento dei dati appare incredibilmente
trascurata e tale incertezza applicativa/interpretativa non può che rendere
altrettanto imprevedibili ed incerti i criteri cui si atterrebbe il Garante
Privacy in caso di eventuali accertamenti
I soggetti delle filiere che trattano dati relativi ad
annunci di domanda/offerta di lavoro, si trovano così a fronteggiare una
rilevante incertezza normativa riguardo il perimetro di legittimità dei propri
trattamenti dati ed il corretto conferimento dei medesimi all’entità
centralizzata statale. Questo rende la propria attività soggetta a rilevanti
criticità e porta, come in altri settori, rilevanti vantaggi a soggetti esteri
che, grazie al gioco di sponda tra ordinamenti, in attesa della piena entrata in
vigore del nuovo Regolamento UE sulla privacy, non ritengono di dover sottostare
alle disposizioni nazionali sul trattamento dei particolari dati relativi a
domanda/offerta di lavoro ed operano così senza attenersi alle norme sulle
autorizzazioni.Sarebbe così importante un intervento di razionalizzazione,
anche attraverso un coordinamento tra Garante Privacy e Ministero del Lavoro sul
tema che, da una parte semplifichi la materia, eventualmente distinguendo una
attività di semplice pubblicazione di annunci, senza attività di
intermediazione, dall’intermediazione vera e propria (mettere in contatto),
dall’altra preveda un sistema di conferimento dati semplificato e limitato a
quanto effettivamente necessario ed, infine, preveda sanzioni e controlli più
severi per chi elude le norme sulle autorizzazioni.
* Avvocato, professore associato di
diritto commerciale
|