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 Nomi a dominio

Il dominio della tecnica e il dominio del diritto - 1
di Manlio Cammarata - 11.10.01

L'articolo della settimana scorsa La comunità dell'internet non è un club ha suscitato reazioni di segno diverso. Un coro di critiche è venuto dalla lista della Naming Authority, alla quale lo avevo annunciato dimettendomi dall'associazione, per un elementare senso di coerenza.
Alcune obiezioni avanzate nella lista sono particolarmente interessanti, perché fanno capire che all'origine dei problemi che affliggono le regole per la registrazione dei domini .it c'è un fatale equivoco, che deve essere chiarito se si vuole far funzionare il meccanismo: la confusione tra le regole con valenza tecnica e le regole del diritto, con l'aggravante che si vuole attribuire valenza giuridica a definizioni e norme che riguardano esclusivamente l'ambito tecnico.

Prima di entrare nel merito della questione è opportuna una premessa: le nome tecniche sono indispensabili per il funzionamento del sistema, ma non possono valere nel campo del diritto se non c'è una legge dello Stato che ne sancisca l'efficacia legale. Ecco un esempio, tratto da uno dei messaggi (che chiunque può vedere a partire dalla pagina http://www.nic.it/cgi-bin/wa?A1=ind0110&L=ita-pe): il mittente afferma che le norme tecniche emanate dal Comitato elettrotecnico italiano per la realizzazione degli impianti elettrici hanno valore di legge. Errore gravissimo, come è stato correttamente rilevato in un altro intervento. In realtà c'è una legge (per la precisione la n. 186 del 1. marzo 1968  "Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni ed impianti elettrici ed elettronici") che stabilisce che gli impianti elettrici devono essere realizzati "a regola d'arte", e che "I materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici realizzati secondo le norme del CEI si considerano costruiti a regola d'arte."

Dunque con questa disposizione si è preso un insieme di regole di natura tecnica e ne è stata stabilita l'efficacia giuridica, ma non è stato detto che le norme CEI sono norme di legge. Le leggi le può fare solo il Parlamento, mentre il Governo può formare "atti aventi forza di legge" solo se espressamente delegato dal Parlamento. Nessun altro atto può essere definito come "legge", o avere l'efficacia di una legge.
Nelle controversie civili e nei processi penali i giudici devono applicare la legge, lo stesso devono fare gli altri organi dello Stato. I regolamenti, le circolari, le disposizioni interne, insomma tutte le migliaia e migliaia di norme che governano le relazioni tra persone o tra organizzazioni di qualsiasi tipo, devono trarre forza da una legge "a monte". Altrimenti sono carta straccia. Vi è una gerarchia delle norme, rigidamente stabilita, per la quale una disposizione non vale se è in contrasto con quella di livello superiore. Al limite, una legge cade se è in contrasto con un articolo della Costituzione (prego i giuristi di perdonare la drastica semplificazione di una materia così complessa).

Tutto questo per dire che la Naming Authority non può fare norme che abbiano efficacia obbligatoria nei confronti di terzi, perché non c'è una legge (o un atto derivante da una legge) che le dia questa facoltà. Essa può indicare delle clausole che possono essere inserite in un contratto di diritto privato, se non sono in contrasto con la legge e se le parti acconsentono. Oppure può stabilire regole che disciplinano i rapporti tra gli associati (perché si tratta di una libera associazione), ma sempre nell'ambito della legge. E il socio che si ritenga illegittimamente danneggiato da una di queste regole, può sempre ricorrere al giudice affinché sia ristabilita la legalità eventualmente violata.

Dopo questa lunga premessa, si può capire la sostanza della discussione sulle cose che ho scritto, in particolare sulla frase "La Naming Authority (NA) è una libera associazione incaricata (da chi?) di scrivere le regole alle quali dovrebbe attenersi l'ente di registrazione".  Nella risposta alla mia lettera di dimissioni dalla NA, il presidente Claudio Allocchio, va su tutte le furie:

...mi sorprende che una persona che reputo intelligente come te si permetta di scrivere affermazioni che denotano la totale mancanza di conoscenza della storia e della situazione. Prima di scrivere cose come "non si capisce da chi sia stata data l'autorita' alla NA", potevi perlomeno andarti a leggere la sezione "la
storia della NA", e se questo, come possibile, non fosse sufficientemente chiara, potevi chiedere spiegazioni.
Evidentemente per te sigle come ISO, ITU, UNINFO, e standard per la creazione di Registry e Ruling Board non significano molto...

A parte il fatto che ho qualche conoscenza delle sigle e delle altre cose citate da Allocchio, il problema è un altro: la storia dell'Internet e gli standard tecnici non hanno rilevanza obbligatoria nel campo del diritto. Per di più la norma ISO 6523 che costituisce il "presupposto" dell'esistenza della NA contiene solo prescrizioni di ordine tecnico. Quindi non c'è alcuna legittimazione della NA ad emanare disposizioni che non siano appunto di natura tecnica.

Il "sistema di riferimento" del presidente della NA è l'internet come realtà tecnologica, con il suo ordinamento, mentre qui stiamo ragioniamo all'interno di un altro "sistema di riferimento", che è l'ordinamento giuridico. Insomma, i ragionamenti di Allocchio si snodano nel dominio della tecnica, i miei nel dominio del diritto. E siccome non c'è una legge dello Stato italiano (o un altro atto derivante da una legge) che attribuisca alla Naming Authority di dettare regole alle quali dovrebbe attenersi una pubblica amministrazione qual è lo IAT, ho ragione di scrivere che "nessuno" ha autorizzato la NA a fare questo (vedi anche Perché la Naming Authority  "non esiste" di Coliva).

C'è dunque un contrasto tra le regole che afferiscono al dominio della tecnica e quelle che afferiscono al dominio del diritto? No, perché in linea di principio nel dominio della tecnica le regole assicurano il funzionamento delle macchine, mentre nel dominio della legge determinano i rapporti tra i soggetti giuridici.
Il fatto è che il funzionamento delle macchine ha effetti sui rapporti tra i soggetti giuridici. Per esempio, nel dominio della tecnica l'espressione "coca-cola.it" è una sequenza di caratteri inserita in una determinata casella di un data base che serve ad associare alla sequenza stessa l'indirizzo numerico di un certo server connesso alla rete. Ma la stessa sequenza di caratteri ha una funzione diversa nel dominio del diritto: costituisce un insieme di informazioni che possono essere riferite a un marchio registrato. Dunque si devono applicare le regole sui marchi registrati (per inciso: nel mondo industrializzato le regole sono praticamente le stesse in tutti gli stati, grazie a una serie di accordi internazionali).

L'affermazione "un nome a dominio non è un marchio" è un'ovvietà: nessun esperto di diritto ha mai affermato il contrario. Così come un'etichetta non è un marchio, semmai ne può essere la riproduzione. Vero è, invece, che un nome a dominio può corrispondere a un marchio ed eventualmente essere in contrasto con i diritti del titolare di quel marchio. Però la questione non appartiene al dominio della tecnica, ma a quello del diritto. Quindi ricavarne la conseguenza "tecnica" che le norme sui marchi non si applicano ai nomi a dominio è un sillogismo che non regge per il dominio del diritto. E' un'assurdità.

In ogni caso, anche se la NA fosse legittimata a formulare disposizioni che incidono sui diritti, sarebbe opportuno che al suo interno vi fossero competenze in materia legale. Invece, come può constatare chiunque scorra i messaggi della lista, la discussione si svolge tra persone che non hanno alcuna cognizioni dei principi più elementari del diritto. Per esempio, Vittorio Bertola chiede:

... vorrei capire qual e' il tuo punto di vista pratico: secondo te e' corretto che il dominio "boicottadanone.it" non possa essere assegnato senza il consenso della Danone? A me una idea del genere fa rizzare i capelli in testa. Mi sembra che la liberta' di espressione sia costituzionalmente "un pochino" piu' rilevante della tutela del marchio.

Prima di tutto è necessario ricordare che la libertà di ciascuno si ferma nel punto in cui limita la libertà degli altri. Se scrivo che un tale è un ladro (indipendentemente dal fatto che lo sia realmente, e in assenza di altre condizioni che sarebbe lungo spiegare) abuso della mia libertà di espressione e l'interessato può querelarmi per diffamazione.
Ciò premesso, vediamo un esempio pratico: io sono titolare dei diritti sul marchio "interlex", sulla testata "interlex" e sul nome a dominio "interlex.it". Ma non posso vietare a un altro soggetto di registrare un dominio "internetlex", che ha una strana e fuorviante assonanza con "interlex". Se ritengo che la cosa mi danneggi mi rivolgo al giudice civile e, se dimostro la lesione dei miei diritti, il giudice inibisce al convenuto di usare l'espressione "internetlex", in forza dell'articolo 2598 del codice civile. Nessuna regola tecnica può affermare il contrario.

A questo punto si pone la questione delle regole per la registrazione dei nomi: può l'ente preposto rifiutare l'iscrizione di un nome che appare in qualche modo in contrasto con un altro nome registrato, come "boicottadanone" nei confronti di "danone" o "internetlex" nei confronti di "interlex"?
Ne parleremo la prossima settimana. Per adesso è importante che sia chiara la distinzione tra il dominio della tecnica e il dominio della legge e i motivi per cui le regole del primo non possono valere nel secondo.