La comunità dell'internet non è un
club
di Manlio Cammarata - 04.10.01
C'è un fatto nuovo nell'annosa vicenda delle regole per la registrazione dei
nomi a dominio .it. Il professor Franco Denoth, direttore dell'Istituto
per le applicazioni tecnologiche (IAT)
del CNR, ha diffuso un documento che disegna una nuova
struttura regolamentare, interna all'ente, per la definizione delle procedure di
registrazione dei nomi, facendo piazza pulita dell'attuale cosiddetta Naming
Authorithy.
E' il caso di ricordare che lo IAT è l'ente incaricato di gestire il
registro dei nomi a dominio di secondo livello sotto il dominio geografico di
primo livello .it. Con l'esotica etichetta di Registration Authority (RA),
per altro estranea al nostro ordinamento, l'istituto svolge la delicatissima
funzione di tenere aggiornato il data base mondiale nel quale si associa
a ogni nome il numero (Internet Protocol Number) che designa univocamente
ogni computer connesso all'internet, rendendo possibile il suo collegamento con
ogni altra macchina della rete.
La Naming Authority
(NA) è una libera associazione incaricata (da chi?) di scrivere le regole alle
quali dovrebbe attenersi l'ente di registrazione. Le regole sono in parte di
natura tecnica (ma qui la NA ho poca voce in capitolo, dal momento che esse
hanno natura internazionale e sono decise da appositi organi), e in parte di
natura procedurale, per quanto riguarda i casi di rifiuto delle richieste di
iscrizione o di contestazioni sulle iscrizioni già operative.
Questo è un aspetto della massima importanza, perché i nomi a dominio
coinvolgono interessi commerciali anche di enormi dimensioni, o incidono sui
diritti soggettivi, quando rappresentano nomi e cognomi (o noti pseudonimi) di
persone fisiche.
Il ruolo della NA e le regole da essa scritte e riscritte in continuazione
sono al centro di accese polemiche da mesi, da quando è emerso con evidenza
anche nel nostro Paese il fenomeno del domain grabbing. Con questa
espressione si indica l'attività di accaparramento dei nomi a dominio da parte
di soggetti che non hanno altro interesse che quello di rivenderli,
possibilmente a caro prezzo, a coloro che dovrebbero esserne i legittimi
titolari (vedi Gli accaparramenti dei nomi a dominio: lei
non sa chi sono io! e gli altri, numerosi articoli nell'indice
di questa sezione).
A seguito dello "scandalo", che risale all'inizio del 2000, fu
presentato l'assurdo e contestatissimo disegno di
legge "Passigli", per fortuna decaduto con la fine della
legislatura. Ma di fatto nulla è cambiato nel sistema, il problema è sempre
aperto e la questione delle regole scivola sempre più verso il caos.
Le questioni aperte sono molte: si va dalla natura giuridica del rapporto tra
l'ente di registrazione e il titolare del nome a dominio (che incide sulle
clausole contrattuali) ai criteri che l'ente stesso deve seguire per l'eventuale
rifiuto della registrazione, alle condizioni che possono giustificare la revoca
di un'iscrizione, la sua sospensione o l'iscrizione dello stesso nome in capo a
un altro soggetto.
Per avere un'idea dello stato delle attuali regole,
basta questa considerazione: si afferma che l'ente "assegna in uso" un
certo nome a un certo soggetto, come se avesse qualche diritto sul nome stesso.
Insomma, il nome mariorossi, secondo questa visione, non appartiene al signor
Mario Rossi, ma all'ente, che glie lo "assegna in uso" e può
addirittura "revocare" l'assegnazione (per altre considerazioni sugli
aspetti giuridici vedi, di Ancrea Monti Aspetti giuridici
della registrazione dei nomi a dominio e I veri
problemi giuridici dei nomi a dominio).
Un problema molto serio è costituito dalle procedure stabilite dalla NA per
la definizioni extragiudiziale delle controversie, maldestramente copiate dai
modelli americani e del tutto incoerenti con il nostro ordinamento, al punto che
le spese della causa non sono a carico del soccombente, ma in ogni caso del
ricorrente.
L'iniziativa del direttore dello IAT giunge quindi opportuna e, in parte, va
nella giusta direzione: far cessare l'anomalia di quella strana associazione che
pretende di dettare regole senza averne alcuna legittimazione e - soprattutto -
senza la minima competenza in materia di diritto. Meno convincente, per i motivi
che vedremo fra poco, è l'intenzione di portare la funzione normativa
all'interno dell'ente di registrazione.
Che la sedicente Naming Authority non sia assolutamente all'altezza del
compito che si è attribuito appare chiaro a qualsiasi "orecchiante"
del diritto - non occorre la laurea in giurisprudenza - che vada a leggere
quell'indecente guazzabuglio che costituisce le cosiddette "regole di
naming", o che abbia la pazienza di scorrere i numerosi messaggi scambiati
nella lista:
si arriva a scrivere che i nomi a dominio non hanno alcuna relazione con i
marchi commerciali e si discute con accanimento dei risvolti di questa
affermazione!
Qualcuno afferma che la NA è l'espressione della gestione democratica della
Rete e quindi che la sua soppressione è una specie di attentato alla
democrazia. In realtà l'associazione è il residuo anacronistico dei tempi in
cui l'internet era una realtà fatta di poche migliaia di persone in tutto il
mondo e si "autogovernava" senza problemi, dal momento che il suo
funzionamento non incideva su rilevanti questioni economiche e sui diritti dei
cittadini. Oggi la situazione è diversa, i soggetti coinvolti costituiscono una
fascia rilevante delle popolazioni dei paesi in cui si è sviluppata ed è un
elemento fondamentale dell'economia mondiale. Dunque le regole del suo
funzionamento devono essere riferite agli ordinamenti giuridici, nazionali e
internazionali, di volta in volta richiamati nelle diverse situazioni che si
possono verificare.
Questo è l'aspetto meno convincente del progetto del professor Denoth, che
sembra ancora influenzato da una visione dell'internet come un "club"
nel quale i soci decidono le regole di ammissione e le cause di espulsione. Egli
ipotizza di affidare la stesura delle regole a un gruppo di persone rappresentative
della Local Internet Community (LIC), come se questa fosse un particolare
soggetto collettivo identificato nel contesto della società italiana. Ma se è
vero che ormai gli utenti italiani sono più di dieci milioni, cioè una parte
rilevante della popolazione, allora i suoi veri rappresentanti sono quel
migliaio di persone che siedono nelle aule parlamentari, appunto con il compito
di fare le regole per l'ordinato sviluppo della società.
Se proprio si vuole identificare una "rappresentanza" della Rete in
Italia, allora si deve cercare altrove: oltre che tra gli operatori (o, meglio,
tra le loro strutture associative), si devono considerare i soggetti che in
qualche modo accolgono e coagulano gli interessi e le tensioni di tutti i
componenti della comunità. Quindi le associazioni come ALCEI o La città
invisibile, o meglio ancora le associazioni dei consumatori, posto che i milioni
di abbonati all'internet sono a tutti gli effetti "consumatori di prodotti
telematici". Senza dimenticare realtà associative come Hacklab o i Centri
sociali.
Ma la soluzione più corretta è portare la funzione normativa nelle
sue sedi istituzionali, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il
Ministero delle comunicazioni, organi del sistema democratico che bene o male
vige nel nostro Paese. Questi ascolteranno le associazioni degli operatori e dei
consumatori prima di emanare le pochissime norme regolamentari che servono a
mettere ordine del settore, perché i principi e gli strumenti applicativi sono
già ben saldi nel nostro ordinamento.
Per essere più chiari, si pensi a quando il Governo convoca i sindacati prima
di emanare disposizioni che incidono sull'occupazione o le associazioni degli
imprenditori quando occorrono norme che interessano il mondo delle imprese. A
nessuno viene in mente di dire che in questo modo il Governo attenta alla
democrazia. Se mai si possono contestare le sue decisioni con le armi tipiche
della democrazia, l'ultima delle quali è la scheda delle elezioni politiche.
Si dirà: fino a oggi, quando le istituzioni si sono occupate dell'internet,
hanno fatto più danni che cose giuste. E' vero, purtroppo, ma non è con il
caos e l'incompetenza travestiti da democrazia che si può ovviare
all'incompetenza della classe politica.
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