Il dominio della tecnica e il dominio
del diritto - 2
di Manlio Cammarata - 18.10.01
Riprendiamo il discorso iniziato con l'articolo
precedente. Abbiamo esaminato i motivi per cui le regole scritte dalla
cosiddetta Naming Authority sulla tenuta del registro dei nomi a dominio
da parte dell'ente preposto (Registration Authority) non possono avere
alcuna rilevanza su questioni disciplinate dalle leggi dello Stato. Ora dobbiamo
capire quale funzione e quale valore possa avere un regolamento
"interno" per le procedure del registro nei confronti di situazioni
tutelate dalla legge.
Prima di tutto è necessario ricordare che (contrariamente a quanto affermano
le sgangherate "regole
di naming") l'ente non ha il potere di "assegnare in
uso" o "revocare" i nomi, che sono e restano di proprietà dei
rispettivi titolari, ma solo il compito di iscrivere ed eventualmente cancellare
i nomi stessi nelle caselle di un data base (vedi Il
problema in quattro punti).
In estrema sintesi il problema è capire se e su quali basi l'ente di
registrazione possa rifiutare un'iscrizione o compiere una cancellazione (la
cosiddetta "riassegnazione" è semplicemente una cancellazione seguita
da una nuova iscrizione). Quindi è necessario stabilire se e quali verifiche
possano o debbano essere effettuate da parte dell'ente stesso prima di compiere
l'iscrizione o la cancellazione.
Per mettere a fuoco il problema è opportuno ritornare ai due esempi fatti
nell'articolo precedente, relativi ai nomi "boicottadanone" e "internetlex".
A prima vista il primo può ledere i diritti del titolare del marchio "Danone"
e del dominio "danone.it", il secondo del titolare del marchio e della
testata "InterLex" e del dominio "interlex.it". Di fronte a
questa facile constatazione, può l'ente rifiutare l'iscrizione?
Nel primo caso, il dominio "boicottadanone.it" potrebbe indicare il
sito di un'associazione di consumatori che, con affermazioni documentate e non
diffamatorie, indichi i motivi per cui sarebbe bene non acquistare prodotti di
questa marca. Oppure potrebbe essere chiesto da una società in qualche modo
collegata al titolare del marchio Danone, magari per uno stravagante concorso a
premi.
Nell'uno e nell'altro caso il rifiuto della registrazione potrebbe scatenare
una tempesta giudiziaria sull'ente, con relative richieste di risarcimento dei
danni.
Invece, se il sito presentasse contenuti diffamatori o classificabili come
concorrenza sleale, toccherebbe al titolare del marchio ricorrere al giudice
contro il registrant di "boicottadanone.it". In caso di
vittoria del ricorrente il giudice potrebbe ordinare al registro di cancellare
l'iscrizione o al soccombente di richiedere la cancellazione. Tutto qui.
Discorso simile può essere fatto per il dominio "internetlex.it".
Di fronte a un rifiuto di iscrizione di un dominio a prima vista in grado di
"sviare" gli utenti del web, il richiedente avrebbe potuto agire
contro il registro per chiedere l'iscrizione coattiva e il risarcimento
danni per il ritardo. Mentre, ad iscrizione avvenuta, toccherebbe a me (titolare
del marchio e della testata giornalistica) adire il giudice, dimostrando il
danno. Per inciso, non potrei dimostrarlo: i LOG indicano che il danno non
c'è, perché l'andamento degli accessi ha mantenuto un forte tasso di crescita
anche dopo l'entrata in funzione del sito "concorrente", nonostante la
stazza e la potenza mediatica del suo editore.
Morale: è bene che il registro e l'associazione che si è assunta il compito
di regolarne il funzionamento non si occupino di questioni che non attengono al
proprio "dominio", che è quello della tecnica.
Ma ci sono altri aspetti da considerare. Uno di questi riguarda i cosiddetti
"nomi riservati", cioè i nomi che non possono essere registrati o che
sono destinati esclusivamente a determinati soggetti. Chi può elencare questi
nomi? Anche qui, senza una specifica previsione legislativa, l'iniziativa del
registro può essere fonte di guai, per gli stessi motivi che abbiamo appena
visto. Invece la normativa comunitaria e nazionale indicano nell'Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni (o nel Ministero delle comunicazioni, in seguito
a una delega) gli enti incaricati di dettare regole per tutto quanto riguarda
"numerazioni, indirizzi e denominazioni". Lo stabilisce la direttiva
97/51/CE che, modificando la 90/387,
prevede anche la separazione tra organismi tecnici e organismi di
regolamentazione.
Dunque questa facoltà non spetta all'ente di registrazione e, di conseguenza,
neanche alla Naming Authority (vedi Chi ha il
compito di dettare le regole? e Aspetti giuridici
della registrazione dei nomi a dominio).
Resta ancora un problema molto importante: le procedure extragiudiziali per
le contestazioni. Le regole attuali prevedono un meccanismo stravagante, fondato
su "enti conduttori" composti da "saggi" accreditati dallo
stesso ente di registrazione, e scombinato al punto di prevedere le spese della
controversia a carico del ricorrente, invece che del soccombente.
Ora, se il contratto tra registry e registrant è un
contratto di diritto privato (secondo l'opinione prevalente e largamente
condivisibile), è opportuno che vi siano clausole che obbligano il registro
stesso ad accogliere decisioni arbitrali, ma queste devono rispettare le
disposizioni del codice di procedura civile.
Come si vede, non c'è materia di ordine legale che possa essere regolata
dall'associazione denominata Naming Authority, e sarebbe un disastro se
essa ricevesse un riconoscimento o una delega a emanare norme che incidono su
diritti tutelati dalla legge. Perché per scriver qualsiasi tipo di regola
occorrono competenze giuridiche non superficiali, mentre l'esperienza dimostra
che "il dominio del diritto" è completamente sconosciuto agli
associati, almeno a quelli che ne discutono nella lista e nelle assemblee.
Altrimenti non si leggerebbero discussioni sul nulla (a chi spetta il dominio
"ferrari.it"? E' ovvio, tra due soggetti che hanno uguale diritto,
vince il primo che lo richiede) o affermazioni deliranti del tipo "un nome
a dominio non è un marchio, perché manca l'aspetto grafico".
Dunque è necessario mettere ordine. E per questo basta un provvedimento
governativo che chiarisca se la competenza sulle regole per i nomi a dominio
spetta all'Autorità per le garanzie o al Ministero delle comunicazioni, in
applicazione della direttiva 90/387/CE, già accolta da tempo nel nostro
ordinamento. Con buona pace del senatore Passigli e del deputato Lo Presti, che
ha ripresentato alla Camera, tale e quale, lo sciagurato disegno di legge.
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