Ma quali sono le
autorità "competenti"?
di Manlio Cammarata - 16.03.2000
Ecco l'ennesimo pasticcio politico-telematico di
casa nostra. I fatti sono noti: il solito Nicola Grauso (ricordate Video On
Line?) chiede la registrazione in tutto il mondo di cinquecentomila "nomi a
dominio", molti dei quali sullo schema "nomecognome.it",
dove il nome e il cognome corrispondono ad altrettante persone che non hanno
ancora chiesto un dominio di secondo livello corrispondente alle proprie
generalità. Alcuni parlamentari vengono a sapere che anche per i loro nomi è
in corso la richiesta di registrazione.
Il sottosegretario all'innovazione, compreso nella lista, fa mandare una
letterina al NIC, l'ente che registra i domini
al di sotto del Top Domain Level ".it". (vedi Gli
accaparramenti dei nomi a dominio: lei non sa chi sono io!
di Andrea Monti).
Scattano le interrogazioni parlamentari, i giornali si buttano sulla notizia e
si alza il solito polverone dentro il quale non è facile vedere come stanno le
cose.
Dice Grauso: "Non ho creato io il problema
del paradosso tra identità; nel mondo reale ed identità
nel mondo di Internet ... l'ho semplicemente fatto emergere". E aggiunge
che il suo intento è di mettere in evidenza i nodi dell'internet, che i governi
non sanno affrontare tempestivamente (vedi i numerosi articoli su Punto
Informatico e su Repubblica.it).
Qualcuno insorge, altri approvano e puntano il dito accusatore sul presunto
colpevole della situazione, il NIC.
Intendiamoci bene: l'organismo del CNR, al quale
è affidato il doppio ruolo di ente di normazione ed ente di registrazione
italiano dei nomi a dominio, non è senza peccato. E' una struttura dotata
evidentemente di risorse inadeguate all'attuale momento di crescita della Rete,
segue procedure farraginose, con grande traffico di inutili documenti cartacei
proprio nel settore dove il digitale dovrebbe regnare sovrano. Sembra che non
abbia ancora scoperto i moduli on line e si serve di un telefax ansimante per
comunicazioni che sarebbe ovvio affidare all'e-mail. Così impiega un mese
per compiere un'operazione che potrebbe essere svolta quasi in tempo reale, con
grandi svantaggi per i tanti italiani - individui e imprese - hanno finalmente
deciso di essere presenti sulla Rete.
Ma in questo caso il NIC non fa altro che applicare le regole sulla
registrazione dei nomi, recentemente rinnovate col consenso (presunto, vedi
ancora l'articolo di Monti citato poco fa) di alcune "autorità".
Dal punto di vista legale l'azione di Grauso presenta diversi
punti deboli: viola chiaramente il "diritto al nome" di ogni individuo
(articoli 6, 7 e 8 del codice civile), è in contrasto con la normativa sui
marchi, ma soprattutto presenta un vizio sostanziale, che potrebbe avere
conseguenze rilevanti.
Infatti la richiesta di registrazione di un domino comporta anche la
sottoscrizione di una assunzione
di responsabilità, nella quale si legge che il richiedente dichiara, fra
l'altro "di non essere a conoscenza di motivi per i quali l'assegnazione
del nome a dominio richiesto possa ledere diritti di terzi". La lesione è
così evidente da non richiedere ulteriori commenti.
C'è però una questione di ordine generale che
non può essere ignorata: la gestione dei nomi a dominio è fondamentale
nell'economia della Rete. Essa non può essere lasciata a un gruppo di tecnici,
per quanto volenterosi e preparati, ma richiede qualche forma di indirizzo da
parte delle autorità competenti. Il fatto è che non si sa nemmeno quale sia
l'autorità competente per questa materia: quella per le garanzie nelle
comunicazioni o il ministero?
Certo è che né l'una né l'altro mostrano interesse per il problema. Questo è
molto grave: si interviene a sproposito dove non c'è alcun bisogno di
interventi (vedi i "portali di Stato", sui quali pubblichiamo in
questo numero l'autorevole intervento del
professor Giovanni Virga) e si ignorano questioni di rilievo come questa e
come quella, annosa, delle autorizzazioni generali per i fornitori di servizi.
Una cosa è certa. La questione dei nomi a
dominio non si risolve né con le letterine dei sottosegretari, né con il
commissariamento del NIC, come chiede il senatore Semenzato in un'interrogazione
parlamentare. Né con una legge, anche se a prima vista questa può sembrare
una buona soluzione.
E' indiscutibile che i nomi a dominio non sono una risorsa illimitata. Anzi, è
limitatissima, basta pensare al fatto che per i tanti Mario Rossi d'Italia sono
disponibili pochissimi domini: "mariorossi.it", "mario-rossi.it"
e così via. Il primo Mario Rossi che lo registra lo sottrae agli altri, e il
suo comportamento è legittimo. Ma è ammissibile che di "mariorossi.it"
e di tutte le possibili variazioni faccia incetta Giuseppe Bianchi o, per fare
un nome a caso, Nichi Grauso?
E' necessario fare qualcosa. Tutti, o quasi, sono d'accordo: il cybersquatting,
come viene definito l'accaparramento dei nomi a dominio con lo scopo di
rivenderli a quelli che potrebbero esserne i legittimi titolari, dovrebbe essere
in qualche modo vietato. Negli USA si parla addirittura di una legge federale.
Da noi di leggi ce ne sono anche troppe,
basterebbe una disposizione del Ministero delle comunicazioni (o dell'Autorità
per le garanzie?) indirizzata al NIC, nella quale si dicesse: se qualcuno chiede
di registrare un dominio "nomecognome" che non corrisponde alle sue
generalità, deve dimostrare di avere il diritto di usare quel nome e cognome.
Ma a che titolo il Ministero o l'Autorità dovrebbero emanare questa
disposizione nei confronti del NIC? C'è una norma di legge che dà al NIC
l'esclusiva della registrazione dei domini ".it"? Qual è la natura
giuridica delle regole di naming emanate dall'ente?
Dalle informazioni che l'ente stesso fornisce nella pagina Che
cos'è la Naming Authority si deduce che la sua "legittimazione"
è di natura puramente tecnica. Benissimo, un organo tecnico che (in teoria)
faccia a meno di vincoli amministrativi, burocrazia e altri freni, è quello che
ci vuole per far funzionare le cose.
Ma se una gestione puramente tecnica comporta la
lesione di un diritto, allora è necessario che qualcuno detti le regole,
chiare, per evitare che il lavoro di tecnici incolpevoli comporti un
sovraccarico di lavoro per i tribunali. Perché è vero che nel codice civile ci
sono le norme per ripristinare i diritti violati, ma il ricorso al giudice non
può diventare lo strumento ordinario per l'ottenimento di un nome a dominio.
Occorre dunque prima di tutto fare chiarezza sui ruoli dei vari attori della
vicenda, quindi emanare qualche disposizione amministrativa, fondata sulle leggi
vigenti, per evitare che siano violati i diritti al nome per le persone e ai
marchi e ai segni identificativi per le imprese. Tutto qui.
Se poi qualcuno vuole registrare nomi generici,
come "frigorifero.it", che non danneggiano nessuno, perché mai si
dovrebbe impedirglielo?
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